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Football Leaks

Cos’è la Superlega, il piano dei top club svelato da Football Leaks

Un campionato riservato alle big d’Europa, fuori dalla Uefa e dalle leghe nazionali. Il progetto, abbozzato già nel 1998, si stava per concretizzare nel 2016. Nei documenti svelati dall’inchiesta Football Leaks emerge il ruolo guida di Bayern Monaco, Real Madrid, Juventus. La riforma della Champions League, però, non è bastata per mettere fine al piano.
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La Superlega europea non è mai stata così vicina come nel 2016. Le carte divulgate dal settimanale tedesco Der Spiegel nell'ambito dell'inchiesta Football Leaks, che coinvolge anche i partner dell'Eic (European investigative collaborations) come L'Espresso per l'Italia, rivela i negoziati fra i dirigenti delle big d'Europa per creare un campionato separato, chiuso, esclusivo e ricchissimo. La trattativa, scrive Der Spiegel, sarebbe stata gestita da Karl-Heinz Rumenigge, presidente del Bayern Monaco che però nega, insieme ad Andrea Agnelli. Le grandi del pallone vorrebbero uscire dai campionati nazionali e dalla Uefa che, provvisoriamente diretta dal segretario generale Theodore Theodoridis dopo la sospensione di Platini e l'elezione di Infantino alla presidenza della Fifa, approva la riforma della Champions League: quattro posti sicuri per le prime quattro nazioni del ranking e nuova distribuzione dei premi. Si riduce la quota del market pool, che dipende dal valore dei diritti tv nelle singole nazioni, si introduce un ranking basato sui risultati nelle competizioni Uefa degli ultimi dieci anni sulla base del quale si divide il 30% della torta, 585 milioni di euro: alla prima classificata, il Real Madrid, andranno 35,46 milioni.

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La Superlega reazione al fair play finanziario?

Proprio le merengues sono al centro del progetto Superlega, a giudicare dalla lettera della società di consulenza Key Capital Partners al presidente Florentino Perez, svelata da Football Leaks, in cui si propone la creazione di una società con undici azionisti (Real e Barcellona, Juventus e Milan, Paris Saint Germain, Bayern Monaco, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City e Manchester United) per gestire il nuovo campionato. Il Real, maggior azionista, dovrebbe definire le norme e i criteri per la distribuzione dei diritti televisivi.

Il desiderio di creare una lega separata può nascere anche, scrivono Holger Preuss, Kjetil K. Haugen e Mathias Schubert sullo European Journal of Sport Studies, come reazione alle restrizioni del fair play finanziario e al declino in termini di equilibrio competitivo che ne è derivato. “I migliori dovrebbero sempre giocare con i migliori”, diceva Florentino Perez nel 2009. È una posizione non certo rivoluzionaria. È il principio che ha portato il tennis a rivoluzionare il proprio calendario dal 1990 introducendo una nuova categoria di tornei obbligatori per i top player, i Masters 1000 di cui fanno parte gli Internazionali di Roma. Unirsi per creare un torneo più appetibile è l'obiettivo alla base del progetto di fusione del campionato belga e olandese e della Mega League, l'ambizione del bulgaro Rumen Vatkov, ex responsabile marketing del CSKA Sofia che vorrebbe unire tutte le 17 nazioni del Sud-Est Europa in un unico campionato con 42 squadre in due divisioni. È in fondo lo stesso principio che ha orientato la creazione della Nations League.

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L'americanizzazione del calcio europeo

A un meccanismo simile, con promozioni e retrocessioni, pensava Arsene Wenger quando nel 2009 profetizzava al Guardian la nascita di una Superlega nel giro di dieci anni. “Alcuni club spendono troppo, e nemmeno i soldi della Champions bastano per loro. Penso che si arriverà a una lega europea, anche se io credo nel merito sportivo. Per cui, se ci si arriverà, dovrà prevedere promozioni e retrocessioni perché non vogliamo uccidere i campionati nazionali”.

Le ultime rivelazioni di Football Leaks, però, dimostrano che le big d'Europa guardano più al modello americano che, in assenza di promozioni e retrocessioni, tende a privilegiare il risultato economico. In un sistema senza radicamento territoriale delle franchigie, la spettacolarizzazione passa per l'esaltazione dell'equilibrio competitivo che viene mantenuto, nel medio-lungo periodo, attraverso meccanismi perequativi come il draft (le ultime classificate dell'anno precedente hanno diritto alle prime scelte sul mercato l'anno successivo) e il salary cap, il tetto salariale, più rigido nell'hockey, più soft in NBA (la lega l'ha fissato quest'anno a 101 milioni, le squadre possono superarlo ma se vanno oltre i 123 pagano una ulteriore tassa alla lega che poi la redistribuisce alle franchigie più virtuose).

