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Il Calcio fa bene alle ossa

Wimbledon, la Crazy Gang sul tetto d’Inghilterra

Per la rubrica “Il calcio fa bene alle ossa” riviviamo la finale di FA Cup 1988. E’ il trionfo del Wimbledon di Vinnie Jones e John Fashanu, la Crazy Gang. Ma l’eroe è il portiere Dave Beasant, il primo a parare un rigore in finale e alzare la coppa da capitano.
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Il Calcio fa bene alle ossa

Ogni grande storia ha bisogno di un'eroe. L'eroe di questa storia è il primo portiere a parare un rigore in una finale di FA Cup. È anche il primo portiere ad alzarla, l'FA Cup, da capitano. Lo chiamano Lurch, perché dicono somigli al maggiordomo della famiglia Addams. Giocherà fino a 43 anni: sarà l'ultimo giocatore nato negli anni '50 nella rosa di una squadra professionistica inglese (è al Fulham nel 2003-2004). L'eroe di questa storia è Dave Beasant, il portiere della Crazy Gang, il Wimbledon che fa impazzire il Liverpool.

Verso la finale – Il Wimbledon, nella Football League solo da 11 anni, gioca la partita della vita quell'8 maggio del 1988. Il Liverpool è campione d'Inghilterra, ha vinto il titolo con nove punti di margine, e Kenny Dalglish si concentra sull'obiettivo di centrare il secondo double (campionato e FA Cup) in tre anni. I Reds arrivano alla finale dopo aver battuto avversari di spessore dall’Aston Villa all’Everton, fino alla semifinale contro il Nottingham Forest. Il Wimbledon di Bobby Gould elimina West Bromwich Albion (4-1), Mansfield Town (2-1), Newcastle (3-1), Watford (2-1) e Luton Town (2-1) per arrivare al giorno più importante della sua storia.

Crazy gang – La scalata dei Dons è iniziata con Dave Bassett, allenatore dal 1981 al 1987. Il suo approccio al calcio è semplice, rude: corsa, lanci lunghi, e se va male partono i mastini che scelgono le cattive come prima opzione. Una squadra certo molto poco british, con la fama di Crazy Gang, di banda di matti, che ormai la precede, e una lista non esattamente breve di episodi di bullismo verso i nuovi arrivati. Nel 1987 arriva in panchina Bobby Gould, ma l'approccio al calcio non cambia. Anche perché il presidente, il costruttore libanese Sam Hammam, non ha metodi che si possano avvinare anche solo lontanamente all'idea di ortodossia e di buone maniere. Ha tenuto un giocatore rinchiuso nel suo studio finché non si è convinto a firmare il contratto. Minacciava, in caso di prestazioni deludenti, serate all'opera per tutta la squadra. E aveva un concetto delle ricompense in caso di successo altrettanto singolari. All'attaccante Dean Holdsworth ha promesso, se avesse segnato più di venti gol in stagione, una Ferrari e un cammello. Peccato per la storia che non ci sia mai riuscito.

