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Pochi, maledetti e subito. Il calcio italiano col cappio al collo dei diritti tv

I club dipendono troppo dai soldi delle tv e dal potere di Infront. L’inchiesta della Procura di Milano sull’ultima asta che ha spartito la torta fra Sky e Mediaset rischia di far crollare il sistema. Il confronto con le altre leghe europee del Big 5: Premier League, Bundesliga, Liga e Ligue 1.
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"I diritti tv in questo momento sono l’unica possibilità affinché in calcio sussista in Italia: se viene a mancare il miliardo e duecento milioni di euro proveniente dai diritti tv qui salta il banco". Così parlò Carlo Tavecchio. Un messaggio implicito ma non troppo anche riguardo all‘inchiesta della Procura di Milano sull'asta che ha assegnato a Sky e Mediaset i diritti tv della Serie A per il triennio 2015-2018. Perché Sky presentò l’offerta più alta per trasmettere le otto migliori squadre sia sul satellitare che sul digitale terrestre e Mediaset per le altre dodici squadre: se fosse andata così, la Lega avrebbe incassato 1,0085 miliardi. Invece Infront, arbitro che commercializza i diritti per conto della Lega, sembra si sia fatto giocatore e promosso un accordo diverso: a Sky tutte le venti squadre sul satellite, a Mediaset le migliori otto sul digitale, per 944 milioni, anche meno della base d'asta (956 milioni di euro). E adesso la Finanza è entrata nelle sedi delle squadre per vederci chiaro.

Infront, che da quest'anno cura la regia di tutte le partite e il 18 settembre ha lanciato Serie A Tv, il canale web per le partite del pacchetto E, andato invenduto, ha notoriamente accordi commerciali con dodici delle venti squadre di serie A: più di metà delle squadre, insomma, dipende da Infront per l'80-90% dei ricavi stagionali. A guidare l'opposizione restano la Juventus e la Roma, che hanno tolto all'advisor i diritti d'archivio con tre anni d'anticipo sulla scadenza naturale del contratto. E che attraverso iniziative commerciali e stadio di proprietà cercano di uscire dalla grande debolezza strutturale del nostro calcio: l'eccessiva dipendenza dai proventi dei diritti tv. Un risultato che dipende dal poco appeal internazionale delle squadre italiane, big a parte, e da un meccanismo di ripartizione dei ricavi da diritti tv che è il secondo più squilibrato d'Europa e non favorisce certo gli investimenti. Con questo sistema, infatti, il calcio in Italia è un gioco a perdere.

Serie A – Il meccanismo disegnato dalla legge Melandri prevede una suddivisione in base a tre criteri: 40% in parti uguali, 30% in base al bacino d’utenza (numero di tifosi e popolazione della città, registrati da indagini demoscopiche mai rese pubbliche), 30% in base ai risultati sportivi in cui pesano per il 10% quelli dal 1946-47 e solo per il 5% l'esito dell'ultimo campionato. Con questi parametri, il rapporto tra la prima e l'ultima, tra chi guadagna di più e chi riceve di meno, resta a 5:1, meglio solo della Liga che però fino al 2015 ha mantenuto la contrattazione individuale.

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Simulazione diritti tv Serie A 2015-16. Fonte: Gazzetta dello Sport

Premier League – La Premier League, che per il chief executive Richard Scudamore rappresenta un “business iconico inglese”, mette sul mercato domestico solo 168 partite delle 380 in diretta, suddivise in sei pacchetti fino al 2016, sette a partire dall'ultima asta per il triennio 2016-2019. In base all'accordo in vigore, BskyB ha versato 2.3 miliardi di sterline per 116 partite l'anno, British Telecom, che ha investito 897 milioni di sterline per Champions e Europa League per tre anni dal 2015, ne ha spesi 740 per 38 match l'anno. In totale, alla Premier vanno 1,8 miliardi dai diritti domestici e 750 dalla vendita all'estero, grazie ai contratti siglati in oltre 200 Paesi. Dal 2016 la cifra esploderà, con 5.1 miliardi di sterline garantite nella casse della Lega. Nell'ultima asta il gruppo di Murdoch si è aggiudicato cinque dei sette pacchetti (126 partite, comprese le 10 della nuova fascia del venerdì sera), e BT Sports le altre 42. Un accordo che rende la Premier la seconda lega sportiva al mondo dopo la Nfl. La metà dei ricavi dei diritti tv domestici e il totale dei diritti esteri viene diviso in parti uguali fra tutte le squadre; un altro 25%, il “facility fee” dipende dai passaggi televisivi, comunque non meno di dieci per squadra; il restante 25%, il “merit fee” è distribuito in base alla classifica dell'ultimo campionato. Nell'ultima stagione, il rapporto tra la prima (il Chelsea, 98,99 milioni di sterline) e l'ultima (il QPR, 64.88 milioni) è di 1.53:1.

