Una squadra media che crede di essere grande? O una grande squadra che rende sotto la media? Nella stagione del Napoli di Benitez c’è ben più della diatriba semantica tra il pennello grande e il grande pennello. C’è la crisi di identità di una squadra arrivata a un passaggio di tempo, a un esame di maturità, che non può più procrastinare.
Gli aspetti tecnici – Doveva essere la stagione della verità. E verità è stata, anche se ai tifosi non è piaciuta. La squadra è peggiorata, ha ottenuto 12 punti in meno della scorsa stagione e subito 50 gol, più anche dell’Empoli e del Chievo. In due stagioni, tra campionato e coppe, sono 125 le reti concesse dagli azzurri, che puntava a migliorare la posizione dell’anno scorso e invece è ancora dietro alla Roma che pure ha 20 punti in meno dell’anno scorso. Il mercato estivo, prima causa della frattura tra De Laurentiis e Benitez, non si può certo considerare soddisfacente. Il tecnico aveva richiesto Mascherano, Fellaini, Gonalons, Mario Suarez e il riscatto di Reina, che potrebbe tornare l'anno prossimo. Ha ottenuto scelte non proprio di primo piano (Koulibaly, David Lopez, costato 5,5 milioni e dal rendimento comunque apprezzabile, Strinic) e scommesse perse come De Guzman, l’oggetto misterioso Michu e Rafael. Il risultato è una squadra male assortita, di fatto confusa, che l’integralismo di Benitez nel 4-2-3-1 non ha reso certo più compatta. Anzi. Rafa ha cambiato 37 formazioni in 37 partite di campionato e solo a sprazzi, vedi nella notte di Wolfsburg o nella scintillante esibizione del San Paolo contro la Roma all’andata, è riuscito a trasformare le intenzioni in esecuzione. E il campo palesa le contraddizioni di una squadra incompiuta, che ha recuperato 17 punti partendo da situazioni di svantaggio, segno da una parte che il carattere non manca, dall’altra che troppe volte l’approccio non ha funzionato. Il campo dice anche che il Napoli è la squadra che tira di più in serie A, e che solo due concedono meno conclusioni agli avversari, che è al quarto posto per tackle e sesta per media di palloni intercettati. Ma se David Lopez è il giocatore che contrasta di più, se il primo difensore centrale in questa classifica è Britos, 66mo in serie A, qualcosa nella fase difensiva evidentemente non funziona. A questo Napoli avvolto dalle contraddizioni tipici di ogni fase della crescita, quinto per possesso palla in serie A, non bastano i 60 tocchi di media a partita di Inler (13mo in serie A), i 2 passaggi chiave ogni 90’ di Hamsik (settimo in questa classifica), o i 3 tiri di Higuain (ottavo), sempre più lontano da Napoli nonostante gli oltre 50 gol segnati in azzurro e sempre meno decisivo nelle partite chiave.
Coppe e confronti – E’ arrivato dopo l’anno migliore di Walter Mazzarri, col Napoli secondo e trascinato dal re del gol Edinson Cavani, 104 reti in tre stagioni, 38 solo nell’ultima, venduto con una plusvalenza da 64 milioni. Lascia con la Coppa Italia e la Supercoppa, troppo poco per coprire questo campionato a metà del guado e soprattutto la grande occasione persa in Europa League nell’amara notte di Kiev. L’Europa del sogno infranto l’anno scorso, del Napoli prima squadra eliminata ai gironi di Champions con 12 punti, diventa ancora misura e pietra di paragone del tecnico arrivato per la visione universale e la visione internazionale. Da Bilbao e Kiev, la verità è la stessa: il Napoli sarà anche bello di coppa, ma quando il gioco si fa duro le contraddizioni emergono, le maschere cadono e troppo spesso restano gli altri a giocare.
Cosa resta di Rafa – In un calcio dove le decisioni si misurano con i risultati, dove lo scudetto è quasi l’unica cosa che conta, un’occasione di collettivo riscatto, non bastano più le fiammate isolate, lo spettacolo che a momenti ha illuminato il San Paolo. L’amore per il bel gioco, l’ideale di una mentalità meno provinciale si è tradotta solo in parte nello stile di questo Napoli senza interpreti giusti per la visione di Rafa. E in questo sta quello che per molti è l’errore principale di Benitez, la pervicacia con cui ha cercato di piegare i giocatori alla visione complessiva, invece di cambiare la visione perché meglio si adattasse alle caratteristiche degli interpreti. Un integralismo che più di tutti ha pesato su Hamsik, emblema della distanza tra quel che i freddi numeri suggeriscono e quel che il campo, nella pratica, propone.
I conti tornano… o no? – I conti, però, tornano, almeno nei bilanci. Qui il principio “senza fretta ma senza sosta”, che si è rivelato etichetta vuota e fuorviante per il progetto tecnico, disvela tutta la sua efficacia. Al 30 giugno 2014, la società ha chiuso il miglior esercizio della sua storia con un fatturato in crescita del 56% a quota 237 milioni (contro i 151 del 2013) e 20,2 milioni di utili. Tuttavia, nel conto rientrano 110 milioni per la partecipazione prima alla Champions poi all’Europa League e 69 per le plusvalenze, due entrate “una tantum” che quest’anno non si ripeteranno. Di fatto, le entrate standard, strutturali, non arrivano ai 130 milioni mentre le spese superano i 200 (oltre 143 il solo costo della rosa, fra ingaggi e ammortamenti). Con il quarto posto che farà perdere almeno una trentina di milioni, le strade per aumentare le entrate non possono che passare per il potenziamento del marketing e per il nuovo stadio. Quest'estate, per esempio, la scelta di continuare con la Macron, giustificata con la libertà di scelta che riconosce alla società su materiali e fantasie, rivela un orizzonte ancora troppo ristretto, che mal si combina con le ambizioni ostentate e dichiarate.
Parole e fatti – Ed è forse qui il vero equivoco della stagione e del biennio Benitez, la crescente divergenza tra le promesse e le scelte, tra la grandeur delle parole e la realtà modesta delle politiche societarie, tra le ambizioni internazionali e un mercato che indebolisce la rosa alla vigilia dell’appuntamento più importante della stagione, il preliminare di Champions League. Ecco perché al Napoli serve chiarezza, serve un orizzonte definito e una definizione coerente delle priorità. Serve scegliere tra l’inseguimento della vittoria nell’immediato e la costruzione di un progetto di lungo periodo. Perché finora testa e cuore sono andati in direzioni diverse. In un calcio in cui i costi sono decisamente più dei ricavi (2,9 miliardi a fronte di 1,8 di entrate secondo l’ultimo Report Calcio), in cui nonostante l’aumento dei diritti tv le squadre hanno speso 14 miliardi di ingaggi fra il 1998 e il 2013, la verità è sotto gli occhi di tutti: o si vincono gli scudetti, o si tengono i conti in ordine. Tertium non datur. La terza via, De Laurentiis, Benitez e i tifosi lo stanno scoprendo, porta solo confusione e contraddizioni. Ora il tempo è scaduto, l’attesa al bivio è finita. È il momento di scegliere per quale strada incamminarsi e solo a quel punto procedere, senza fretta e senza sosta.