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Verdi e i giocatori che dicono no: per crescere non basta la voglia, serve anche coraggio

Verdi ha rifiutato il trasferimento al Napoli: “Non me la sono sentita di lasciare il Bologna adesso”, ha spiegato il calciatore che s’è detto lusingato dalle offerte della grande squadra ma ha preferito dire no. Paura di crescere oppure di farlo troppo in fretta? Coraggio, Simone, il meglio è passato.
A cura di Jvan Sica
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Con l'ultimo rifiuto in ordine di tempo di Simone Verdi al Napoli, ormai quelle che potevano sembrare semplici coincidenze o casi isolati sono da considerare insieme come un fenomeno preoccupante del calcio italiano. C’era un tempo in cui i giovani calciatori cercavano di affermarsi nel grande calcio, o meglio arrivare e diventare punti di riferimento nelle grandi squadre italiane perché in questo modo guadagnavano molti più soldi, potevano vincere trofei, misurarsi in competizioni europee, diventare punti fermi della Nazionale o semplicemente, e questo elemento forse è uno dei traini principali, capire quanto erano bravi in quello che era diventato il loro lavoro, il calcio. E questo lo puoi fare solo se giochi con e contro i migliori.

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Tutte queste motivazioni oggi sono ancora valide eppure i giovani calciatori italiani sempre di più rifiutano di andare in una squadra dove potersi confrontare con giocatori migliori e disputare partite difficili, dalle quali possono solo imparare e capire dove e come migliorare. Il momento zero di questo fenomeno è stato il “no” di Antonio Di Natale alla Juventus. Totò era al meglio nella sua Udinese, segnava tantissimo e aveva trovato una dimensione anche tattica davvero interessante. La Juve aveva capito questa nuova wave del centravanti mini-size e voleva subito cavalcarla. Chiese con insistenza Di Natale all’Udinese, con i Pozzo ben felici di cedere un trentenne per una barca di soldi. Erano tutti d’accordo tranne il diretto interessato, il quale decise di restare in Friuli, pensando che alla sua età non poteva più crescere e migliorare, oltre a motivazioni di impegni imprenditoriali extra-calcistici.

Dopo questo “no”, tanti altri hanno fatto la stessa scelta. Il primo della lista è Domenico Berardi, il quale ha rifiutato in più sessioni di mercato la Juventus, che oltretutto aveva metà del suo cartellino e l’Inter. Ha detto no senza addurre motivazioni specifiche. Quelli più vicini a lui nel Sassuolo parlano di una difficoltà nel sentirsi pronto per i grandi palcoscenici, una refrattaria voglia di migliorare ancora un po’ nella calda e accogliente provincia emiliana, prima di spiccare il volo. Ma Berardi è un 1994 e questa stagione la sta letteralmente buttando via. Non abbiamo visto miglioramenti tali da ammettere la sua scelta.

Un altro grande “no” è stato quello di Simone Scuffet all’Atletico Madrid. Courtois era partito per Londra e il Cholo voleva questo giovanissimo italiano che tanto bene aveva fatto soprattutto nelle Nazionali giovanili. Scuffet, appoggiato dalla famiglia, rifiutò i Colchoneros per motivi di studio. Da quel momento la parabola di Scuffet è solo e costantemente calata, perdendo la titolarità nell’Udinese, nell’Under 21 e mostrando incertezze così grandi da non farci capire come tutti si erano innamorati di questo portiere friulano che sembrava dovesse ripercorrere le orme di un altro grande friulano, Dino Zoff.

Altri due calciatori che almeno ci hanno provato ma subito sono tornati alla base sono stati Immobile, che Klopp nel Borussia Dortmund 2014-2015 e Unai Emery nel Siviglia 2015-2016 volevano mettere al centro dell’attacco e del progetto delle loro squadre. Nostalgia e voglia di ritornare a calcare i campi “domestici” lo hanno fatto fallire in tutte e due le occasioni. Stessa cosa, fra gli altri, anche per Alessio Cerci, il quale arrivò in pompa magna all’Atletico di Simeone dopo un campionato strepitoso al Torino. Fallì subito giocando il primo anno solo 6 volte e facendo di tutto per tornare in Italia.

Simone Verdi è solo l’ultimo della lista e non ci tirate fuori la balla dei giocatori-bandiera perché questi citati non sembrano avere le idee chiare per esserlo davvero. Tutti quelli che hanno detto “no” fino ad oggi hanno sbagliato, non è matematica ma nemmeno si può non considerare come non adatto al grande calcio un giocatore che decide prima di tutto di non migliorare. Dovrebbe essere non solo una tua possibile scelta, ma un dovere perché crescere fa parte in tutti i sensi del proprio lavoro. Per iniziare a ricostruire speriamo davvero che questo fenomeno si interrompa il prima possibile.

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