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Fifa World Cup 2018, i Mondiali in Russia

Mondiali 2018, la campagna di Russia negli stadi tra il Don e Stalingrado

L’antica Russia imperiale, i ricordi degli zar, Mosca e San Pietroburgo. La Mordovia dei gulag e il Tatarstan. Rostov sul Don e le città sul Volga. Storia e geografia delle undici sedi del Mondiale 2018. Un viaggio nell’identità di un popolo che da sempre convive con la fatale impronta del destino.
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Cosa c'è in una lunga canzone russa? "Ci saranno infinita angoscia, disperazione, una forza invincibile, e la fatale impronta del destino; quella predestinazione ferrea che è uno dei principi fondamentali del nostro carattere nazionale". Parola di Aleksej Kostantinovich Tolstoj. Tutto questo, che permette di "spiegare molto di quello che appare incomprensibile nella vita russa" si incontra nelle città che ospitano il Mondiale 2018.

Ekaterinburg, tra passato e futuro

Arrivano di notte, come sempre in questi casi. È la notte di un brutto giorno, di sconfinati pensieri, come gli uincubi di un assassino o i desideri dei condannati. E' il 7 luglio 1918. I funzionari della Ceka, ex prigionieri austriaci, sono venuti al palazzo Ipatiev per fucilare i Romanov: lo zar Nicola, la moglie Aleksandra, i figli Aleksej, Olga, Tatyana, Maria e Anastasiya. E con loro il medico Botkin, la dama di compagnia Demidova, il cameriere Trupp, il cuoco Kharitonov. Non li uccidono tutti subito, però, i proiettili rimbalzano contro i diamanti che le donne hanno cucito nelle fodere delle giacche e dei vestiti. Li han finiti a colpi di baionetta. Oggi lì, nella città che oggi chiamiamo Ekaterinburg, Boris Eltsin ha fatto abbattere la casa dell'ultima prigionia dei Romanov perché non fosse di turismo nostalgico. Al suo posto, oggi, c'è la Chiesa sul Sangue.

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Nella quarta città più popolata di Russia gioca una delle squadre più antiche, l'Ural. Gioca nel vecchio Stadio Centrale, diventato Ekaterinburg Arena, uno dei due soli impianti del Mondiale non costruiti da zero. Resta l'architettura stalinista, restano i bassorilievi, i candelabri, le fioriere e le sculture delle vecchie glorie degli anni Cinquanta. Per il Mondiale, sarà estesa la capienza, da 23 a 35 mila spettatori, tutti su seggiolini arancioni, i colori della finalista di coppa di Russia 2017.

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I ponti di Kaliningrad

Esiste un percorso per attraversare una e una volta sola i sette ponti di Königsberg sul Pregel? È una domanda concreta, un problema reale che portò Eulero a ideare la teoria dei grafi, che si usa ancora oggi nella definizione delle reti, anche web, e dei diagrammi di flusso. Quel percorso non esiste, ma logica e realtà si incontrano. Intorno a quegli stessi ponti, Immanuel Kant scriveva la Critica della Ragion Pura e discuteva delle prove per l'esistenza di Dio. "Il vecchio Immanuel demolì definitivamente tutte le prove, ma poi, quasi per burlarsi di se stesso, ne costruì personalmente una sesta" dice Voland, il Satana post-rivoluzionario e naturalmente anti-religioso nel Maestro e Margherita di Bulgakov.

L'antica capitale della Prussia orientale è una terra di cercatori d'oro, eredi dei Cavalieri Teutonici che la fondarono nel 1231. Oggi, questa enclave tra Polonia e Lituania la conosciamo come Kaliningrad, attraversata dal vento del Baltico che non concede riparo, e da una passione condivisa e contagiosa. Anche per il calcio. Il nuovo stadio darà nuova vita all'isola di ottobre, uno spicchio di terra incastrato da due rami del fiume Pregel. Oltre al nuovo stadio del Baltika, si muoverà tutto un progetto complessivo di riqualificazione urbana dell'area.

