Messi, Neymar, Ronaldo: un Pallone d’Oro (e una canzone) per tre
Tra Barcellona e Madrid, è qui la festa.Il calcio moderno si specchia in Messi, Cristiano Ronaldo e Neymar, presente e futuro di un'idea di mondo e di pallone come show business, come spettacolo glam, perché si gioca e si tifa per come si è, o come si vorrebbe essere. Un sogno proiettato sul rettangolo verde dove nascono speranze, idoli inarrivabili di uno sport che produce divi e divismi, che ha rinunciato alle bandiere per tanti dollari in più. Sono i tre interpreti migliori della contemporaneità, del calcio post-moderno, tre campioni-brand che monopolizzano l'interesse e creano le mode. Tre caratteri, tre stili, uguali e diversi, che abbiamo voluto associare a tre capolavori musicali: ecco la nostra playlist per il Ballon d'Or.
Messi, Aquarela del calcio
“Un ragazzo cammina cammina arrivando ad un muro chiude gli occhi un momento e davanti si vede il futuro già”. È il ragazzo di Acquarello, la versione italiana di Aquarela di Toquinho. Lo possiamo immaginare così Angelo Messi, mentre saluta il fratello Giovanni a Montefiore e sale sul treno per Ancona, e da lì su una nave per l'Argentina. Ahi quanto mal, e quanto mar per l'Argentina: troppo per quei due fratelli analfabeti che non si parlarono e non si scrissero mai più. “E il futuro è un' astronave che non ha tempo né pietà, va su Marte va dove vuole, niente mai lo sai la fermerà”. Il futuro è un astronave anche bisnipote di Angelo, Leo Messi, l'extraterrestre del pallone, scintillante bellezza, fosforo e fantasia, volontà di precisione e pensiero veloce, esaltazione di un calcio come arte per l'arte, come linguaggio universale. L'arte, appunto, un patrimonio di famiglia: Leandro, discendente di Giovanni Messi, è un falegname che ha passato 17 dei suoi 29 anni a studiare il presepe, come il calcio rappresentazione di una storia, di una tradizione, di un'identità condivisa. Per qualche minuto, la FIFA ha già comunicato che sarà lui il vincitore del Pallone d'Oro, anche se solo per qualche minuto. Gaffe o spoiler, lunedì si vedrà, e sarà quel che sarà.
Ma in una celebrazione che è ormai più fenomeno di costume che riconoscimento tecnico, non serve né l'anticipazione via web né la zingara per indovinare il profilo del favorito nella triade dei candidati. E pensare che il 2015 di Messi era iniziato in panchina, insieme a Neymar, il 5 gennaio contro la Real Sociedad. Il Barcellona perde, Luis Enrique si attira critiche feroci e l'argentina depone l'ascia di guerra. È una tregua armata, un compromesso storico con la Pulce a puntellare, a impreziosire la rimonta sul Real nella Liga, il trionfo in Champions con il gol più bello della manifestazione proprio in faccia a Guardiola, e la ciliegina del Mondiale per club. Ha griffato tutte le competizioni e tutte le vittorie: lo scavetto a Neuer in semifinale di Champions, il diagonale che decide la Liga al Vicente Calderon, la serpentina all'Athletic Bilbao con cui i blaugrana mettono di fatto le mani sulla Copa del Rey, la punizione letale al Siviglia nella frenetica Supercoppa Europea e l'acrobazia al River Plate a Yokohama. Ha segnato 58 gol nel 2014-2015 in tutte le competizioni, è diventato il miglior marcatore di sempre nella storia del massimo campionato spagnolo davanti a Telmo Zarra, secondo Eduardo Galeano erede del torero Manolete che, si diceva, giocava con tre gambe e la terza, nessuna malizia, era la testa, “la migliore in Europa dopo quella di Winston Churchill” e capace, contrariamente a Messi, di segnare anche al Maracanà nel Mondiale del 1950. Messi ha celebrato la vigilia di Capodanno con la 500ma partita e il gol numero 425 in blaugrana e si è già assicurato il premio, effimero, di miglior giocatore del 2015 per L'Equipe. E chissà se davvero lascerà il Barcellona per gli sceicchi e riabbracciare Guardiola. In fondo, come canta Toquinho, “siamo tutti in ballo siamo sul più bello in un acquarello che scolorirà”.
