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Icardi flop: simbolo del fallimento di un Mancini alla deriva

La sconfitta del derby passa per le scelte sbagliate del tecnico nerazzurro. Colpevole di aver tolto certezze ad un gruppo che le stava costruendo, mettendo a rischio gli investimenti economici di Thohir e sgretolando l’autostima dei propri giocatori. Come Icardi, incapace di segnare oramai anche su rigore.
A cura di Alessio Pediglieri
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Perdere un derby ci sta. Ci sta anche perderlo 3-0 (all'Inter in passato è andata anche peggio nei momenti più bui della storia nerazzurra). E ci sta anche perderlo contro una squadra che non è superiore a te e che sta provando a ritrovarsi sfruttando proprio la stracittadina come rampa di (ri)lancio. Non ci sta perderlo a causa dei propri (incomprensibili) errori tattici, sbagliando la formazione iniziale, senza badare agli evidenti limiti tecnici e illudendosi che un giocatore (arrivato da 48 ore) possa sovvertire le sorti di una stracittadina dal valore specifico enorme. Se l'Inter domenica sera è uscita da San Siro battuta e umiliata le colpe non sono dei giocatori, nemmeno di Icardi, reo di aver sbagliato il rigore che poteva cambiare la storia del derby. Ma di Roberto Mancini, un allenatore nel pallone, sull'orlo di una crisi di nervi (l'ennesima della carriera) che uscendo dal campo (da espulso) completa l'opera offrendo il dito medio al pubblico milanista.

Il tecnico jesino ha il dovere di assumersi interamente le responsabilità di quanto visto in campo nel derby contro il Milan. Senza scuse né attenuanti, perché ha confermato come questo insieme di giocatori non sia una squadra e non potrà esserlo, oramai, fino a fine stagione. L'ennesima, in cui il club dovrà pensare a limitare i danni per non sprofondare in un baratro economico in cui Thohir può scivolare dopo aver speso milioni di euro scommettendo sull'approdo Champions League, oggi ancor più lontano di ieri.

Primo errore, la formazione – Quando l'Inter è scesa in campo ha presentato l'ennesima formazione inedita. Segno che la voglia di stupire e non dare punti di riferimento agli avversari sia ancora oggi (e nonostante tutto) un biglietto da visita cui Mancini non voglia rinunciare. C'era Eder, il neo acquisto appena arrivato e scaraventato nella stracittadina. Dimenticando che si tratta di un semplice bomber e non del novello Messia. C'era Santon, il ‘bambino', sulla destra, cursore basso della difesa a quattro. Che non calcava i campi verdi della Serie A da undici partite (ultima apparizione – è proprio il caso di dirlo – risale al 27 ottobre Bologna-Inter 0-1). Ma soprattutto non c'era Mauro Icardi, emblema del fallimento tecnico di Mancini che ha relegato l'argentino all'ennesima panchina.

Secondo errore, il centrocampo – Contro un Milan squisitamente pragmatico messo in campo da Mihajlovic con gli uomini migliori (l'abc per giocare a calcio) a propria disposizione, l'Inter si è posta con un iper offensivo 4-2-3-1 spingendo il baricentro sui piedi buoni di Perisic-Jovetic-Ljajic ed Eder ma dimenticando di avere in Brozovic e Medel due interdittori di media qualità. Risultato? Costante inferiorità numerica in mediana e solito problema sulla trequarti: nessun uno contro uno, tutti portatori di palla, nessuno capace di dare idee al gioco. Tanto che ad un certo punto Mancini ha dato consegne a Brozovic (!) perché facesse il regista. Esito? Cinque passaggi facili facili sbagliati in poco meno di dieci minuti. Tanto che se ne sono accorti anche i compagni che hanno cercato altre soluzioni.

Terzo errore, le certezze perdute – Da quando esiste il calcio si sa che una squadra perché possa rendere con continuità necessita di certezze dentro e fuori dal campo. L'Inter non le ha. Mancini gliele ha tolte, piano piano, una ad una. L'ultima è stata Icardi in panchina nel momento in cui per la prima volta in stagione poteva contare su due attaccanti di ruolo che avrebbero potuto dare spinta offensiva senza scoprire il centrocampo (magari con un Perisic in meno e un Felipe Melo in più). E la stessa mancanza di tranquillità generale si è palesata prima ancora nel cruccio dello stesso Icardi in panchina e poi nell'erroraccio dagli undici metri. Tutti segnali da bandiera bianca. Così come affidare la fascia da capitano a Juan Jesus, per un ruolo che all'Inter sembra contare come il due di bastoni quando la briscola è coppe. Data in estate a Icardi (oggi in panchina), dopo averla sottratta a Ranocchia (oggi alla Samp) per passarla a Guarin (oggi in Cina) fino a vederla su Medel e quindi sul brasiliano.

Quarto errore, il mercato – E torniamo su un tema caldo e delicato. Caldo per Mancini, delicato per Thohir. Perché cinque punti in sei gare e il quarto posto (oggi a rischio) in classifica rischiano di mettere il presidente nerazzurro in gran difficoltà economicamente parlando. Da gennaio 2015 – da quando Mancini ha avuto potere di mercato – si sono spesi milioni di euro, investiti capitali su giocatori oggi a spasso per l'Europa, ipotecando il futuro finanziario di un club che lotta da sempre col Fair Play Finanziario. Se Champions League non sarà, si rischia seriamente la bancarotta. Mancini a questo punto sembra non reggere più la responsabilità di un ruolo che è divenuto determinante. E' lui che ha dettato giocatori, ruoli, compiti, epurazioni ed acquisti. Ed è lui che ne dovrà rispondere. E questa volta non basterà metterla in cagnara per un ‘frocio' di troppo o per un (non) rigore non dato nel derby.

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