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Fifa World Cup 2018, i Mondiali in Russia

Non piangere per lui, Argentina: il Mondiale di Messi inizia adesso

Messi è il terzo argentino a segnare in tre Mondiali dopo Batistuta e Maradona, eccessivo anche da tifoso in tribuna. E’ il giocatore con più dribbling al Mondiale dal 1966. Ma il suo gol d’autore non sarebbe servito a nulla senza il destro al volo di un difensore mancino, Rojo. Il talento è nulla senza lo spirito di squadra.
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Un gol d'autore, il centesimo a Russia 2018. Nel sollievo di Messi dopo il vantaggio, illusione sofferta prima di una gioia per questo più intensa, c'è il pianto di gioia di una nazione. E' il suo sesto gol in Coppa del Mondo, è un punto di inizio per una diversa storia collettiva. Non ha mai invitato la fortuna o la fama, anche se per il mondo non ha mai desiderato altro. Sono solo illusioni, come la vittoria e la sconfitta nella poesia di Kipling, non la soluzione che promettono di essere. Ma in questa strana illusione, in questo incrocio di destini, la nazionale non l'ha mai abbandonata. Don't cry for him, Argentina. Non piangere per lui, Argentina, quanto ha pianto lui con la mamma a consolarlo. Il Mondiale di Leo Messi inizia adesso.

Il 100mo gol di Russia 2018 è un tocco d'artista

Ha un altro sguardo, Messi, terzo argentino dopo Batituta e Maradona, eccessivo, scorretto e addormentato in tribuna, a segnare in tre diversi Mondiali. Ha gli occhi di chi è pronto alla prova che non conosce appelli. L'Argentina dalla formazione più anziana di sempre in un Mondiale a chi altri potrebbe affidarsi contro il diciottenne Uzoho? Il controllo di coscia sinistra, il tocco leggero per superare il ripiegamento di Omeruo, il destro a incrociare. Eccoli, i tre fotogrammi di una pennelata d'artista, i tre indizi che provano una rivoluzione.

Ha scelto il controllo più difficile per dire alla sua maniera che lui c'è, per dirlo a Cristiano Ronaldo dopo il rigore sbagliato del portoghese. Ma i Caballeros de la angustia, titolo malinconicamente splendido per l'Argentina e per il portiere bocciato dopo le prime due partite, non han perso la propria sindrome un po' disfattista e fin troppo auto-lesionista.

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Per un tempo si rivede la vera Argentina

Per un tempo, l'Argentina torna squadra. Si rivedono le coperture preventive, Di Maria e Perez allargano sì la difesa avversaria ma non allargano le distanze fra le linee dell'albiceleste. Banega, poetico l'assist per la pennellata triste, solitaria e finale, sintetizza quel che è mancato alla nazionale nelle prime due partite, un collante, un gancio, un enganche, che liberasse Messi dalla responsabilità e lo avvicinasse alla porta avversaria.

Sampaoli costruisce una squadra che dovrebbe aumentare ritmo e quantità di possesso palla per ridurre i rischi di contropiede. Avrebbe bisogno di coperture preventive, di non prendere rischi, di giocare semplice e superare la linea di pressing magari con una seconda giocata e non con un pallone lungo.

Mascherano il dissidente sta per sabotare un sogno

Le idee durano un tempo, poi con le ondulazioni del destino che accompagnano i capitoli del calcio albiceleste, si sgretolano. In questa sceneggiatura che sarebbe troppo perfetta se fosse studiata, a sabotare il sogno è il più critico verso Sampaoli, il leader carismatico che sarebbe venuto alle mani in spogliatoio, il condottiero di una soi-disant fronda che, si diceva, avrebbe di fatto deciso la formazione. Mascherano, che avrebbe voluto Biglia e Pavon in campo, abbraccia Balogun e l'intento non è proprio amichevole.

Il rigore confonde l'Albiceleste, obnubila anche Messi che galleggia senza trovare un posto dentro una squadra che ormai non riconosce. “Il piacere di abbattere gli idoli è direttamente proporzionale alla necessità di averli” scriveva Eduardo Galeano. Nel racconto degli splendori e delle miserie del gioco del calcio non pensava a Messi, ma in fondo anticipa quel che il rigore anticipa. Il pareggio, lo spaesamento, lo straniamento portano il senso di parole antiche, del rancore contro un campione schiacciato dal peso del suo stesso personaggio. “Confrontare Messi con il resto dei giocatori è come paragonare un grande poliziotto con Batman” diceva Sampaoli non ancora ct. “Dovrebbero istituire due Palloni d’Oro ogni anno, uno per lui e l'altro per gli altri. Quando vuole riesce a creare cose inimmaginabili”.

Messi umano, troppo umano

L'ottimismo della volontà però non basta. Il primo gol di questo Mondiale sembra essere a lungo anche l'ultimo, apre voragini di incertezze. Messi si riscopre e si rispecchia triste e solitario, come contro l'Islanda, altro che goat. Né capra né migliore di ogni tempo, solo umano, troppo umano, per una sera al di là del bene e del male. Assoluzione e delitto, avrebbe detto De André, lo stesso movente. Diventa il giocatore con più dribbling riusciti al Mondiale dal 1966, sa come scartare di lato, e ha imparato che la sorte può anche far cadere i geni a cui ha concesso di abbondare col libero arbitrio.

Nel calcio che è dubbio costante e decisione rapida, Messi nelle categorie di Soriano ondeggia fra la sorpresa e la poesia, profeta che crea spazio dove non avrebbe dovuto esserci. Ma anche la verde milonga che sostituisce i potreros, i campetti di una gioventù ormai sopita e coperta dalla barba da uomo, può dimostrare in maniera lampante l'esistenza di un dio. Del dio laico che dà e toglie la felicità sul volto dei bambini, del pallone che incontra sempre nuovi adoratori, del motore immobile e distante di un destino indecifrabile per un'ottantina di minuti.

Rojo di destro, un segno del destino

Entra anche Pavon, solo omonimo del comprimario del Real dei Galacticos. Quella squadra, però, sapeva affascinare perché consapevole di essere due anime, pavones y zidanes. Questa Argentina a cui manca una coscienza profonda di sé attende un segno per restituire velocità a un tempo languidamente disinteressato, distante, ostile.

Messi ha un tango personale da ballare, un pensiero triste da staccare e conservare. “Un ballerino non deve mai pensare a ciò che sta per fare perché si balla la musica non le figure” dice Carlos Gavito, il più grande tanguero del mondo. “Egli deve solo sentire la musica. I nostri piedi sono come i pennelli di un pittore. Con essi dipingiamo la musica”. Una musica dolce e lontana come un addio. Poi però succede qualcosa.

Succede che l'adagio diventa allegro andante, che il tango d'amor perduto diventa racconto di un'altra forma di seduzione: il contropiede, che per Luis Cesar Menotti, l'allenatore filosofo campione del mondo nell'Argentina dei generali, è come l'amore. Un buon contropiede è un colpo di fulmine che si incontra e non si pianifica, diceva. E come si potrebbe pianificare il taglio sul primo palo di Aguero e il destro al volo di Rojo, un mancino più abituato a controllare la propria di area?

È il saluto che arriva da lontano alla patria degli amori e delle illusioni come nel tango patriottico di Vicente Greco. È la risposta alla sindrome del salvatore per forza. Il talento è talento ma è lo spirito della squadra che fa la differenza. L'Argent

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