Dall’incubo al sogno mondiale: Thiago Silva a Mosca dopo aver rischiato la morte
Non tutti sanno che nella lunga e gloriosa carriera di Thiago Silva è esistita una tappa, moscovita, che poteva metterlo non solo Ko a livello professionistico ma anche costargli la vita. Una discesa negli inferi dopo l’entusiasmo iniziale di aver ottenuto a 20 anni una chance importante in Europa che lo ha profondamente segnato e reso, se possibile, più pronto, maturo e attrezzato ad affrontare i problemi, di tutt’altra natura, del campo. Qui, la sua storia personale ed il suo rapporto con Mosca che, oggi come allora, potrebbe garantirgli ancora una volta una vita nuova, una rinascita, stavolta sportiva, nelle gerarchie del Ct Tite.
Il dramma moscovita: zero minuti ed il rischio di morire
Nel gennaio del 2005 il presidente della Dinamo Mosca Alexei Fedorychev ha una fissa: quella di vincere il campionato ed ottenere il primo successo nazionale dal 1976, all’epoca del campionato dell’URSS, in pratica: una vita prima. E così, per costruire una gioiosa macchina da guerra, si affida al già molto potente intermediario Jorge Mendes che, tra gennaio e l’estate successiva, porta nella capitale russa, in rapida successione, 12 acquisti fra talenti portoghesi, brasiliani e provenienti dalla Grecia. Oltre a Costinha e Derlei, campioni un anno prima d’Europa col Porto di Mourinho, ci sono anche Seitaridis, fresco vincitore dell’Europeo lusitano con Rehaggel in panchina, Danny e, appunto, un giovane centrale di belle speranze chiamato Thiago Silva. Eppure, qualcosa non va, i trasferimenti, ricchissimi, non sortiscono l’effetto sperato e, alla fine della stagione 2004/05, i biancoazzurri di Oleg Romantsev, famoso ex allenatore dello Spartak e della Russia, scelto per allenare la colonia portoghese di Fedorychev, terminano all’ottavo posto. In pratica, Danny a parte, le nuove risorse di Jorge Mendes falliscono miseramente, Thiago Silva, invece, non giocherà mai. Ma la trappola è presto svelata: tutti i giocatori giunti allo stadio Dinamo sono stati firmati senza subire controlli medici approfonditi, e il brasiliano, pur bravo negli allenamenti, si stanca prestissimo dando la sensazione di non essere proprio in forze, in salute.
La Russia è fredda, arcigna, ostica e così le sue condizioni non migliorano. I sintomi non scompaiono: temperatura elevata, tosse, sudorazione. All'inizio, l’equipe medico pensa solo ad un forte raffreddore, alcuni giorni dopo però si ricrede e, preoccupati per lo stato del ragazzo, lo inviano per controlli in clinica. I risultati sono spaventosi, Thiago è malato di tubercolosi da nove mesi e gli stessi sanitari gli rivelano: "Se la malattia fosse stata scoperta un paio di settimane più tardi, saresti morto”. Ma la cura sembra peggiore del male, perché lo staff medico consiglia di ritagliare la maggior parte del suo polmone destro per migliorare le possibilità di sopravvivenza del brasiliano. Thiago Silva, non ci sta, non accetta e conserva la speranza di potere giocare ancora a calcio. Cosa che, evidentemente, non avrebbe potuto più fare con un polmone e mezzo. Trascorrono sei lunghissimi mesi in un ospedale russo, in una terra straniera lontana quasi anni luce dal suo Brasile. L’angoscia, la preoccupazione, l’ansia sono sentimenti che albergano per diverso tempo nel centrale poi del Milan coccolato sì dal club russo ma lontano dagli affetti più cari, almeno nelle prime settimane di degenza. E poi? E poi l’incubo inizia a perdere la sua vigoria, arrivano i suoi genitori e la ragazza, la malattia, sia pure forte, scompare pian, piano e, dopo sei mesi, Thiago torna a sorridere, a vivere. La Dinamo Mosca gli paga tutte le cure ma a scadenza di contratto, nel gennaio 2006, lo lascia andare chiudendo la triste parentesi russa.
La chance mondiale, la sfida del destino ancora una volta in Russia
Il suo recupero e la sua ascesa, poi, sono una storia già scritta più volte e nota quasi a tutti e anche se ci è voluto del tempo, Thiago Silva è riuscito a riprendere fiducia in se stesso e diventare un giocatore chiave alla Fluminense. Alla fine, dunque, si è scoperto che l'allenatore Romantsev aveva ragione su di lui: Silva era (ed è) brillante. Dopo essersi trasferito a Milano nel 2009, è diventato pian piano uno dei migliori giocatori al mondo nella sua posizione, ed è stato addirittura paragonato da alcuni al grande Franco Baresi prima di lasciare la Lombardia e diventare un perno della retroguardia del Paris Saint Germain. Una evoluzione positiva che, però, non s’è ripetuta nella Seleçao. Riserva, dietro Juan e Lucio a Sudafrica 2010, e poi leader sfortunato nel mondiale casalingo del 2014 dove è stato non poco criticato. Dapprima, per essersi rifiutato di calciare un rigore nella lotteria dei penalty degli ottavi di finale col Cile e poi, per un giallo rimediato nel turno successivo contro la Colombia ai quarti di finale che gli pregiudicano la semifinale con la Germania. Sì, quella del 7-1 e del Mineirazo. Da allora, la nazione raramente ha avuto fiducia in lui. Dunga, che sostituisce Luiz Felipe Scolari come Ct dopo i Mondiali del 2014, lo abbandona gradualmente con Silva che non viene nemmeno convocato per la Seleçao impegnata alla Copa America 2016.
E poi, con Tite, la musica non cambia, prende parte a sole cinque partite di qualificazione in Russia, di cui due da titolare, perdendo la presa sul tecnico che, anche domani con la Svizzera a Rostov, dovrebbe preferirgli la coppia Marquinhos-Miranda. Eppure, come nei migliori romanzi, nelle migliori sceneggiature hollywoodiane, quello stesso ragazzotto dagli ampi margini di miglioramento che, 13 anni prima, poteva morire a Mosca, in Russia, oggi, con impegno e dedizione, sempre nello stesso scenario, potrebbe riprendersi la titolarità, il proscenio e pure un titolo, quello iridato, che manca a Rio e dintorni dal 2002. Chiamatela suggestione, romantica illusione o, semplicemente, una storia di duplice redenzione.