Nessuno muore mai finché vive nei cuori di chi lo ama. Ciao, capitano
Si mette comodo per giocare alla playstation. Si toglie anche le scarpe che restano lì, nella camera di Marco Sportiello, monito incongruo di un viaggio sbagliato, di un appuntamento di quelli che non lasciano rimedio. È la fine che non ha nuovi inizi, è l'ultimo ricordo di Davide Astori. A Santa Croce, al funerale, c'erano tutti, perché il calcio sa dividere ma nella morte non c'è bandiera che tenga. Han salutato Astori, il capitano e l'avversario, hanno omaggiato Davide, l'uomo, l'amico, il padre. Con la luce dei bambini che scoprono in un pallone la felicità sempre nello sguardo.
Molto più di un gioco
“La vita ci è data, come un dono d'amore dei nostri genitori, senza che noi la chiediamo; ci è tolta dalla morte, come una rapina, in tempi e modi imprevedibili” ha detto l'arcivescovo di Firenze, cardinal Bettori. Ma lì dove è sepolto Ugo Foscolo, il sonno della morte non è certo meno duro.
Il calcio è gioco e insieme molto più di un gioco, accelera le passioni, esacerba le passioni, disegna l'alba e il crepuscolo degli idoli. È sogno e realtà, sentimento e ragione, polvere di stelle e belle donne. Un mondo che vive di fortune raccontate, di quel tifo che è come l'amore e si asseconda, non si discute. Per questo, alla più importante delle cose meno importanti si riservano prime pagine e attenzioni. Per questo, per una domenica, il calcio si è fermato. Perché quando quel destino arriva a compiere la rapina senza colpevoli, quel mondo si guarda allo specchio e si scopre debole, umano, troppo umano.
"Calciatore per hobby"
Perché a forza di guardarli, ammirarli, di osservarli e magari contestarli, anche senza conoscerli i calciatori diventano parte della vita di tutti. E una domanda passa, sempre la stessa, sull'onda che scende sulla riva delle ciglia, nella commozione di De Rossi, di Chiellini, di Buffon, di chi l'ha conosciuto da compagno di squadra e di nazionale: perché?
Perché il capitano con la maglia numero 13, come Nesta, a 31 anni si addormenta da solo, perché quando si muore si muore soli, e lascia nuvole di bei ricordi nell'orizzonte di chi resta. “Su chi appoggerò la mia spalla a pranzo dopo un allenamento estenuante?” ha scritto Saponara. “Torna dai, devi ancora finire di vedere LaLaLand (…). Esci da quella maledetta stanza, ti aspettiamo domani alla ripresa degli allenamenti”.
E invece, con le scarpe nella stanza dell'amico, aveva davanti un altro viaggio, l'unico da cui non si torna. Finisce così, nella stanza 118 di un albergo di Udine, una storia iniziata con il tè del magazziniere a Pontisola, come raccontava al Corriere della Sera. Amava l'architettura e le canzoni di Ligabue, ha sempre preferito al palco la realtà ma si è raccontato, anche in una recente intervista a Vanity Fair, “un calciatore per hobby”.
"Sei il figlio e il fratello che tutti vorrebbero avere"
Con la serietà e la leggerezza che nascono dalla profondità di chi sa anche non prendersi troppo sul serio. Gattuso lo ricorda già maturo a 16 anni quando nelle giovanili del Milan gli chiedeva il permesso di usare la palestra. Quando viveva da pendolare, per finire la scuola superiore a Zogno: andata la mattina presto con la navetta del Milan che lo prelevata, ritorno verso le otto e mezza la sera con il padre che lo aspettava a Bergamo.
Allegri, che l'ha allenato, l'aveva soprannominato “il Tedesco”. Ma Astori era soprattutto Davide, come ha scritto Saponara, il Davide che ti entra dentro con un semplice ‘Ciao Ricky, benvenuto a Firenze'.
"Sei il fratello o il figlio che tutti avrebbero voluto avere. I tuoi genitori non hanno sbagliato nulla con te, neanche una virgola. Tu non sei come gli altri, tu sei il calcio, quello vero, quello puro dei bambini” ha detto, commosso, Badelj. Una luce, che ha tracciato una strada nel cuore di chiunque l'abbia incontrato come compagno di viaggio. E non sono le parole di chi vuole fargli un monumento per dimenticare un po' più in fretta.
Sono le parole di chi, di fronte a quella sorpresa che rende inconcepibile il concepibile, come diceva Paul Valery, ancora si interrogano sul senso ultimo della fragilità del vivere troppo spesso nascosta nel mondo dorato del gioco più bello del mondo.
Cos'è la bradiaritmia
E non si accontentano della freddezza impersonale di una spiegazione scientifica, la bradiaritmia, il cuore che rallenta troppo. Una patologia, sottolineano i medici, rara nei giovani ma piuttosto frequente negli atleti, soprattutto quelli molto allenati che hanno battiti più lenti del normale, intorno ai 50-60 al minuto. Battiti che nel sonno possono scendere anche fino a 30-35 al minuto.
La diatriba fra medici di questi giorni non cancella l'interrogativo sul Grande Forse, non addolcisce la consapevolezza che l'idea di morire sia più crudele del morire, ma meno dell’idea che un altro sia morto. Ancor più se l'altro è un amico, un fratello, il compagno di Francesca, il papà di Vittoria che lo conoscerà solo attraverso ricordi raccontati, che oggi è ancora piccola per capire come mai un giovane tifoso lasci un messaggio così sulla porta di casa: «Ciao Francesca, tu non mi conosci e penso che non mi conoscerai mai, però voglio chiederti di dire a tua figlia che suo padre era un grande, un super uomo».
Il calcio riparte
Con quell'idea crudele il calcio dovrà fare i conti, di nuovo. La Fiorentina non avrà più una maglia numero 13, la società ha deciso di ritirarla, e non avrà la sua luce già da domenica. Perché dopo una settimana lo spettacolo ricomincia. È ripartito con De Rossi abbracciato a Sirigu prima, e commosso poi per un gol dedicato a un amico diventato inseparabile, il primo dal giorno dell'addio al calcio di Francesco Totti. È ripartito con Romagna, difensore del Cagliari che ha rinunciato al numero 13, perché è giusto rimanga anche in rossoblù il numero di Astori, e continuerà con il 56.
Ripartirà in un Franchi tutto esaurito con la coreografia di palloncini bianchi e viola già pronta per la sfida al Benevento. Con la speranza che i principi e i valori, che l’esempio di Davide, come ha detto Pioli, non si perda. “Ci ha lasciato insegnamenti troppo importanti per non seguirli”. C'è tempo per un altro inverno, per altra neve sui prati bianchi, per altre discussioni su complotti e rigori, Var e fuorigiochi.