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Champions, fuori Manchester City e Barcellona: è la fine del tiki-taka?

Hanno vinto Liverpool e Roma, con le maglie rosso passione. Hanno perso Manchester e Barcellona, in un celeste più freddo. Sono uscite dalla Champions le due creazioni, passata e presente, di Guardiola e di un gioco di passaggi troppo cerebrale per essere sempre perfetto. Oggi controllare il pallone non basta, bisogna dominare lo spazio.
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Qualcosa sta cambiando nel calcio d'Europa. Quella di ieri resterà una notte da romanzo, scritta dentro una perfetta opposizione di colori. La vittoria dei rossi, il Liverpool e la Roma, sui celesti, gli azzurri, maglia da trasferta del Barcellona e simbolo della sponda "light blue" di Manchester, è la vittoria della passione su una tradizione scientifico-razionale. Con l'eliminazione del Barcellona e del Manchester City di Guardiola, sono fuori dalle semifinali della principale competizione per club le cinque squadre del Big 5 con il più alto possesso palla. E' la vittoria del cuore sui massimi sistemi. In Europa, il gioco di passaggi sembra non pagare più. Il controllo del pallone non è più la variabile principale nella strada verso la gloria.

Guardiola, cosa insegna il confronto con Klopp

Secondo i dati dell'ultimo studio del CIES, l'osservatorio europeo sul calcio, il Manchester City è la squadra con il più alto possesso palla d'Europa. La squadra di Guardiola, ossessionato dal controllo orientato del pallone e dall'occupazione degli spazi, controlla la palla per il 69% del tempo e tenta 7.59 conclusioni di media a partita. Ma all'andata, contro il Liverpool di Klopp, non a caso il tecnico che più volte ha battuto Guardiola in carriera, nonostante il 63% di possesso non ha mai tirato in porta. Anche ieri, nello specchio sono arrivati solo 3 dei 20 tentativi complessivi.

Nell'1-2 che certificala fine del sogno dei Citizens, De Bruyne tocca oltre 100 palloni ma la combinazione più frequente nella manovra della squadra che domina la Premier League è l'apertura di Fernandinho, che come da tradizione galleggia in un ruolo ibrido, un po' centromediano un po' centrale aggiunto in difesa, verso il terzino sinistro Laporte.

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E' un appoggio innocuo, sterile, che rivela la mancanza di idee del Manchester City, l'incapacità di aprire il gioco contro una squadra che si addensa, compatta, nel corridoio centrale per togliere aria alle fonti del gioco. La doppia sfida racconta il calcio di Klopp, tutto gegenpressing, verticalità, pensiero veloce e ricerca della perfezione. Marco Bucciantini, ha ricordato Jvan Sica in un suo gioiello, ha parlato di “fanciullesca scientificità” in riferimento al calcio di Klopp. "Nel gioco del tecnico tedesco, al di là di innovazioni scientifiche che tutti ormai conosciamo (l’importanza dell’equilibrio nella riconquista del pallone soprattutto), c’è davvero quello che viene definito un desiderio di imporsi che nessuno schema può ingabbiare e una stravaganza che tocca la sfrontatezza".

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Il calcio è scienza e passione

La Champions League, rivela ancora il CIES, è la lega con il più marcato squilibrio competitivo in Europa. Questa edizione registra il 29% di partite con uno scarto superiore ai tre gol e una differenza reti media a partita di 1.87. Ma c'è scarto e scarto. C'è il divario che nasce dal potere economico, da un formato che ha esteso forzatamente la rappresentatività di campionati di minor valore con il doppio corridoio all'ultimo turno dei preliminari per cui le vincitrici di questi campionati si scontrano fra loro e non con le seconde, terze o quarte di nazioni più attrezzate. C'è il peso del Barcellona, del Real o dell'Atletico due volte finalista nell'ultimo lustro, che sono fra le squadre che mantengono sotto contratto i propri giocatori più a lungo, con benefici di ammortamento e ancor più di pianificazione evidenti.

Squilibrio competitivo e differenza gol media in Europa - Dati CIES
Squilibrio competitivo e differenza gol media in Europa – Dati CIES

E poi c'è il bello del calcio quando diventa imprevedibile, quando i pesci piccoli tornano a mangiare quelli grandi come ha scritto Eduardo Galeano. Il calcio che torna questione più importante fra le meno importanti. Quel calcio semplice da dire ma difficilissimo da giocare, da applicare. Trionfo dell'intelligenza e dello spirito di squadra. Uscita dalle razionalizzazioni, dalle elucubrazioni, da una scientificità che, comunque, ha permesso un progresso di valore inestimabile alle idee del pallone. Il calcio di Di Francesco, che ribalta le gerarchie con l'audacia delle menti libere, che sfida Valverde con tre difensori contro tre attaccanti, due tornanti a tutta fascia e duelli individuali a tutto campo. Non inventa, guida. Non sperimenta, fa rendere al meglio.