Cristiano Ronaldo, Welcome to the machine
Una bestia, un gigante meccanico che si muove in uno scenario urbano apocalittico e postindustriale. Si apre così il video di Welcome to the Machine, creazione di Gerald Scarfe per i Pink Floyd. Una bestia artificiosa e artificiale, un Leviatano: la macchina dell'industria discografica. “Una bestia”, “un animale da competizione”: mutatis mutandis, nel ritratto di Xavi, l'immagine di Cristiano Ronaldo, leviatano, macchina da soldi, il più bello, il più glamour, il più ricco. È un brano cupo, Welcome to the machine, un dialogo fra un manager che vuole vendere a scapito della passione e un giovane cantante (ogni riferimento per analogia alla Gestifute non è del tutto casuale). Sinfonia per un campione triste, l'unico che nel 2015 ha segnato più di 50 gol. Un re senza corona e senza scorta, il miglior marcatore nella storia del Real Madrid e nella Champions League, che ha chiuso un 2015 da record, da extraterrestre, senza vincere nemmeno un trofeo.
E' arrivato a quota 338 reti in 324 gare in maglia merengue (superato Raul), e a quota 88 in Champions, primo a toccare la doppia cifra per cinque edizioni di fila, per l'Istituto di storia e statistica del calcio è il bomber principe del 2015. Un re che ha chiuso l'anno con un rigore sbagliato contro la Real Sociedad (poi ne segnerà un altro, nella stessa partita, primo giocatore del Real a farlo dopo Higuain), il 15mo in carriera sui 103 tirati, il primo spedito alto da quando indossa gli scarpini chiodati. "A 11 anni ho dovuto lasciare la mia famiglia e arrangiarmi” ha raccontato al Mundo. “Ho sviluppato una grande forza mentale. Dopo il calcio? Voglio vivere come un re, voglio godere al massimo di quanto guadagnato per fare ciò che mi piace". Un re che per molti potrebbe lasciare Madrid. Non per Zidane, però. "Voglio che sia contento” ha detto Zizou, al debutto da tecnico del Real. “Lui è più che incedibile. E' l'anima di questo Real Madrid". Il suo personale benvenuto alla macchina. Anche se la stampa inglese è sicura: dal prossimo anno CR7 tornerà in Premier League.
Bohemian Rhapsody, funambolo Neymar
Ha compiuto 40 anni il più grande mistero dei Queen. Freddie Mercury scrive il testo sugli elenchi del telefono, registra per sei settimane e suona lo stesso pianoforte di Paul McCartney in Hey Jude, ci aggiunge 180 nastri di voci e sceglie fra 70 ore di parti d'opera. È il mistero di Bohemian Rhapsody, tra riferimenti al Corano (Bismillah), Scaramouch e Galileo, Belzebù e lo zoroastrismo. "Freddie era una persona molto complessa. Irriverente e divertente in superficie ma con un'anima che arrivava a strane profondità", ha raccontato Brian May. La sostanza nascosta dall'eccentricità della forma. È così anche per Neymar, che non è più il campione capriccioso dalle acconciature ossigenate, ma un leader che ha imparato a giocare con la squadra e per la squadra.
Con Messi play offensivo e Suarez centravanti, O'Ney completa il miglior tridente di sempre: insieme hanno segnato 137 dei 180 gol blaugrana del 2015. Tra reti e assist, ha contribuito a 100 reti in 112 gare ufficiali e ha già ricevuto il Samba d'Oro, il premio come miglior giocatore brasiliano dell'anno. Il futuro, però, è incerto. Neymar potrebbe chiedere un adeguamento del contratto (ora prende 10 milioni) e allinearsi all'ingaggio di Messi, che gravita intorno ai 22. Ma con le limitazioni del Fair Play finanziario e il Manchester City che sembrerebbe disposto a versare la clausola rescissoria da 190 milioni per regalarlo a Guardiola, il futuro del campione bambino che incarna le speranze di riscatto di un'intera nazione, l'icona del calcio tutta gioia e tutta bellezza che senza un pallone non avrebbe probabilmente uno scopo e un posto nel mondo, potrebbe portare lontano da Barcellona. Solo il cielo è il suo limite.