Football Leaks, cosa ha svelato l’inchiesta sui conti di Psg e Manchester City
“Negli ultimi cinque anni, PSG e Manchester City hanno investito più di tutti in calciatori. Ma siccome i loro introiti reali non permetterebbero loro tali investimenti, hanno inventato sponsor fittizi, legati agli stati, che pagano cifre non corrispondenti al mercato”. Così parlava il presidente della Liga spagnola Javier Tebas al quotidiano francese L'Equipe l'anno scorso. L'ultima puntata dell'inchiesta Football Leaks portata avanti dal consorzio European Investigative Collaboration di cui fanno parte anche Der Spiegel e L'Espresso, non ne smentisce i timori. Ma, soprattutto, mette in crisi l'idea del fair play finanziario.
Il PSG e il nation branding del Qatar
Nel 2011, quando il fondo Qatari Sports Investments definisce nello studio legale Mayer Brown l'acquisto del Paris Saint-Germain per una cifra complessiva fra gli 80 e i 90 milioni di euro, ha in mente un'operazione di nation branding. Il PSG ne diventa una parte integrante, soprattutto grazie alle sponsorizzazioni: dal 2011 al 2018, sottolinea l'Equipe in uno speciale del 19 ottobre che analizza il valore dei club di Ligue 1, il brand del PSG ha decuplicato il suo valore. Il merchandising è cresciuto da 14,6 a 50 milioni, i ricavi da botteghino da 33,5 a 100, le sponsorizzazioni da 15 a 105, i diritti tv da 45 a 120.
Ma la UEFA, in materia di fair play finanziario (FFP), si è concentrata sulla voce “altri ricavi”, che oggi pesa per il 30% degli introiti complessivi e fa riferimento agli accordi con “parti correlate”, ovvero enti e società del Qatar. Determinante l'accordo firmato nel 2011, quinquennale poi rinnovato nel 2016, con la Qatar Tourism Authority che vale 150 milioni di euro a stagione. Un accordo in base al quale i giocatori devono partecipare ad iniziative promozionali per il Qatar che può così migliorare la propria immagine di nazione e aiutare il PSG a raggiungere uno degli obiettivi del Piano Strategico 2012-2017, “diventare uno dei cinque top club d'Europa”. Un accordo che per la UEFA è sopravvalutato.
PSG e QTA, il fair value ribassato due volte
Per queste operazioni, ricorda il giornalista Marco Bellinazzo nel suo libro Goal Economy, “il regolamento sul Fair Play finanziario prescrive che siano passate al vaglio del fair value, ovvero che siano comparate con analoghe operazioni realizzate sul mercato tra soggetti indipendenti per capire se il prezzo dell'accordo è corretto oppure se è stato gonfiato”. Dall'inchiesta emerge come un rapporto della società Octagon abbia fissato il fair value a tre milioni. Ma la Uefa ha stabilito che per quel contratto, per quel che riguarda gli adempimenti del fair play finanziario, il PSG avrebbe potuto iscrivere a bilancio 100 milioni. Una cifra a cui si arriva, spiega Bellinazzo, anche attraverso il confronto con i contratti tra Emirates e Arsenal, Manchester United e General Motors, Barcellona e Qatar Airways, che garantisce 25 milioni a stagione fino al 30 giugno 2019: il club ne ha chiesti 80, la compagnia aerea ha già annunciato di non voler rinnovare.
L'inchiesta racconta di un incontro riservato con Infantino e Platini, allora presidente dell'Uefa con il figlio che lavora per una società degli sceicchi, precedente alla definizione del fair value da parte dell'Organo di Controllo Finanziario dei Club (CFCB). Il PSG paga una sanzione molto blanda, 20 milioni, e sconta la restrizioni a 21 giocatori della lista Uefa oltre alla limitazione delle spese di mercato per due anni. Il PSG da allora iscrive 100 milioni per l'accordo con QTA e rispetta i limiti del pareggio di bilancio, ovvero l'obbligo di dimostrare un passivo non superiore a una certa soglia, scesa a 5 milioni nel 2018, tra le uscite (senza contare le spese per strutture e settore giovanile) e le entrate relative al settore calcistico. Nell'ultima stagione, il PSG ha passato il vaglio nonostante l'arrivo di Neymar e una ulteriore svalutazione dei contratti di sponsorizzazione con parti correlate, che ha portato a 58 milioni il fair value dell'accordo con QTA e ridotto del 37% l'impatto degli introiti derivanti da Ooredoo, Qatar National Bank e beIN Sports. A settembre, però, l'indagine è stata riaperta.
