De Vecchi e Minaudo, eroi per caso del derby di Milano
“Scusi lei, dove va? Se non sbaglio lei ha visto un Inter-Milan con me”. Per i centomila allo stadio che ha cantato Adriano Celentano, per generazioni di tifosi, le luci a San Siro che si accendono sul derby illuminano passioni uniche. E illuminano storie che restano nella memoria. Perché a Milano, ancora oggi, tutti si ricordano ancora di Walter De Vecchi e Giuseppe Minaudo.
Il derby della stella – Il 19 marzo 1979, alla 22ma giornata, il Milan è in testa alla classifica: ha tre punti di vantaggio sul Perugia di Castagner, che chiuderà secondo senza perdere nemmeno una partita, e sei sull’Inter, quarta. Il derby è l’ultimo treno per i nerazzurri. Il Milan però non è in un gran momento. Arriva alla prima stracittadina dalla morte di Nereo Rocco dopo un brutto 0-0 in casa con la Juventus (“Abbiamo giocato molto, molto, molto male” commenta Liedholm), e senza gli infortunati Rivera, Collovati e Antonelli. Per 80 minuti gioca praticamente solo l’Inter. Albertosi salva il Milan almeno sei volte, para anche un rigore a Altobelli, ma si inchina prima a Oriali, poi allo stesso Spillo. I tifosi nerazzurri cominciano a intonare “Verona, Verona”, riferimento allo scudetto perso nel ’73 nella città di Giulietta e Romeo. Bersellini, l’allenatore dell’Inter, esulta con una liberatoria corsa dentro il campo. Sembra finita. È tutto pronto per il processo al Barone. Ma ogni imputato ha diritto a un avvocato, e Liedholm ne ha uno in campo, Walter De Vecchi, a 10 esami dalla laurea in giurisprudenza, che qualche anno prima sembrava destinato a lasciare Milano.
Lotta per il nuovo Riva – Nell’estate del 1975, infatti, il presidente Buticchi aveva già trovato l’accordo col Varese per Giacomo Libera, detto “il nuovo Riva”, compagno d’attacco di Calloni, il futuro “sciagurato Egidio” che al Milan si farà notare soprattutto per i gol sbagliati e del Milan si vendicherà a Palermo tra Coppa Italia e campionato nella stagione 1980-81 (ma questa storia ve la racconteremo un’altra volta). Guido Borghi, il signor “Ignis”, che a Varese ha fatto grande soprattutto il basket, ha accettato di cedere la metà di Libera al Milan in cambio di “mezzo” De Vecchi e 200 milioni. La mossa “ingelosisce” Ivanoe Fraizzoli, presidente dell’Inter, che vede e rilancia: mette sul piatto 800 milioni e si porta a casa l’attaccante. Scopre presto, però, che Libera passa più tempo nei locali a far tardi la sera, lo fa anche pedinare ma Libera scopre gli “agenti”, gli paga un tavolo al ristorante per tutto l’anno e loro scrivono a Fraizzoli che Libera va sempre a letto alle dieci. Le somiglianze con Riva, poi, si limitano al tirare di sinistro e all’essere stato vicino di casa di Rombo di Tuono. Insieme a Libera, nella politica del “prendi due, paghi uno”, Fraizzoli porta a casa anche un centrocampista in teoria destinato a far numero: Giampiero Marini, che diventerà una colonna della squadra e vincerà il Mundial di Spagna. Solo tempo dopo si scoprirà che il presidente Fraizzoli ha convinto Borghi a far saltare l’accordo col Milan perché, gli dice, De Vecchi non è fisicamente adeguato alla serie A.
La rivincita di De Vecchi – De Vecchi rimane a Milano e si prende la sua grande rivincita quel 19 marzo 1979, dopo gli 80 minuti di assedio nerazzurro di quella che Liedholm definirà “la migliore Inter dai tempi di Herrera”. Poi, commenta l’eroe del derby della stella, “successe che misi in campo una delle mie caratteristiche migliori, il tiro dalla distanza”. E per Bordon iniziano i dieci minuti peggiori della sua vita sportiva. De Vecchi segna prima su punizione, su tocco di Capello, poi con palla in movimento. È la sua seconda doppietta in carriera: con la prima aveva regalato al Monza un successo per 2-1 contro il Lecco in serie C. Niente di nemmeno lontanamente paragonabile ai due gol che mettono, formalmente, la stella sulle maglie rossonere. A fine partita, il Barone è contento ma non troppo: “Se giocavamo altri 10’ l’avremmo anche vinta”.
La prima di Silvio – La doppietta di De Vecchi distrugge un raccattapalle dodicenne, siciliano di Mazara del Vallo, interista dalla nascita. Il ragazzo diventa un mediano corsa e cuore, di quelli destinati a “anni di fatica e botte sempre lì, lì nel mezzo”. Da piccolo fa un provino sia per il Milan sia per l’Inter. “Mi dissero: puoi scegliere. Figurarsi! Mio papà mi parlava di Corso, Mazzola, Jair. Non ho avuto dubbi”. Cresce nella Fulgor Cardano, squadra giovanile della galassia nerazzurra, finché Mario Corso lo scova, lo porta in prima squadra e nell’estate del 1986 ne impedisce la cessione. Il 6 aprile 1986, il primo derby di Berlusconi da presidente del Milan all’intervallo è fermo sullo 0-0. Corso, tecnico della Primavera promosso alla guida della prima squadra dopo che Pellegrini ha silurato Castagner, deve sostituire Marangon, che si è fatto male, ma ha gli uomini. Così ferma il mediano siciliano in lacrime sette anni prima per la doppietta di De Vecchi egli dice: “Scaldati, entri subito”. E aggiunge: quando calciamo gli angoli, o le punizioni, vai sempre vicino al portiere. Tu sei piccolo, non si sa mai. Quel ragazzo è Guseppe Minaudo, che va agli allenamenti in 126 e in serie A non ha ancora giocato nemmeno un minuto.
Minaudo nella storia – A 12 minuti dalla fine, Pietro Fanna batte un calcio di punizione. Sale di testa Mandorlini, che prende il palo. Appostato, come da richiesta di Corso, c’è Minaudo che tocca di piatto e segna. “Ho sentito lo stadio esplodere” racconta, “da quel momento non ricordo quasi più nulla. Volevo correre per il campo, ma Ferri mi ha sollevato di peso e non ce l’ho fatta. Ho ancora la cassetta di quel gol, un giorno vorrei farla vedere ai miei figli”. Quel pomeriggio, oltre a Minaudo, i più felice di tutti è l’avvocato Peppino Prisco, che a vincere i derby così provava un gusto decisamente maggiore. È lui che lo accompagna in sala stampa e annuncia raggiante: “Ecco il ragazzino delle giovanili dell’Inter che ci ha fatto vincere il derby”. Resterà all’Inter tre stagioni, gioca in totale 40 partite e segna solo altri due gol. L’ultimo lo riserva per la sua ultima partita in nerazzurro, il 15 maggio 1988 contro l’Avellino. “Perdevamo 1-0. Ci giocavamo l’accesso alla coppa Uefa. Serviva il pareggio. Segnai e così fu. Strano, vero? Questa è stata una rete che ha contato di più per la storia dell’Inter”. Ma questa non se la ricorda nessuno. Perché Minaudo resterà per sempre “il ragazzo delle giovanili che ha deciso il derby dell’86”.