I protagonisti – Gould riesce comunque a portare i Dons all'ottavo posto in campionato. La Crazy Gang si presenta con una coppia di difensori centrali che è già tutta un programma: Eric Young, detto il Ninja, e Andy Thorn, che gioca con una fascia marrone in testa, nazionale gallese per scelta perché, nato a Singapore, all'epoca poteva rappresentare una qualsiasi delle selezioni britanniche. A centrocampo, a sinistra c'è Dennis Wise che saggio (wise, appunto), lo è solo di nome. Uno che, parola di Sir Alex Ferguson che di certe cose se ne intende, “potrebbe scatenare una rissa in una stanza vuota”. Uno che ha rotto la mascella a un compagno quando giocava al Leicester, che passato al Chelsea ha morso Marcelino Elena del Maiorca in Coppa delle Coppe (Suarez chi?). È stato anche condannato tre mesi, poi annullati in appello, per aver aggredito un tassista. E al centro il leader spirituale della squadra, Vinnie Jones, che poi si darà al cinema in ruoli ovviamente da duro: è un perfetto Juggernaut, un gigante che “mena e spacca” in X-Men – Conflitto Finale”. È l'icona dei Dons: nel 1992 celebra le sue entrate assassine, compreso il tackle che ha spappolato Gary Andrew Stevens del Tottenham e l'ha costretto a lasciare il calcio a trent'anni, in un video “promozionale”, Soccer's Hard Men. È uno dei giocatori più cattivi della storia della Premier League. È stato espulso 12 volte. Riesce perfino a farsi cacciare dopo 3 secondi, è la più veloce di sempre: tanto gli basta per stendere Dane Whitehouse dello Sheffield United nel 1991, quando è già passato al Chelsea. In attacco, la stella è John Fashanu, “la personcina” come lo chiama Teo Teocoli che lo fa conoscere in Italia a Mai dire gol. Tanto elegante fuori dal campo, con quegli impeccabili abiti gessati, tanto rozzo in campo e in spogliatoio. Ha un fratello, Justin, che gioca pure lui, primo gay dichiarato nella storia del calcio, che dieci anni dopo quella finale si suiciderà dopo essere stato accusato ingiustamente di violenza sessuale su minore (l'ha accusato il ragazzo di 17 anni con cui aveva avuto un rapporto consensuale, che il giorno dopo gli ha chiesto dei soldi: al suo no, il ricatto ha lasciato spazio alla tragedia).

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La finale – Quel Wimbledon non sa cosa sia il timore reverenziale. Basta un momento, un gesto, per capirlo. A Liverpool tutti i giocatori prima della scalinata che porta al campo passano sotto la scritta “This is Anfield”, questo è Anfield. L'atmosfera intimorisce molti. Non Vinnie Jones che ci attacca un cartello con su scritto “bothered”, “chissenefrega”. I Reds partono molto meglio e al 35′ segnano anche. Peter Beardsley resiste a uno dei tackle assassini di Andy Thorn al limite dell'area e riesce a mettere alle spalle di Beasant. Ma l'arbitro non fa proseguire per il vantaggio e fischia la punizione dal limite. È un segnale premonitore di quel che sarà. Passano due minuti e Terry Phelan, che diventerà bandiera della nazionale irlandese, trasforma l'azione da difensiva in offensiva e si invola verso la linea di fondo: solo il fallo di Steve Nicol lo ferma. È Dennis Wise a battere la punizione. La traiettoria è perfetta per la testa di Lawrie Sanchez, nord-irlandese di padre ecuadoriano, uno dei primi giocatori ad essere espulso per aver evitato un gol con la mano, che salta più in alto di Gary Gillespie e segna: 1-0.

Due prime volte – La fortuna dei Dons sembra spegnersi al 61′. Clive Goodyear stende John Aldridge in area: è rigore. Dal dischetto va lo stesso Aldridge. Arrivato a Liverpool a gennaio del 1987 dall'Oxford United, è esploso da subito, tanto da aver convinto Dalglish a lasciar partire Ian Rush per Torino, destinazione Juventus. In quella stagione, il campionato 1987-88, ha segnato in tutte le prime nove partite, e ha chiuso da capocannoniere con 26 reti, 11 su rigore. Il dodicesimo penalty, però, manda Beasant nella storia. I portieri allora non avevano così tanti dati per potersi preparare sui rigori, ma le partite del Liverpool venivano trasmesse in tv molto spesso, e Beasant ha visto più volte Aldridge tirare i rigori. Se il portiere si muove prima, tira dall'altra parte. Altrimenti sceglie l'angolo sinistro. Beasant non si muove prima, si tuffa a sinistra, e para. Nessuno aveva mai parato un rigore in finale di FA Cup. Nessuno aveva sbagliato un rigore in finale dal 1913, l'ultimo era stato Wallave del Sunderland. Aldridge si rifarà dodici mesi dopo con il penalty che dopo 4 minuti apre il 3-2 dei Reds nel derby di finale contro l'Everton. Beasant riesce anche a stendersi e deviare in angolo il tentativo di tap-in di John Barnes. Il resto è storia, scolpita nella memoria dalla voce di John Motson, storico telecronista della BBC. «The Crazy Gang have beaten the Culture Club!». Nessuna squadra “piccola” è più riuscita a vincere la coppa più antica del mondo.

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