Guardiola rimane un innovatore come pochi se ne ricordano nel calcio moderno. Ha il fascino dell'intelligenza, una velocità di ragionamento astrale e, come sottolinea Paolo Condò nei Duellanti, il libro che racconta l'opposizione filosofica con Mourinho, "a suggello delle sue costruzioni (h)a vinto come nessun altro". Pep "si immagina al centro del grande capitolo conclusivo, quello sulla squadra che gioca talmente bene da risultare definitiva".

Le posizioni in campo di Manchester City (a sinistra) e Liverpool nella gara di ritorno - Fonte: UEFA
Le posizioni in campo di Manchester City (a sinistra) e Liverpool nella gara di ritorno – Fonte: UEFA

Verticale veloce, oggi si vince così

Il calcio è un sistema complesso e come tale basta una "una causa piccolissima che sfugga alla nostra attenzione" per determinare un effetto considerevole, può rendere una situazione in campo, una giocata totalmente imprevedibile. Perché, lo sapeva bene Henri Poincaré, un fisico teorico che certo non si occupava di pallone ma di matematica applicata e teoria del caos, "può accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali ne producano di grandissime nei fenomeni finali. Un piccolo errore nelle prime produce un errore enorme nei secondi".

L'umanissimo limite del calcio che per anni ha dominato la scuola spagnola sta proprio in questo suo essere troppo cerebrale, nel suo complicare il cuore del calcio in una serie di aree da occupare, anche in allenamento, tra salida lavolpiana e half-spaces. Nella maggior parte delle occasioni, spingere in avanti la specificità degli scenari collettivi e delle istruzioni individuali comporta un progresso a cascata. Gli effetti si sono visti proprio in Germania, al Mainz di un pioniere misconosciuto come Wolfgang Frank. In quella squadra giocava un centravanti biondo che si ricicla difensore, Jurgen Klopp, che ancora ricorda le sedute di allenamento al gelo per trovare l'armonia dei movimenti.

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Senza Frank, folgorato dal Milan di Sacchi, non ci sarebbe, ricorda Sandro Modeo sul Corriere della Sera, il brand di Klopp, "quel gegenpressing ispirato al Barça di Guardiola (contro-pressing, nel senso di pressing subito reiterato a palla persa) poi mutuato da tante altre squadre". Non ci sarebbero stati nemmeno gli esperimenti utopisti all'Hoffenheim di Ralf Rangnick, che ha studiato astrofisica in Inghilterra e ha assunto un giocatore di hockey per sviluppare gli schemi in verticale. La sua scuola, che fermenta grazie a eredi come Tuchel o Nagelsmann, il baby prodigio che ne ha ereditato la panchina all'Hoffenheim, è tutta centrata sulla contrazione dei tempi di gioco. "La più alta probabilità di segnare è entro dieci secondi dalla riconquista della palla" sostiene, "e la più alta probabilità di riconquista della palla è entro 8 secondi dall’averla persa".

Controllare lo spazio

E' questo il calcio che paga in Europa. Il gioco di passaggi, che richiede la previsione di una serie praticamente infinita di variabili, con gli effetti che Guardiola ben conosce e che Marti Perarnau ha raccontato nel suo fondamentale "Herr Pep", trova più eccezioni e meno epigoni. Anche lo stesso Barcellona di Valverde è passato a una configurazione meno legata alla storia, all'eredità di Cruijff, a un certo guardiolismo di maniera, per muoversi secondo una difesa a quattro più regolare e davanti intorno a Messi trequartista più classico. E' in fondo l'evoluzione del Real Madrid di Zidane, che ha accettato l'addio al "doble pivote", il passaggio al rombo di centrocampo anche per accomodare lo strapotere di Cristiano Ronaldo ormai sempre più centravanti.

Il dominio del pallone non è più una virtù di per sé, se mai lo è stata. Il calcio, anche per effetto delle innovazioni tattiche e dei miglioramenti che la circolazione delle idee ha consentito, ha cambiato direzione. Il vecchio adagio per cui finché il pallone ce l'abbiamo noi gli altri non possono segnare si rivela inadatto a tracciare la via per il successo. Oggi forse non serve, ma sicuramente non basta, controllare il pallone. Bisogna controllare lo spazio. Un desiderio che ha il fascino delle utopie irrealizzabili, un'ambizione che apre eccezioni da leggenda a chi è pronto a farsi trascinare dalle emozioni.

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