Dalla furia di De Rossi a Insigne in panca, 5 cose che non dimenticheremo di Italia-Svezia
Nella notte di San Siro l’Italia ha scritto una delle pagine più buie della storia del proprio calcio fallendo, come 60 anni prima, la qualificazione alla fase finale di una Coppa del Mondo. Un calcio che ha raccolto successi in giro per il pianeta capace di conquistare ben 4 titoli mondiali (1934, 1938, 1982 e 2006), 1 titolo europeo (1968) e che, cosa forse più importante di tutte, al netto degli straordinari campioni messi in campo, ha spesso fatto scuola rivoluzionando la tattica, l’applicazione difensiva ma anche il modo di intendere e di interpretare questo meraviglioso gioco.
Una pagina triste che ci vede tutti sconfitti e, irrimediabilmente, spettatori della prossima rassegna iridata in Russia. E così, nel day after più triste degli ultimi anni, nel momento più basso del nostro movimento nazionale, nell’attimo in cui le riflessioni ma anche le decisioni vanno soppesate e cautamente ponderate, riviviamo la gara del Meazza nei punti più brutti della contesa: dalle lacrime di Buffon ai fischi all’inno svedese fino alla confusione del Ct Ventura e poi alla cocente, pesante eliminazione finale.
Formazione, i tanti perché da sottoporre a Ventura
La vigilia è tesa, l’1-0 in Svezia è una zavorra davvero gravosa e tutti si chiedono quali potrebbero essere le armi in possesso degli azzurri per scardinare la difesa avversaria e guadagnare il pass per la Russia. 4-2-4? Meglio di no, Spagna docet. 3-5-2? Sì ma con chi sul rettangolo verde? E poi, nelle ore precedenti il match le nubi si diradano e tutto sembra essere più chiaro: difesa confermata con, davanti a Buffon, Barzagli, Bonucci e Chiellini, centrocampo rivoluzionato: Parolo mezzala, Jorginho in regia e Florenzi mazzala con il capolavoro finale di Gabbiadini (solo 207’ giocati fin lì nella sua personale storia in azzurro) a sostegno, da mezza punta, di Immobile.
E così, prima ancora che il pallone si muova sul rettangolo verde, i dubbi e le considerazioni sull’undici da mandare in campo fioccano e i j’accuse sono tanti: Perché mandare in campo Florenzi da mezzala quando non gioca in quel ruolo da oltre 1 anno? Perché scegliere Jorginho nella sfida più decisiva degli ultimi anni dopo un biennio di dinieghi e mancate convocazioni? Perché schierare Gabbiadini a sostengo di Immobile quando questo tandem non ha mai avuto l’occasione di giocare minuti insieme? E infine, perché non plasmare il modulo agli elementi in rosa e mettere in campo il calciatore, Insigne, più talentuoso fra i convocati? Mistero, che resterà tale anche al termine della partita con Ventura che si presenta in sala stampa ma non può parlare di cose di campo, l’onta dell’umiliazione dell’eliminazione esige, oltre alle scuse, solo una cosa, che puntualmente non arriva, il suo addio.
Fischi all’inno degli ospiti, la Svezia si compatta
Continuando in ordine cronologico, dopo le scelte del selezionatore azzurro ed il consueto riscaldamento, le squadre sono in campo e attendono gli inni della fanfara dell’Aeronautica Militare. Si parte da quello svedese e i 74mila accorsi al Meazza, non tutti of course, magari per spaventare gli avversari, hanno la brillante idea di infangare la memoria di quanti hanno donato la vita per la Svezia fischiando l’inno degli ospiti. Scelta becera da condannare col capitano azzurro Buffon che tenta di convincere il pubblico a smettere con un energico applauso: niente da fare. Risultato? La Svezia meno forte degli ultimi anni, 3 sconfitte nel girone fuori dalle mura amiche con 7 gol subiti, si carica, si compatta e trae linfa vitale da questo gesto che stride con la fierezza e l’orgoglio di un collettivo nettamente inferiore ma ugualmente vincitore, anche senza Ibra.
Jorginho che esordio, la sua gara smaschera Ventura
Inizia il match, l’Italia fa la partita e gestisce al meglio il possesso palla, nel primo tempo, infatti, la percentuale di conduzione della sfera raggiunge il 73%. E a dirigere le operazioni c’è proprio quel regista numero #7 che aveva tanto sognato la maglia azzurra e che, per tutta risposta, aveva ricevuto solo no dal suo Ct il quale, in punto di morte, sportiva s’intende, si ravvede e lo invoca. Jorginho domina, chiama il pallone, lo gioca al meglio, oscura Verratti, verticalizza e trova in più di una occasione Immobile che, però, non trafigge il portiere Olsen. Senza paura prova a importare un po’ di calcio sarriano nell’aridità italiana e, alla fine della contesa, il bistrattato e quasi supplicante italo-brasiliano risulta il migliore in campo col suo match da perfetto playmaker che diventa le nemesi, il castigo dell’ostinato Ventura.
De Rossi meglio del Ct: “Metti gli attaccanti”
Ad un quarto d’ora dall’inizio dei secondi 45’ di gioco, l’Italia è ancora sullo 0-0 e necessita di una spinta in più per poter valicare il muro svedese. Eppure, il Ct, ormai in balia di una confusione tattica apocalittica, manda a scaldare, a turno, tre alla volta, tutti: difensori, centrocampisti, attaccanti. Tocca anche a De Rossi che, in transagonistica, quasi si rifiuta di obbedire agli assistenti del selezionatore e esclama "Ma che ca… entro io, dovemo vincere non pareggia'…Metti gli attaccanti" indicando Insigne e El Shaarawy. Un gesto dal sapore dell’ammutinamento da parte, peraltro, di un senatore che ha capito che il capitano della nave, che ha disputato prima della nazionale solo 14 gare Uefa, è in totale balia delle onde che lo porteranno a fare entrare Belotti, El Shaarawy, Bernardeschi ma non il più forte di tutti: Insigne.
Il triste epilogo di Buffon, ma lui resta uomo e leggenda vera
Forcing finale, auto-traversa di Lustig, parate di Olsen, rimpalli sfortunati, assedio su corner con anche Buffon in area e poi triplice fischio finale del disorientato Lahoz (a proposito di grande bruttezza, non concede ben 4 nitidi penalty nel match): gli azzurri, 60 anni dopo, sono fuori dal mondiale. Gli svedesi, festanti, corrono verso lo spicchio di curva riservato ai propri sostenitori e la leggenda azzurra Buffon si ritira, un po’ come Zidane nel 2006, nel peggior modo possibile, fra le lacrime ed una sesta apparizione ad un mondiale sfuggitagli per un soffio, a Milano con la peggior Italia delle ultime decadi.
Eppure, anche in un momento così traumatico, così triste della sua carriera, da vero uomo, leader, esempio e icona nazionale si presenta ai microfoni della Rai e parla agli italiani, chiede scusa a tutti e annuncia il suo addio all’azzurro, 175 presenze, 1 mondiale, 20 anni e 7320 giorni dopo il suo esordio con la Russia in uno spareggio mondiale per Francia ’98.
Da un Playoff per la Francia che sarà il suo ricordo più prezioso (finale vinta nel 2006) ad un Playoff con la Svezia del biscotto per l’amata Russia, terra del suo debutto cala il sipario per il mito azzurro. Del resto, si sa, la storia sa essere ironica.