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Premier League: la distribuzione dei diritti tv 2014-15

Bundesliga – Dal 2013 al 2017, in Germania tutta la Bundesliga è trasmessa da Sky che ha investito 2.5 miliardi di euro per trasmettere 612 partite live via cavo e satellite, ma anche via dispositivi mobili e IPTV (e altri 1,65 miliardi vanno alla DFL, la lega tedesca, per i diritti tv della seconda divisione, la Bundesliga 2). Così, nel 2014-15 per la prima volta la somma da spartire fra le 36 squadre sotto l'egida della DFL supera i 700 milioni (709). Una cifra destinata a salire ancora quest'anno grazie all'accordo siglato in 18 nazioni europee (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Cipro, Georgia, Grecia, Kazakistan, Kirghizistan, Malta, Moldova, Russia, Spagna, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan, Uzbekistan e Ucraina) che porta a oltre 150 milioni i diritti esteri. A farla da padrona, nella distribuzione dei proventi dell'ultima stagione, il Bayern Monaco, che ha incassato 47,6 milioni e potrebbe ricavarne altri 3 di bonus dovesse riconfermare il titolo. La distrubuzione dei proventi avviene secondo criteri meritocratici, basati sui risultati sportivi negli ultimi cinque anni secondo un coefficiente che aumenta il valore della stagione più recente (la quota derivante dai diritti esteri viene invece spartita per il 63,3% in base alla posizione in classifica, per il 37,7% restante assegnata alle squadre che hanno partecipato a competizioni Uefa negli ultimi cinque anni in base ai risultati nelle coppe). In questo modo, il rapporto first-to-last rimane di 2:1.

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Bundesliga: evoluzione dei diritti tv

Ligue 1 – La Cenerentola d'Europa rimane la Ligue 1 francese, che ha bruciato 350 milioni negli ultimi sei anni e ha perso nel 2013-2014 oltre 100 milioni per la soppressione del diritto all'immagine e della contestata “tassa Hollande”, l'aliquota al 75% per i redditi superiori al milione di euro, con un aumento dei costi di 400 milioni rispetto all'anno precedente. Si sente però l'impatto del PSG e degli emiri del Qatar nella gestione dei diritti tv che nel periodo 2016-2010 garantiranno 825 milioni a stagione (+170 rispetto all'ultima asta), suddivisi fra Canal+, che avrà i match principali, e beIN Sports, divisione sportiva di Al Jazeera di proprietà della stessa Qatar Investments Sports proprietaria del PSG, che trasmetterà 7 partite per giornata, highlights, “diretta gol” e avrà i video on demand. In più, be IN Sports mantiene l'accordo per la cessione dei diritti internazionali su una base minima di 480 milioni per sei stagioni (+146% rispetto all'ultima asta). La torta più ricca di sempre, divisa per il 50% in parti uguali fra tutte le squadre, per un quarto in base all'audience dei match e per il restante quarto sui risultati, con un forte impatto dell'ultimo campionato e in maniera residuale il cumulato delle ultime quattro stagioni. Criteri che portano il rapporto first-to-last a circa 4:1.

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Ligue 1: l'evoluzione dei diritti tv

La Liga – Un caso a parte, infine, rappresenta la Liga Spagnola. Fino a quest'anno, infatti, ogni squadra negoziava per sé la trasmissione dei propri match casalinghi. Risultato: Real Madrid e Barcellona cannibalizzano il mercato. Nel 2014, alle merengues vanno 162 milioni, ai blaugrana 160, all'Atletico campione 46. Il rapporto fra prima e ultima sale a 8:1, il più alto d'Europa. Per questo, lo scorso aprile le squadre hanno votato il passaggio alla contrattazione collettiva, approvato nonostante la minaccia di sciopero, poi rientrata, per tre anni dal 2016. Con la nuova legge, ai club della Liga andrà l'80% dei ricavi dei diritti di trasmissione, così suddivisi: il 50% in parti uguali, il 25% in base ai risultati negli ultimi cinque anni; l'ultimo quarto in rapporto all'importanza e alla storia del club. In questo modo l'ultima classificata dovrebbe ottenere almeno 40 milioni (oggi non arriva a 20), un terzo della prima nella classifica dei ricavi. Una rivoluzione che può solo far bene al movimento e al suo giro d'affari.

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