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Kazan, nella culla dei tatari

Vedi i sette colli ma non sei a Roma. Vai al Cremlino, unica fortezza tatara sopravvissuta al tempo, ma non sei a Mosca. Sei a Kazan, capoluogo del Tatarstan: cento nazioni, trenta università, mille anni di storia testimoniato dal passaggio del Volga. Qui studiò Tolstoj, che si trasferì a Kazan dopo la morte dei genitori a 13 anni e per i primi tre visse in una camera con vista sulle carceri. All'università preferisce le feste, i balli e gli spettacoli a teatro: raccontano che gli piacesse particolarmente l'Ispettore Generale di Gogol'. Kazan, il distretto più industrializzato della Russia imperiale prima della Rivoluzione d'ottobre, respira cultira. “Nacque a Kazan’ il famoso basso Fjodor Scialiapin, in gioventù amico di Maksim Gorkij che lavorava come garzone di un fornaio” ricordava Fulvio Scaglione su Famiglia Cristiana. Si presentarono insieme all’audizione per il coro del teatro dell’opera. Presero il panettiere-scrittore e scartarono il futuro divo della lirica, contemporaneo di Caruso. Sul treno che portava a Kazan, poi, è nato Rudolf Nureev che qui ha iniziato il viaggio verso il Bolscioi. A Kazan, dove l'Ikea è arrivata prima che a Mosca, futuro e moderno si incontrano anche nell'Arena costruita nel 2013 per le Universiadi. Il teatro degli incontri del Rubin Kazan, campioni di Russia nel 2008, è un gioiello disegnato dagli stessi architetti del nuovo Wembley e dell'Emirates Stadium.

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Mosca, antiche emozioni e nuovi colori

“Mosca… in questo suono quant’è confluito per il cuore russo! Quante cose vi riecheggiano”. Ai turisti e alle guide piace ancora riferirsi all'Evgenij Onegin di Puskin, che gli ha richiesto sette anni di sforzo. La città più popolata d'Europa, con la metropolitana più usara del Continente, conserva ancora “la sua vecchia fisionomia di angolo remoto, tanto pittoresco da sembrare favoloso, con le caratteristiche leggendarie di una terza Roma e di una capitale dell'epoca eroica, nella magnificenza delle sue stupende, innumerevoli chiese” come scriveva Boris Pasternak. Ha quattro aeroporti, nove stazioni e un tempo sospeso, che si respira nello stadio teatro della partita inaugurale, il Luzhniki, costruito per il trionfo dello sport popolare e del modello socialista, le Spartachiadi.

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Nel nome dello schiavo ribelle, Starostin volle chiamare così la squadra del sindacato operaio, lo Spartak, che oggi gioca in uno stadio nuovissimo da 40.000 spettatori con la facciata che cambia colore quando gioca la nazionale. Antiche emozioni che si vestono di nuovi colori.

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Nizhny Novgorod vuole stupire il mondo

“La carrozza del passato non conduce da nessuna parte”. Così parlava Alekséi Maksímovich Péshkov, alias Maksim Gorky, nato a Nizhny Novgorod, la quinta città più grande di Russia. Anche qui c'è un Cremlino, una fortezza mai espugnata, nemmeno quando la città, durante il Periodo dei Torbidi, salvò la Russia dall'invasione polacca del 1612. Qui, sulle colline che circondano il Volga, ha trascorso gli anni del confino Andrej Sacharov, scienziato premio Nobel per la pace nel 1975, arrestato dopo una manifestazione contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Fino alla riabilitazione del 1986, la moglie Elena Bonnér sarà il suo unico contatto con il mondo esterno. Oggi, Nizhny Novgorod è pronta a stupire il mondo con l'architettura del nuovo stadio da 40 mila spettatori, la casa dell'Olympiets, fondato nel 2015 e capace in tre anni di arrivare alla seconda divisione.

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Rostov sul Don, la danza dei cosacchi

I ballerini che vennero dal freddo sono sbarcati al Teatro Stabile di Verona a San Silvestro. Un trionfo di fisarmoniche e balalaike, di piroette e virtuosismi sul Tema di Lara dal dottor Zivago, della danza della steppa e di “Alla Turca” di Mozart. Musica e stile che raccontano la cultura di un popolo, i cosacchi del Don. E nessun posto è più “cosacco” di Rostov, terra di incontri e commerci, colori e passioni. La Rostov Arena, costruita sulla sponda sud del fiume, è solo il primo passo per la rinascita della zona, arricchita da nuove case e centri commerciali.

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Nella San Pietroburgo di Dostoevskij

“Pietroburgo, la città più astratta e premeditata di tutto il globo terrestre”. Il ritratto lapidario del Dostoevskij delle Memorie dal sottosuolo incornicia l'antica capitale imperiale. “È una città di pazzoidi (…) È difficile trovare da qualche altra parte tanti elementi cupi, violenti, inspiegabili che influiscano sull'anima dell'uomo come qui a Pietroburgo” scriveva in Delitto e castigo. Nella Leningrado in cui Billie Joel scopriva un'amicizia vera, profonda e inattesa con un artista del circo, sorgeva il Kirov Stadium, uno dei più grandi del mondo. Sembra un segno del destino che l'ultimo evento internazionale nel vecchio stadio siano i Goodwill Games del 1994. Al posto del vecchio impianto, sorge oggi il Saint Petersburg Stadium, gioiello disegnato dall'architetto Kisho Kurokawa, uno dei più grandi del mondo. Ha fondato il movimento metabolista, ha riempito il mondo di torri e capsule abitative. “L'uomo, la macchina e lo spazio costruiscono un nuovo corpo organico. L'architettura d'ora in avanti assumerà il carattere di apparecchiatura” diceva. Lo stadio ospiterà sette partite e presenta un terreno di gioco retrattile.

