Tornano i ‘veri nove’: in Europa senza attaccanti non si vince
Nel 2003 Carlos Alberto Parreira, il ct del Brasile campione del mondo nel 1994, lasciò tutti senza parole. In una conferenza a Rio de Janeiro identificò il modulo del futuro del calcio: il 4-6-0. Immaginava un calcio senza attaccanti.
Mourinho cambiò la Premier League
I sistemi, diceva qualche anno dopo l'allora ct della Croazia Slaven Bilic, “stanno morendo. Adesso conta come i dieci giocatori in campo si muovono”. E questo riguarda anche gli attaccanti, interpreti di un ruolo centrale, delicato, che detta e assorbe i cambiamenti, le linee di tendenza nell'evoluzione delle idee del calcio.
Negli anni Duemila, l'ideal-tipo dell'attaccante di successo in Europa ha cambiato volto almeno tre volte, Craig Bellamy ha individuato in una lunga intervista sul sito di Sky Sports un primo momento di rottura, in Premier League, nel 2005 con l'arrivo di Mourinho al Chelsea. Lo Special One porta il 4-3-3 con un centravanti di presenza fisica forte in area come Didier Drogba. “Ha cambiato il gioco” ha detto Bellamy. “Anche il mio allenatore allora mi disse: per fare il centravanti adesso devi essere alto, forte. Tutto quello che io non ero. Mi sono dovuto adattare. Molte squadre hanno iniziato a cercare un attaccante possente, magari non un goleador fenomenale, ma che potesse garantire presenza fisica in area e superiorità numerica a centrocampo”. Sarebbe diventato sempre più difficile, ipotizzava, trovare spazi per centravanti d'area brevilinei, per i Michael Owen o i Robbie Fowler.
Messi, l'eredità compiuta del guardiolismo
Attaccanti così si sono più facilmente evoluti in centravanti di movimento, l'eredità più compiuta del guardiolismo che ha perfezionato con Messi una tradizione antica. Risale a “Cartavelina” Sindelar, l'attaccante dell'Austria di Hugo Meisl degli anni Trenta, e a Hidegkuti, simbolo della Grande Ungheria degli anni Cinquanta, l'immagine di quello che oggi chiamiamo “falso nove”. Guardiola però ha spinto il concetto in dimensioni meno esplorate: ma se davanti hai un genio come Leo Messi niente è davvero impossibile. L'epifania di quel che sarebbe stato matura con il game, set and match al Bernabeu del maggio 2009.
Il Real Madrid perde il Clasico 6-2, è la seconda volta che incassa sei gol in casa nella sua storia, e la prima fu nel 1931. “Avevano parlato del loro piano per contrastare Messi” racconta Iniesta dopo la partita, “ma non si aspettavano di vederlo centravanti con Samuel Eto'o spostato all'ala”. Quel Barcellona, scrive AS, gioca come solo in Paradiso. “Non sapevamo cosa fare” ammette Metzelder, allora difensore del Real Madrid.
Gioco di possesso e ritorno del centravanti
Il centravanti di movimento è spesso un centrocampista offensivo, o una seconda punta, che agisce senza un riferimento offensivo davanti. La chiave nel successo dell'utilizzo del “falso nove”, scriveva Jonathan Wilson sul Guardian nel 2009, “sta, di base, nel portare un uomo in più nelle zone chiave del campo. Se un centravanti arretra, si allontana dal difensore centrale che dovrebbe marcarlo. Il difensore può seguirlo, ma rischia di lasciare scoperto il campo alle sue spalle per i tagli delle ali o gli inserimenti dei centrocampisti. O può rimanere più bloccato, lasciando così all'attaccante più libertà”.
Molte squadre però sembrano dubitare di questa strategie, che pure porta risultati. Ci ripensa il Manchester United, che acquista Berbatov dopo aver vinto Premier e Champions League con Tevez centravanti, e anche il Barcellona sembra ripensarci quando porta in blaugrana Ibrahimovic. Ma l'incompatibilità emergerà presto.
