Inter, Thohir e 5 buoni motivi per licenziare Mancini

L'Inter allo sbando non è una novità. Storicamente, il club nerazzurro – tolto il lustro d'oro 2006-2010 – è sempre stato terra paludosa, ricca di sabbie mobili improvvise, vette inavvicinabili e valli profondi. Un susseguirsi di alti e bassi che ne hanno caratterizzato la storia recente e non solo in quella definizione che oramai è cara a tutti, tifosi e avversari, di "Pazza Inter". E nell'era bis di Mancini la situazione si è riproposta prepotentemente con numeri e prestazioni che nel giro di poche settimane sono diventati incontrollabili e ingestibili. Un'Inter bifronte: dall'inizio spietato e cinico con una serie quasi infinita di successi per 1-0 che l'avevano proiettata in cima alla classifica, a quella del 2016, imbarazzante e perdente, scivolata ai bordi dell'oblio e sul filo della contestazione. L'unico filo conduttore, Roberto Mancini, l'allenatore-manager, tra i più pagati d'Italia, l'artefice di questa squadra e per questo motivo il primo (se non unico) imputato. Ecco cinque buoni motivi perchè Thohir deve trovare il coraggio (e i soldi) per lasciarlo andare a fine stagione.
1 – Non ha saputo trovare o creare un vero leader
Nel mercato estivo la campagna acquisti è stata indicata nome per nome dal tecnico ad Ausilio e agli altri responsabili dell'area tecnica: Kondogbia, Felipe Melo, Jovetic, Miranda, Murillo. Tutti giocatori dai profili ben definiti, giocatori considerati di personalità, di carisma. Ognuno a suo modo, con il giovane francese ritenuto tra i più promettenti ‘crack' del momento e pagato a peso d'oro, il centrocampista brasiliano fido scudiero del ‘Mancio' anche nell'avventura turca al Galatasaray, ‘JoJo' il genio incompreso pronto a rifarsi una vita calcistica da protagonista, i due centrali granitica coppia insuperabile. Eppure in quest'Inter Mancini ha dimenticato una cosa: affidare subito e in modo chiaro le chiavi dello spogliatoio ad un giocatore, indicandolo al resto del gruppo quale punto di riferimento sia in campo che fuori. Ci ha provato e la fascia da capitano che ancor oggi circola di braccio in braccio (Ranocchia, Icardi, Medel, Guarin, Miranda, Juan Jesus, Palacio) è segno della confusione del tecnico ma prima di tutto della mancanza di un leader.
2 – Ha sbagliato il mercato, non una ma due volte
Il primo punto è legato al secondo, ovvero un mercato ciclopico per spesa, miope per tecnica e qualità. Tanti buoni giocatori che presi singolarmente i numeri li hanno, eccome. Jovetic, Perisic, Ljajic, Miranda, Telles, Kondogbia. Ognuno nel proprio ruolo è tra i migliori, il problema è farli giocare insieme in maniera intelligente e utile alla causa. E in questo Mancini ha peccato di presunzione: si è fatto comprare i giocatori che aveva richiesto, ma non ha saputo amalgamarli. Senza dimenticare la difficoltà di gestire le diverse situazioni che si sono create, con l'allontanamento di Ranocchia, la partenza di Guarin, l'esclusione di Santon, il fallimento di Montoya. E l'intestardirsi che a questa squadra a gennaio servisse più un Eder che un Soriano o un Biglia. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
3 – Non ha saputo lavorare sulla mentalità dei giocatori
Laddove non ci arrivano i piedi ci devono arrivare le teste. Perché il calcio oltre che un gioco basato sulla qualità, si erge anche sulle motivazioni dei giocatori, sull'approccio con cui si affrontano le partite. A Torino, contro la Juventus si è confermato che è proprio nel lavoro mentale che Mancini ha fallito più che nel cambiare ogni domenica modulo e giocatori. Oggi l'Inter è una ragnatela ingarbugliata dove nessuno sa più che cosa fare e come farlo. Tutti hanno perso certezze, lavoro che si doveva fare nel momento dei successi, non ora. Quando si vinceva 1-0, tra critiche di mancanza di gioco e di eccessi di fortuna, Mancini avrebbe dovuto lavorare sulla psicologia dei suoi uomini. Se vincere aiuta a vincere, allora Mancini ha fallito miseramente e deve dimettersi a fine stagione.
4 – Si è dimostrato sempre meno autorevole
La mancanza di convinzione e tranquillità la si vede nello stesso allenatore. Sempre con i nervi tirati, pronto alla risposta, mai aperto alle critiche (anche sapendo fare all'occorrenza spallucce e tirare avanti). Laddove gli si preparano le trappole, lui ci casca sempre e puntualmente. Rendendosi sempre meno autorevole agli occhi dei propri giocatori che guardandosi attorno trovano un tecnico che litiga coi colleghi, con le giornaliste, con gli arbitri, che non parla. E in panchina si agita, non viene capito (o ascoltato), si affida ad uno spirito di squadra che per primo ha mancato di creare.
5 – Inadatto al ruolo di manager che ha preteso
E qui siamo all'ultimo punto, forse il principale: Mancini non ha le qualità per ricoprire il ruolo che ha preteso, quello di tecnico-manager. Ha dimostrato ancora una volta di non saper gestire le pressioni, enormi, alla guida di una società che ha cambiato dirigenza e modi di approcciarsi al calcio. Se Mazzarri fu in parte vittima di un cambiamento strutturale epocale con l'avvento di Thohir, Mancini ha goduto dell'incondizionata stima del neo presidente e del suo staff, senza ripagarlo. E' un tecnico che si sa vendere benissimo (vedasi i contratti plurimilionari e i poteri che riesce a ottenere) ma alla fine costruisce poco. Oggi è chiaro: Mancini ha un potere troppo grande per le proprie capacità e un carattere troppo egoista per fare un passo indietro.