Manchester City, la potenza dello sceicco Mansour
Il Manchester City si è impegnato nel 2014 a non aumentare l'entità degli accordi con le parti correlate, soprattutto con Etihad, che tra naming rights dello stadio e sponsorizzazione delle maglie garantisce 55-60 milioni di sterline, più di un decimo dei ricavi stagionali dei Citizens.
Potenza dello sceicco Mansour, che in undici stagioni ha investito solo nell'acquisto di giocatori 1,543 miliardi di sterline, esclusi prestiti e trasferimenti gratuiti. Il valore della rosa, secondo il sito specializzato Transfermark, nell'era Mansour è cresciuto da 222 a 770 milioni di sterline, anche se i costi per gli ingaggi, spiega la BBC, sono lievitati da 54 milioni del 2008-2009 ai 244 del 2016-17. Tuttavia, il rapporto fra i costi per gli ingaggi e i ricavi si attesta nel 2017 al 56%, uno dei migliori in Premier League: un cambio di paradigma radicale rispetto al 114% registrato nel 2011.
Nella stagione 2016-2017, scrive l'informatissimo blog The Swiss Ramble, aumentano tutte le fonti di ricavo rispetto all'anno precedente: +7% nel settore commerciale (£232m) +4% nei diritti tv (£212m), +9% dal botteghino (£57m). Salgono di 4 milioni le plusvalenze (£39m) anche se il club non poggia in maniera significativa sul calciomercato per far quadrare i conti. Il presidente Khaldoon Al Mubarak si gode il quarto esercizio con il saldo in attivo e un margine operativo lordo (differenza ricavi/costi al netto delle plusvalenze) a livelli record: un altro indicatore della solidità finanziaria della società che ha superato i 500 milioni di sterline di ricavi, seconda squadra inglese ad arrivare a questa soglia dietro lo United.
I ricavi commerciali raggiungono i 232 milioni di sterline (+62% dal 2013), e sono destinati ad aumentare dall'anno prossimo con il passaggio dello sponsor tecnico da Nike a Puma con introiti più che raddoppiati (si parla di un aumento da 20 a 50 milioni di sterline l'anno).
Il FFP serve?
L'inchiesta Football Leaks, però, più che la gestione economica del City e del PSG, mette in discussione lo strumento del fair play finanziario. Da un punto di vista economico, scrive Henning Vöpel dell'Hamburgisches WeltWirtschaftsInstitut, “le regole del FFP non sono né adeguate né necessarie. (Gli) elementi centrali del pareggio di bilancio e dei cosiddetti introiti rilevanti possono essere considerati una barriera all'ingresso dei club più piccoli”. Sono le stesse conclusioni di Thomas Peters e Stefan Szymanski, studiosi di equilibrio competitivo con una visione economico-centrica e fortemente liberista, per cui il FFP finisce per rinforzare la posizione dei team dominanti. Il FFP, che è un progetto di lungo periodo, non cancella il rischio di doping finanziario e non migliora l'equilibrio competitivo, obiettivo meglio raggiungibile con un salary cap all'americana.
La chiave, sottolinea Holger Preuss, che ha pubblicato con altri due studiosi una ricerca in materia sullo European Journal of Sport Studies, sta nell'efficacia del sistema di sanzioni. “Il FFP non limita le possibilità di doping finanziario, anzi può incentivarle da parte di club con entrate maggiori” scrivono. La Uefa, che ha imposto dall'alto questo sistema di sanzioni a società che guardano più all'obiettivo individuale, “deve garantire trasparenza e sanzioni che siano superiori ai benefici attesi dei comportamenti devianti”. L'inchiesta Football Leaks ha palesato quanto siano state alleggerite, nel timore che l'esclusione di top club potesse ridurre il valore della competizione. È la Champions League, bellezza.