Già nel 1999, in uno studio paradigmatico e anticipatore, The Americanization of European Football, Hoehn and Szymanski hanno sostenuto che il sistema calcistico europeo, con alcuni team che partecipano sia ai campionati nazionali sia alle competizioni europee, non fosse più sostenibile. L'eventuale Superlega, scrivevano, farebbe crescere “l’investimento in talento delle squadre partecipanti. E mentre questo mantiene alto l’equilibrio competitivo della lega, le squadre più piccole nelle competizioni nazionali restano indietro e i campionati nazionali diventano sempre più squilibrati. Quanto più si ricerca l’equilibrio competitivo, tanto più velocemente si distrugge il valore del campionato nazionale”. Sembra scritto ieri, e invece son passati quasi vent'anni.

Il primo progetto di Superlega è di vent'anni fa

Il primo progetto di Superlega, infatti, è del 1998. Aveva già una dimensione spiccatamente televisiva, già chiara dall'identità del promotore, la Media Partners presieduta dall'ex dirigente di Telepiù Rodolfo Hecht. Ha chiamato il piano "operazione Gandalf" in omaggio al mago protagonista del "Signore degli anelli" di Tolkien: come il saggio mago, vuole creare una sua compagnia, con le 16 squadre più grandi del continente. Hecht, che all'epoca era anche editore di Milan Channel, ottiene anche una una lettera di «endorsement» della banca d'affari americana JP Morgan. Ma la sua missione non si conclude con la vittoria nella Terra di Mezzo, come quella della Compagnia dell'Anello nella trilogia di Tolkien. L' Uefa modifica la formula della Champions League, Milan e Juventus, le italiane che avrebbero dovuto essere coinvolte, incassano subito i dividenti. L'operazione, scrive Enzo Morelli nel suo libro “I diritti audiovisivi sportivi”, “naufraga per la forte opposizione dell'Uefa e delle istituzioni europee preoccupate che l'introduzione di nuove competizioni, specie con clausole come quella di partecipazione esclusiva di tre anni senza retrocessioni, potesse comportare uno stravolgimento delle regole dello sport continentale, con un inevitabile impoverimento dei campionati nazionali”.

Quando Stephen Ross incontrò le big della Premier

L'idea riprende quota dopo la dissoluzione del G14, l'organizzazione che ha riunito dal 2000 al 2008 le 14 squadre più influenti d'Europa. France Football presenta un dossier nel 2009 in cui delinea un piano per una competizione con tre categorie in 38 o 42 date, in accordo con la UEFA. Per qualche anno, dopo la nascita dell'ECA, la European Club Association che oggi presiede Andrea Agnelli, di Superlega si parla poco. Due anni fa, però, mentre il Bayern Monaco inizia a muoversi e chiedersi se può davvero sganciarsi dalla Bundesliga per giocare solo la Superlega, il Sun racconta di un incontro fra le cinque principali squadre della Premier League (Arsenal, Chelsea, Manchester United, Manchester City e Liverpool) e il miliardario americano Stephen Ross, proprietario dei Miami Dolphins che organizza ogni estate la International Champions Cup. “L’incontro c’è stato e di una nuova competizione si è parlato eccome”, rivelava allora un collaboratore al Foglio. “Il progetto esiste, contatti con sponsor e televisioni ci sono già stati, al momento bisogna però capire quali sono gli spiragli per intavolare una trattativa”.

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L'Uefa gioca in difesa

Di fronte alla prospettiva di una americanizzazione del calcio europeo, scriveva su Calciomercato.com prima delle rivelazioni di Football Leaks Pippo Russo, punto di riferimento in Italia sull'argomento, “l'Uefa si troverebbe davanti a un bivio molto difficile: assecondare le richieste dell'ECA [oppure] arroccarsi in difesa delle proprie prerogative (oltreché del cosiddetto Modello Europeo), ma col serio rischio di vedere andare via quel segmento di calcio continentale che fa da locomotiva per l'intero movimento”. I prossimi anni saranno decisivi. Dall'interesse di pochi dipende il futuro di molti e il destino del modello sportivo europeo come l'abbiamo conosciuto finora. Questa non è l'America, ma per quanto ancora?

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