Da esubero ad arma segreta, il capolavoro di Ancelotti si chiama Maksimovic
L’impatto di Ancelotti sul Napoli è stato davvero importante con i primi quattro mesi di lavoro addirittura capaci, se non di oscurare quanto fatto in passato da Sarri, almeno di arginare la ferita della separazione dal comandante toscano. La mossa Ancelotti da parte di De Laurentiis è stata strategica ed ha portato subito ai risultati sperati. Risultati quali una nuova dimensione, e pure autorevolezza, europea, quattro turni di fila senza sconfitta in Champions League, una differente gestione della rosa e la valorizzazione di alcuni profili che, negli ultimi anni, sono stati messi ai margini delle rotazioni, iper-ristrette, dell’attuale tecnico del Chelsea.
E Maksimovic, peraltro emigrato lo scorso gennaio in Russia per giocare con continuità, è oggi il manifesto ideologico di questo rinnovamento ancelottiano col centrale ex Torino divenuto, d’un tratto, arma vincente del sodalizio campano che, nella “coppa dalle grandi orecchie”, si affida sempre, a tre o a quattro, al difensore serbo. Versatilità ed intelligenza tattica, terzo a destra o fluidificante in una difesa a quattro, abbinati a fisicità, scelta di tempo e discreta qualità. Componenti che avevano fatto lievitare il suo prezzo fino ai 25 milioni di euro investiti dal Napoli nell’estate del 2016 e che, oggi, in poco tempo, sembrano di nuovo consoni alle prestazioni del numero #19.
Scoperta in difesa: tuttofare sulla destra
Inizia la stagione del Napoli ed Ancelotti, dopo due mesi di allenamenti, intravede alcune situazioni tattiche che potrebbero essere determinanti per la sua nuova squadra. La prima, annunciata già in ritiro, riguarda l’accentramento nella zona nevralgica del campo, in regia di Hamsik. La seconda, l’avvicinamento di Insigne alla porta e, la terza, la difesa a tre, o a quattro, con Maksimovic titolare di fianco agli irriducibili Koulibaly e Raul Albiol.
Mai scelta fu più azzeccata. Specie in Champions League. Il serbo assiste alla sbiadita trasferta di Belgrado e, poi, esordisce contro il Liverpool e si conferma nel doppio confronto col Paris Saint Germain di Tuchel. E proprio contro mostri del calibro di Mané, Salah, Mbappé o Neymar, al netto di qualche congenita difficoltà, il #19 partenopeo riesce a mostrare tutte le sue potenzialità. In difesa, ma anche in sede di proposizione del gioco. Nel pacchetto arretrato a tre, difatti, Maksimovic garantisce ampia copertura, aggredisce l’avversario, occupa bene gli spazi per poi rilanciare l’azione ed appoggiarla supportando sulla corsia destra lo spagnolo Callejon. In Europa, Hysaj gli cede il posto ma il Napoli gira e gioca bene contro tutti, anche contro corazzate come Liverpool e Psg.
E la soluzione a tre col serbo scompagina tutte le certezze dei tedeschi Klopp e Tuchel che, a fatica, provano ad adottare le giuste contromisure. Ma anche nella versione a quattro dei campani, con Mario Rui sulla linea di difesa, KK e Albiol al centro e lui sulla destra, il risultato varia di poco.
Certo, in termini di qualità qualcosa manca ma quanto a capacità di leggere i movimenti e le azioni avversarie il nativo di Bajina Basta dà ragione ad Ancelotti che, in lui, vede una autentica arma per disorientare gli avversari ed organizzare un fluido 3-5-2 che, in fase di non possesso, col terzino lusitano Rui a scalare, si trasforma in un ordinato 4-4-2.
Più partite a novembre che nel recente passato (o quasi)
Maksimovic si riscopre pedina importante, a tratti fondamentale, e torna ad essere, se non nel centro del progetto tecnico di Ancelotti, nei piani tattici del proprio allenatore bravo, anche dal punto di vista mentale, a ritrovarlo e ad affidargli compiti importanti: controllare in difesa le stelle della Champions.
E pure in campionato il serbo non pare essere distante dalla titolarità con quattro gare e 286’ di gioco già a referto contro Fiorentina, Torino, Parma ed Empoli. Insomma, il #19 è tornato o, forse, è finalmente approdato a Napoli col ragazzo, ora sì coinvolto nella rosa partenopea e, pure, già proprietario di 542’ di gioco totali, ovvero: esattamente il doppio di quelli giocati, in appena quattro gare, la scorsa annata. Ed il confronto, anche con la stagione 2016/17, sembra quasi impietoso con le sette gare ufficiali di questo inizio vicine alle 12, sempre con Sarri in panca, del suo primo anno all’ombra del Vesuvio. La trasformazione è raggiunta: da esubero e titolare aggiunto e, poi, ad arma segreta (o quasi).