Messi rimane un caso a sé, un fenomeno di intuizione calcistica e istinto per lo spazio che si integra perfettamente in quella visione di calcio. L'estremizzazione del gioco di passaggi, notava lo scorso febbraio Claudio Savelli su Undici, ha comportato per un certo periodo la scomparsa dei centravanti classici. Ma è diventata poi la causa scatenante del loro ritorno. “Sempre più squadre cominciano dal basso a costruire l’azione, e il risultato è che il pallone arriva già pulito sul fronte offensivo” scrive.
Si combinano due effetti. Da un lato, dunque, la fase di regia tende ad essere spostata sempre più indietro, perché l'applicazione del contro-pressing, la ricerca del recupero alto del pallone, tolgono sempre più spazi ai costruttori di gioco. Non a caso anche i portieri giocano sempre di più con i piedi e il regolamento consentirà di far ripartire l'azione toccando il pallone per un compagno anche all'interno dell'area di rigore. Dall'altra il centravanti che ripulisce il gioco non sembra più così necessario. Il numero nove torna ai primari compiti di finalizzatore, ma nel contesto fluido in cui la definizione dei ruoli si smeriglia, il paradigma contemporaneo non può che essere ibrido.
Aguero, Firmino e gli attaccanti che associano
Oggi si vince con i centravanti associativi, il tipo di giocatore che è evidentemente mancato al Liverpool nell'andata della semifinale contro il Barcellona. La differenza tra l'applicazione quantitativa e verticale dei Reds e le illuminazioni d'artista di Messi ha deciso la partita e sbilanciato l'equilibrio della doppia sfida.
Mancava, nella formazione titolare di Klopp, uno degli elementi che interpreta meglio questo modello di centravanti associativo, Roberto Firmino. Klopp lo fa muovere lontano dall'area per sparigliare la linea difensiva avversaria, ne esalta capacità di dialogo in tutte le zone del campo, sensibilità per giocare spalle alla porta, visione di gioco. Traccia così un modello che fonde tratti di due filosofie diverse. Un modello post-moderno che in Premier ha almeno un altro interprete d'eccellenza, Sergio Aguero. Non è un caso se il confronto individuale e la corsa al titolo nel campionato più ricco del mondo di fatto coincidono.
Ai vertici del calcio europeo, il modello ibrido paga. I dati delle coppie-gol più prolifiche in Serie A (Ilicic e Zapata dell'Atalanta; Quagliarella e Defrel della Sampdoria), Liga (Messi e Suarez del Barcellona), Bundesliga (Paco e Reus del Borussia Dortmund), Premier League (Salah e Mane del Liverpool) e Ligue 1 (Mbappé e Cavani del PSG) fanno emergere che solo tre attaccanti sui 12 considerati crea meno di un'occasione a partita. All'estremo opposto Messi, primo per passaggi chiave in Liga (2.8), Ilicic, undicesimo in Serie A (2.2) che si affianca a Zapata (14° con 1.8 di media), Salah, quattordicesimo in Premier (1.8 a partita).
Dell'ariete non si può fare a meno… merito di Pavoletti
Ma c'è anche un'altra tendenza, che evidenzia uno studio di Soccerment; nei cinque principali campionati d'Europa i gol di testa rappresentano il 17% del totale. Così si segna tanto in Bundesliga (0,5 gol a partita), ma è il Cagliari la squadra con più reti di testa sul totale delle marcature stagionali (45%). Il merito è di Pavoletti, che di testa ha realizzato più della metà dei suoi gol negli ultimi cinque anni.
Spiccano, in questo particolare fondamentale, Olivier Giroud, che ha segnato 0.28 gol a partita di testa in cinque stagioni (0,9 in più rispetto a quanto previsto dal modello degli expected Goals), e Guido Carrillo, quest'anno in prestito dal Leganes al Southampton. Varia il modello, una certezza resta. Del centravanti non si può fare a meno.