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Samara, la capitale "di riserva"

Come si apre una città chiusa? Con quella che per qualche anno fu la più grande stazione idroelettrica del mondo. Samara, “capitale di riserva” che durante la Seconda guerra mondiale per un breve periodo ha ospitato il governo e le ambasciate straniere, visse una stagione di gloria all'inizio del ‘900 con tassi di crescita paragonabili a Chicago. I nuovi ricchi impreziosivano lo skyline con ville art nouveau dalle facciate asimmetriche e ornamenti floreali. È curioso per una città sul Volga, ma a Samara non c'è un ponte che porti dall'altra parte del fiume. Il ponte per conoscere Samara può diventare lo stadio dalla forma avveniristica, che resterà come sede delle partite del Krylia Sovetov. Il calcio come incontro, dunque, come meraviglia che unisce.

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Saransk, nella Mordovia dei gulag

I primi gulag li han costruiti in Mordovia negli anni Trenta. Quando vi spediscono Yuri Grimm nel 1963, è rimasta praticamente l'unica regione ad ospitare i dissidenti politici “pericolosi”. Grimm, racconta un bel reportage dell'Independent, scrive nelle sue memorie di aver trovato nel gulag una passione sportiva fortissima. “La settimana era una preparazione al match successivo, c'erano fischi, urla” scrive nelle sue memorie. È un fotografo di professione, nota i dettagli. Racconta che spesso le squadre erano organizzate in forma di nazionali o selezioni regionali, tutte con le loro belle magliette. E tutti i tifosi speravano che la stella della propria squadra non fosse in isolamento il giorno della partita. Si giocava a calcio, a basket, si organizzavano campionati di atletica. Una tradizione che si mantiene ma non basta a spiegare perché il Mondiale arrivi nella capitale della regione, a Saransk, che ha una squadra in terza divisione con meno di due mila spettatori, e non per esempio a Krasnodar. Un passato da città chiusa, un presente aperto al mondo e all'industria aerospaziale, Saransk vuole far dimenticare la sua storia. Eppure, spiegava all'independent lo storico Alexei Makarov, “dal punto di vista etico, la Mordovia non dovrebbe ospitare un evento gioioso”.

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Sochi, dove finisce l'isolamento

Il Brasile si sente come a casa sulla Riviera Russa, a Sochi, col Mar Nero a sud e il Caucaso a nord. Monti che danno nome e forma al Fisht Stadium, dove si giocherà anche Portogallo-Spagna. L'ha realizzato uno studio di architetti britannici, che ha ricreato l'effetto di una cima innevata nella copertura delle tribune. Nomen omen, verrebbe da dire. Fisht è infatti il termine che in lingua adighé, il circasso occidentale che si parla nella regione, indica una montagna innevata. Non c'è una squadra a Sochi, ma conta poco. Perché qui c'è la residenza estiva di Putin, che ha voluto le Olimpiadi invernali e il circuito di Formula 1 che ruota intorno agli impianti dei Giochi. Putin vuol fare dei Mondiali l'occasione per mostrare che la Russia è di nuovo al centro della scena. Gli incontri di Sochi con Angela Merkel e Bashar al Assad sono solo l'inizio.

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Volgograd, l'antica Stalingrado

“I cani aspettavano la notte, poi si lanciavano nelle acque del Volga e nuotavano, disperatamente, verso l’altra sponda” annota nel suo diario un tenente della 24a Panzerdivision. “In quell’inferno, anche gli animali impazzivano: solo gli uomini resistevano”. Resistono perché “chi non aiuta l’Armata Rossa in tutti i modi e non collabora al suo ordine ed alla sua disciplina, è un traditore e deve essere ucciso senza pietà” diceva Lenin. Resistono per fermare i nazisti. Resistono a Stalingrado, dove l'esercito del Terzo Reich iniziò a perdere la Seconda guerra mondiale. Difendono la Madre Russia che si vede da ogni punto della città, o almeno si vede il monumento alto 85 metri a lei dedicato. Oggi che è diventato un centro manifatturiero e calcistico e ha cambiato nome in Volgograd, la città non dimentica il passato. Ma guarda lontano come il Rotor, fallito tre anni fa e tornato subito in prima divisione.

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