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L’Inter di Thohir compie un anno e il regalo si chiama Roberto Mancini (video/foto)

Sulla panchina nerazzurra torna l’allenatore dei successi post Calciopoli che ha chiesto consiglio a Moratti, il presidente con cui ebbe sempre un rapporto di amore e odio che produsse l’Inter più forte degli ultimi anni.
A cura di Alessio Pediglieri
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Domani l'Inter di Erick Thohir compie un anno di vita perché proprio il 15 novembre 2013 venne ufficializzata l'entrata in società del magnate asiatico in nerazzurro. Prima a piccoli passi, poi con un crescendo che oggi identifica in Thohir l'azionista di maggioranza e il presidente dell'Inter. E il tycoon indonesiano si è voluto regalare, forse, il regalo più importante chiudendo definitivamente con il recente passato morattiano. Dopo aver epurato gli eroi del Triplete in campo, dirigenti e responsabili in società, mancava l'ultimo tassello ereditato: l'allenatore. Così, Walter Mazzarri è stato esautorato dal suo incarico proprio alla vigilia dell'anniversario, ultimo elemento di un'Inter che non sapeva più vincere. Puntando su Roberto Mancini, che ha firmato un contratto per due anni e mezzo e con emolumenti pari a 4 milioni di euro netti più premi a stagione. Anch'egli sì un ‘uomo' dell'era morattiana, ma di quella vincente e che seppe tenere testa proprio all'ex presidente, in dualismo che solo gli anni ha placato.

Le parole di Thohir. "Quest'oggi ho preso la difficile decisione di sollevare dall'incarico di allenatore della prima squadra Walter Mazzarri – si legge nella nota diffusa dalla società -. E' stata una decisione presa di comune accordo con tutto il management. E' stata una scelta difficile perché Mazzarri ha sempre sostenuto le scelte del club, lavorando instancabilmente e con grande altruismo per l'Inter, con passione e convinzione. Lo voglio sinceramente ringraziare per tutti gli sforzi profusi. Comunque il nostro obiettivo è quello di riportare l'Inter a essere uno dei top club d'Europa ed è per questo che sono felice di dare il bentornato a Roberto Mancini. La sua carriera all'Inter come altrove, parla per lui. La sua esperienza internazionale, così come la sua voglia di successi, porterà la squadra a un livello più alto".

Era l'11 marzo 2008 e Roberto Mancini annunciava a sorpresa il suo addio anticipato dalla panchina dell'Inter. Era la sera dell'esclusione dalla Champions league per opera del Liverpool (vittorioso a San Siro 1-0 dopo il perentorio 2-0 di Anfield) e l'inizio di quella che poi è ancor oggi ricordata l'era di Mourinho. Sei anni fa, il tecnico jesino gettò la spugna, ad un passo dall'ennesimo scudetto, aprendo il fianco alle polemiche e alle tensioni con Massimo Moratti, il presidente che lo portò in nerazzurro e che gli diede in mano una società oppressa da Calciopoli per farla tornare grande. E con il quale si lasciò amaramente perché, come ricordò lo stesso Mancini anni dopo (era il 2011) "fui cacciato da massimo Moratti, ma il presidente aveva tutto il diritto di fare quello che ha fatto". Senza se e senza ma, con le strade che si separarono a maggio del 2008 e l'Inter che scelse la via vincente dello Special One e il tecnico marchigiano che optò per la fortunata avventura a Manchester, sponda City. Da allora, però, le polemiche scemarono, ognuno soddisfatto delle scelte fatte e delle vittorie ottenute, anzi, il rapporto andò pian piano ad assestarsi su un piano differente, più alto e professionale, con rapporti di lavoro che si intrecciarono senza attriti. Come quando Mancini chiamò, Moratti rispose, Balotelli partì.

Una storia ed un rapporto fatto di contraddizioni tra uno dei presidenti più volubili della storia del calcio e uno degli allenatori più edonisti e antipatici del panorama nostrano tanto da farsi quasi terra bruciata attorno a sè, inviso dagli stessi suoi colleghi che mal digerivano la classica ‘spocchia' di un tecnico che vinceva e faceva di tutto per vantarsene. Tanto che gli venne consegnata la prestigiosa "Panchina d'oro" (premio di categoria votato dagli stessi tecnici) solamente nella stagione (2007-2008) che ne sancì la partenza dall'Italia. Come fosse un biglietto di "tanti saluti, grazie e arrivederci". Due caratteri, quello di Moratti e di Mancini, opposti e forse per questo anche molto uguali. nella voglia di vincere soprattutto e di combattere il comune nemico che allora aveva il volto e le sembianze della Calciopoli bianconera identificata nella Triade Moggi-Giraudo-Bettega. Facendo proprio il vecchio adagio tuareg secondo il quale "l'amico del mio nemico è mio amico" dove l'ostilità era tutta per l'odiata Juventus e divenne la forza collante anche durante le divergenze.

Perché tra Mancini e Moratti di divergenze ce n'erano e tante. Il ‘Mancio' aveva accettato nel 2004 l'incarico nerazzurro, ancor prima che scoppiasse il caso Calciopoli. E aveva voluto sin da subito precise garanzie tecniche presentando una lista giocatori che venne esaudita nella quasi totalità da parte della dirigenza. Dunque, l'Inter che iniziò a vincere dal 2006 sulle ceneri del calcio italiano, tra mille polemiche, sottintesi, attacchi diretti e indiretti, Mancini se la sentì esclusivamente propria. Ed anche le ingerenze di Moratti erano viste come atti poco graditi. Dall'altro canto c'era un presidente che dopo decenni di sconfitte s'arrogava il diritto di aver svelato il trucco e arrestato il colpevole, pretendendo che parte dei successi in campo fossero arrivati anche per il lavoro di pulizia svolto dalla società. Ambivalenze che in quel quadriennio diedero all'Inter la forza e la consapevolezza di poter vincere e così fu: tre scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa nazionale. Poi, i due caratteri che tornano ad emergere, con tutte le proprie differenze. E i trofei europei che non arrivano. Qualcosa torna a incrinarsi, cresce la voglia di cambiamento d'entrambi. Ognuno gioca le sue carte: Mancini lancia la sassata a marzo, Moratti la raccoglie a maggio quando presenta Mourinho.

Le polemiche si sprecano, i malumori restano e dopo due mesi forzati da separati in casa dove sia il tecnico che l'allenatore giocano un braccio di ferro che porterà all'ultimo scudetto del 2008, ognuno parte per la propria nuova avventura, da vincente. Moratti toccherà il tetto del mondo con Mourinho dimostrando la propria ottima scelta; Mancini volerà a far vincere il Manchester City come mai nessuno prima, sottolineando ancora una volta le proprie qualità. Oggi, però, il cerchio si chiude: Mancini ritrova l'Inter dopo 10 anni dal suo primo arrivo. Una società totalmente diversa sia per il reparto tecnico che per quello dirigenziale. Non c'è nulla né nessuno delle vittorie d'allora, nemmeno Moratti. Con il quale però, prima di dire di sì a Thohir, si è sentito per confrontarsi sulla bontà della scelta da fare. Perché gli opposti possono anche odiarsi, ma alla fine si toccano. Sempre.

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