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Manchester City, dieci anni con lo sceicco: i soldi possono comprare il successo?

Dopo dieci anni di presidenza dello sceicco Mansour, il Manchester City è una delle favorite per il titolo in Champions League. Con Begiristain, Soriano e Guardiola, il City vuole costruire un club-brand locale e globale. Mansour ha speso 1,5 miliardi di sterline in calciatori e vinto tre scudetti. Il suo modello ha cambiato la Premier League.
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Negli anni ottanta, i tifosi al vecchio Main Road cantavano "Sono sicuro, sono del City fino alla morte". Era il canto di fedeltà per una società che non aveva vinto niente dopo la Coppa di Lega del 1976. Nei dieci anni dell'era dello sceicco Mansour, il Manchester City è diventato un wonderwall, come la canzone-inno dei fratelli Gallagher, gli ex Oasis che trasudano in white and blue. E' una potenza del calcio d'Europa e del mondo, ha vinto tre Premier League, come Chelsea e United, tre Coppe di Lega, una FA Cup. E' oggi una delle favorite per la conquista della Champions League, obiettivo ultimo della scelta di un leader visionario e ossessionato dalla perfezione come Pep Guardiola. Il City è una squadra lanciata verso il dominio del calcio, che il calcio fuori dal campo l'ha già cambiato. Una squadra che vuole tutto o niente, titolo del notevole documentario Netflix, e tutto ha cercato di comprare, anche la riconoscenza dei tifosi nel mondo.

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1,5 miliardi in dieci anni

Mansour bin Zayd al Nahyan, questo il nome completo del principe proprietario, figlio del defunto Zayed bin Sultan Al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti dal 1971 al 2004, rileva il City per 250 milioni di sterline dal thailandese Thaksin Sinawatra, inseguito da mandati di cattura internazionale. Il nuovo proprietario regala subito ai tifosi Robinho per 42 milioni di sterline. Ed è solo l'inizio. In undici stagioni, Mansour ha investito 1,543 miliardi di sterline per 77 giocatori, esclusi prestiti e trasferimenti gratuiti. Il valore della rosa, secondo il sito specializzato Transfermark, nell'era Mansour è cresciuto da 222 a 770 milioni di sterline, anche se i costi per gli ingaggi, spiega la BBC, già dalla prima stagione sono lievitati da 54 a 83 milioni di sterline, per toccare i 233 milioni nel 2012-13 e i 244 nel 2016-17.

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Soldi ben spesi, che hanno fruttato oltre 300 milioni di prize money dalle competizioni domestiche, 295,5 dalla partecipazione alla Champions League nelle ultime sette stagioni, e 474 milioni di dollari di sponsorizzazioni, secondo la compagnia di sports intelligence britannica Sportcal. Serviranno ancora diverse stagioni perché Mansour possa rientrare dell'investimento. Tuttavia, la presenza sua e di un magnate come Abramovich ha già distorto le regole del mercato in Premier League e ridotto il livello di equilibrio competitivo del campionato più ricco del mondo.

L'attacco di Tebas: City e PSG ridono in faccia al fair play finanziario

L'impegno con la Uefa nel 2014 a contenere i passivi, nei termini dell'accordo in materia di fair play finanziario, ha evidenziato da un lato i lati oscuri del FFP. L'anno scorso, al Soccerex di Manchester, il presidente della Liga Javier Tebas ha frontalmente accusato i Citizens di essere "una squadra di Stato", di aver provocato un eccessivo innalzamento dei prezzi dei giocatori e degli ingaggi, e di ridere in faccia (l'espressione effettiva è molto più pittoresca) alle limitazioni dell'Uefa. Squadre come il City o il PSG, allora nell'occhio del ciclone per l'affare Neymar e la foglia di fico del prestito differito per Mbappé, "hanno un vantaggio competitivo che non proviene dal club” ha detto Tebas. "C’è un rischio incredibile quando i soldi provengono da stati e governi”.

manchester city mancini

Begiristain: dobbiamo diventare una squadra vincente

"Ci sono persone che lavorano, fanno bene e spendono tutti i soldi per niente" ha detto in una rara intervista alla BBC il direttore sportivo Txiki Begiristain. "Invece se li dai a chi vuole far bene, a chi ha un progetto, una filosofia, un'idea su come giocare e come lavorare, e il successo arriva poi le conseguenze durano per sempre. E' vero, spendiamo tanto. Perché vogliamo vincere e in poco tempo. Tutti quelli che vengono qui devono sapere che siamo qui per vincere".

