Roma, ennesima rivoluzione: è il vento del cambiamento
Eppure il vento soffia ancora. Soffiava il 27 maggio 2013, il giorno dopo la sconfitta in Coppa Italia contro la Lazio, dopo quel gol al minuto 71 di Lulic che ne ha fatto un brand per maglie e cappellini. Soffia e soffierà dopo dal 27 maggio 2019, il primo giorno della Roma post-Daniele de Rossi. Senza il numero 16, il capitano, epitome del tifoso e del campione che cade e si rialza, specchio in cui ogni tifoso rivede l'immagine della Roma che vorrebbe.
Tifosi contro Pallotta: una frattura da ricomporre
L'addio al capitano, per come è stato gestito, per le parole di DDR nella conferenza stampa in cui ha annunciato che dopo Roma-Parma non sarebbe più sceso in campo per la Roma, ha finito per polarizzare i tifosi. Difficile rinunciare a un simbolo. Difficile accettare la fine del mondo per come lo si conosce. Il tifo è un mistero senza fine, non si sceglie, è una forma d'amore che ci si aspetta ricambiato. Un amore che la modernità sacrifica sullo sfondo della razionalità economica. Non è più l'amore a muovere il sole e le altre stelle, nemmeno nel calcio.
La Roma non si discute, si ama, dicono i tifosi. Anche quelli che per anni hanno criticato De Rossi e nelle ultime settimane l'hanno “usato” per alimentare il fuoco della protesta contro Pallotta. Nella figura del presidente americano, molti vedono proprio una messa in discussione dello spirito della squadra, come prima l'hanno vista in Spalletti quando teneva Totti in panchina nel suo ultimo anno prima dell'addio al calcio. Totti non sembra ancora riuscito a diventare il punto di congiunzione tra la squadra, a lungo slegata in campo quest'anno, e la società, condizionata dalla distanza del presidente, da una condivisione di compiti e ruoli che ha sfiorato la sovrapposizione (Monchi e Baldini, il dg Baldissoni e l'ad Gandini che ha finito per lasciare il club a ottobre). Non è detto, però, che Baldissoni rimanga: il contratto è in scadenza, il suo ruolo è ridimensionato da quando Fienga ha acquisito la carica di CEO. L'assemblea degli azionisti del 24 giugno potrebbe definire anche il suo futuro.
Linea unica
Quello della squadra passa dalla scelta del direttore sportivo. Dovrebbe arrivare Gianluca Petrachi, ds del Torino, che però a Sky ha detto di non aver ancora deciso totalmente cosa farà. “Di una cosa sono sicuro: chi sostiene che abbia già iniziato a lavorare per i giallorossi non dice la verità. E ancora non c’è stato alcun incontro con loro”.
Ranieri, chiamato a governare la nave in gran tempesta, non si è fatto problemi a parlare di Trigoria “troppo affollata”. Ha vissuto come un “fulmine a ciel sereno” l'annuncio dell'addio di De Rossi e si è lamentato delle voci di mercato “nel momento chiave della stagione. Bisognava tenere una linea unica”.
Una linea che va tracciata di nuovo, a partire dall'individuazione del nome del prossimo allenatore, l'ottavo della gestione Pallotta. Un continuo work in progress, quello della Roma americana, un continuo, gattopardesco cambiamento che non ha cambiato nulla. Non ha ridotto il rosso dei conti, sempre in negativo sotto la sua gestione, non ha esteso la bacheca dei trofei. Il prossimo progetto tecnico, alla luce anche dell'addio al bomber Dzeko considerato molto vicino all'Inter, potrebbe orientarsi verso la creazione di una rosa giovane e meno internazionale.
Rosa giovane, sacrificio, disciplina
Gasperini corrisponde al profilo di allenatore individuato per valorizzare una scelta di questo tipo. La Roma di quest'anno ha pagato la distanza tra le ambizioni e i mezzi a disposizione, tra la necessità di investire per una rosa di livello e la relativa debolezza in termini di programmazione di medio-lungo periodo che deriva dalle perdite crescenti. Senza uno stadio di proprietà, con una generalmente insufficiente diversificazione delle fonti di ricavo, una società italiana ha una sola strada per aumentare gli introiti, le plusvalenze sul mercato. Aumentare il turnover però fa aumentare anche i rischi, perché cambiando tanti ingredienti il piatto finale può non riuscire bene come prima.
Per la prossima stagione, la strada potrebbe essere diversa. Come scrive Daniele Lo Monaco sul Romanista, Gasperini avrebbe “presumibilmente chiesto la possibilità di allenare un gruppo che avesse principalmente tre caratteristiche: giovane, fisicamente in grado di reggere l'impatto con le sue esigenze di calcio, mentalmente pronto al sacrificio di allenamenti duri. E la Roma ha particolarmente battuto sul tasto della disciplina”.
L'alternativa rimane Sarri, e non cambierebbe la sostanza. Servono giocatori di corsa, soprattutto sulle fasce, che stiano fra le linee e portino un pressing alto e costante. Cambierebbero, rispetto alla situazione, i metodi di allenamento, destinati di fatto a inasprirsi. Si è consolidata e diffusa così la convinzione per cui il recupero della competitività passi attraverso la cessione anche di pezzi pregiati della rosa se non corrispondono ai profili richiesti dal nuovo tecnico.
Obiettivo: ridurre il monte ingaggi
Il direttore sportivo che verrà dovrà pensare anche ad abbassare il monte ingaggi. E non sarà così facile, anche se dovessero partire Dzeko (che guadagna 4,5 milioni netti all'anno, 8,3 lordi) o Manolas. Difficile trovare acquirenti, senza generare minusvalenze, per Pastore pagato 24,6 milioni, con un valore residuo nel bilancio (tolto l'ammortamento del primo anno, dunque) di quasi 20 milioni. Probabile una cessione in prestito, magari sobbarcandosi una parte del pesante ingaggio (4 milioni netti a stagione).
Nel bilancio poi “pesa” ancora per 22 milioni Nzonzi, c'è da verificare che futuro possono avere Olsen, costato 9 milioni più 2,3 di commissione, e Santon, da vendere per non meno di 8 milioni per non avere una minusvalenza in bilancio. L'eventuale arrivo di Gasperini farebbe felice sicuramente Perotti, perché ai tempi del Genoa gli ha praticamente cambiato la carriera, e potrebbe avviare un interessante esperimento tattico legato a Schick in un ruolo “alla Ilicic”. Domande tante, risposte ancora poche. Eppure il vento soffia ancora.