Un bel cambio di prospettiva per una squadra abituata, per decenni addirittura rassegnata, a vedere una prospettiva di successo trasformarsi nella cronaca di un disastro annunciato. Nel 1938 chiudono con il miglior attacco del campionato ma diventano l'unica squadra a retrocedere nella stagione successiva alla conquista del titolo in prima divisione. Nel 1983 retrocedono ancora, eppure non si sono mai ritrovati tra le ultime tre in classifica fino agli ultimi sette minuti della stagione. La retrocessione del 1996 è iconica. I Citizens devono battere il Liverpool, ma nel finale perdono tempo convinti che possa bastare anche il pareggio. Due anni dopo, scenderanno per la prima volta in terza divisione. E i tifosi, con inglese ironia, canteranno: "Siamo come l'uomo invisibile, non siamo qui davvero".

"Il nostro obiettivo" prosegue Begiristain, "è vincere sempre, ogni anno, anche se sappiamo non sarà possibile. Non vincere è un fallimento, ma non vuol dire che serve cambiare tutta la squadra. Però dobbiamo diventare un club vincente, una squadra che sa di dover lottare per il titolo ogni anno. Così arriveremo a lottare anche per la Champions League, perché serve tempo per acquisire l'esperienza che serve in una partita come una semifinale di Champions".

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Il modello Soriano

Nel 2012, quando il gol all'ultimo minuto di Aguero ha ufficializzato il primo titolo dei Citizens in campionato dopo 44 anni, Mansour, il City di Roberto Mancini esce dalla prigionia del sogno e inizia una nuova era. Mansour, accusato di aver "comprato il titolo per un miliardo di sterline" (la cifra spesa per riempire di stelle la squadra dall'inizio della sua gestione), porta nella zona est di Manchester un altro pezzo del Barcellona di Guardiola, in attesa di legare alla sua visione anche il tecnico. Arriva il direttore Ferran Soriano, che spinge l'ambizione di Mansour fuori dai confini dell'Inghilterra.

A due giorni dal suo arrivo, è già a New York per creare una nuova franchigia collegata. Ne nascerà una anche a Melbourne, unite dal brand City, da interscambi di giocatori non sempre secondo pratiche ortodosse, e da periodi di precampionato nel centro di allenamento più avanzato del mondo, nel Campus da 34 ettari intorno all'Etihad, con oltre sedici campi, compreso uno indoor in sintetico, dedicato per due terzi al settore giovanile, che compremde anche un hotel a cinque stelle per la prima squadra.

Il City per Manchester, una champagne supernova?

Dal 2014, il City ha anche una squadra femminile, che si allena all'Etihad Campus ed è diventata in poco tempo una delle migliori d'Inghilterra e con talenti come Ellie Roebuck, Esme Morgan o Keira Walsh potrebbe cambiare il volto del movimento femminile inglese. In campo i successi già si vedono: il double del 2016, la semifinale di Champions League del 2017 fanno già una prova.

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Nel modello di Mansour e Soriano, il City deve diventare il primo club d'Europa. Soriano apre i confini delle sponsorizzazioni, rende il club un brand globale con una corporazione di sponsor locali, scuole e club satellite per alimentare il talento. Ma il club, anche prima dell'arrivo di Mansour, aveva rinforzato la sua dimensione locale. Nel 2002, insieme al passaggio nell'attuale stadio dopo i Giochi del Commonwealth, insieme al City Council il club ha speso milioni per bonificare un'area industriale dismessa, usata come miniera di carbone e da un'industria chimica. Ha dato lavoro a compagnie e apprendisti locali, e costruito 6mila nuove case.

La creazione della City Football Academy, all'interno dell'Etihad Campus, è un segnale che va nella stessa direzione. Vuol dire, sottolinea ancora Begiristain, "che i proprietari della società hanno intenzione di rimanere a lungo, che credono in questa città e in questa squadra, che il progetto ha una vita lunga". Finirà in un'esplosione di champagne come piacerebbe al grande tifoso Noel Gallagher?

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