Juary balla coi lupi: è l’Avellino dei miracoli
Primo appuntamento con la nuova rubrica settimanale ‘Il calcio fa bene alle ossa'. Vi racconteremo dei piccoli eroi del variegato mondo del pallone, di quelli che hanno fatto la storia anche senza alzare le coppe ma compiendo grande imprese. Vittorie che non si misurano affatto con le mostrine e le stelle, perché non è da questi particolari che si giudica un giocatore.
È l'estate del 2012. Neymar ha appena segnato il suo secondo al Sao Paulo e portato il Santos al titolo Paulista. Poi va verso la bandierina e si mette a ballare. Ha eguagliato il record di 101 ‘timbri' con la maglia del Tricolor e ha voluto imitare il modo di gioire di chi l'aveva stabilito più di trent'anni prima. Un attaccante che poi verrà in Italia, che diventerà il primo a coreografare il momento del gol, prima ancora dell'aeroplano di Platini. È l'icona di un calcio più semplice, quando i miracoli si potevano ancora fare ad Ascoli, a Cremona, ad Avellino. E ti viene la nostalgia nel vedere Neymar che balla come Juary. Ma ti viene anche da pensare che allora si poteva scrivere la storia anche partendo da Avellino.
La promozione – I Lupi sono tornati in serie A una memorabile domenica d'estate del 1978. Memorabile non solo per Adriano Lombardi, capocannoniere di quell'Avellino, o Salvatore Di Somma. È una domenica per tutta l'Italia, perché la nazionale ha battuto nella notte l'Argentina a Mar del Plata ai Mondiali. Così il gol di Bettega fa storia insieme al gol di Mario Piga all'ultima giornata contro la Sampdoria. È l'inizio di un decennio storico di ininterrotta permanenza in serie A. Al primo anno di serie, alla prima di ritorno, il Partenio si illumina quando Romano stende il Milan di Liedholm che sarà campione d'Italia. L'Avellino costruisce la squadra cercando giovani di serie B che hanno bisogno di sfondare e calciatori navigati in cerca di rilancio. Nei primi anni in tanti rifiutano: Scala, Marocchino, Ambu, Selvaggi, Vincenzi, De Rosa, Zanone, Montesano, Penzo, Storgato, Prandelli. Cambia un'era, inizia un'epoca. Cosa resterà di quegli anni '80?
Il miracolo – Si riaprono le frontiere. Fra grandi giocatori, e semisconosciuti brasiliani comprati per uno scarto vocalico (la Pistoiese cercava una punta, trovò una ponta, un'ala, e tesserò Danuello per quel che non era), l'Avellino estrae dal cilindro Juary. Un brasiliano minuto, quasi scartato dal calcio verdeoro, che giocava in Messico, al Guadalajara. È con lui che i Lupi si battono contro la Roma di Falcao, il Napoli di Krol, la Juve di Brady. E con un handicap in più, la penalizzazione per il Totonero: sono state proprio due partite dell'Avellino date per sicure dal ristoratore Trinca e dal fruttivendolo Cruciani, e finite con un risultato diverso a convincere proprio le menti di quel primo rustico Calcioscommesse a denunciare tutto perché in debito di quasi un miliardo. Il presidente Sibilia si affida a un tecnico che professava un calcio moderno, Luis Vinicio. Accanto a Juary, restano Piga e Di Somma.
Nuovi arrivi – A centrocampo arriva dal Verona Beniamino Vignola. Uno dei migliori numeri 10 mai approdati in Irpinia, che non a caso andrà alla Juve e deciderà una Coppa delle Coppe con un gol in finale. In porta, dopo la cessione di Piotti al Milan, c'è il 23enne Tacconi che ha fatto bene alla Sambenedettese e seguirà Vignola in bianconero. Messa in riga l'Inter dello scudetto in Coppa Italia, alla quarta giornata l'Avellino ha raccolto 2 punti. La gara interna col Cagliari è già definita da ultima spiaggia, ma si sblocca Juary, e quei tre giri intorno alla bandierina cambieranno per sempre il mondo del calcio: poi sarà un trionfo di piroette, trenini, aeroplanini, ciucci e palloni sotto le maglie. Il campionato dell'Avellino comincia alla sesta, quando annullano la penalizzazione, e rischia di finire all'ottava. È il 23 novembre 1980.
"Che disastro, ma che bella vittoria" – L'Avellino batte l'Ascoli 4-2, poi la sera la terra trema. Una signora riconosce Di Somma: “Salvatore, hai visto cos'è successo? Che disastro… Però oggi che bella vittoria abbiamo fatto”. Il Partenio diventa campo di accoglienza e i Lupi traslocano al San Paolo. Per Natale si regalano un punto d'oro con la Juve. Nel girone di ritorno l'Avellino trova un suo ritmo. Vince in casa (prezioso il successo sul Perugia, gol Vignola allo scadere), stenta fuori. Ma esce dalla zona retrocessione. Per 81′ sogna perfino di fermare la Juve. Il punto alla penultima contro il Bologna (0-0) tiene i Lupi a una lunghezza dal miracolo. Ma di fronte c'è la Roma, in lotta per il titolo e furiosa per il gol annullato a Turone la settimana prima nella sfida scudetto. Falcao segna dopo 5′, i giallorossi sono campioni d'Italia per 21′, finché Cabrini non sblocca al Comunale contro la Fiorentina. La Roma molla un po', e Venturini stampa la punizione della gioia sotto l'incrocio. E pensare che non era nemmeno nell'album delle figurine Panini…
Ombre – Su quella stagione rimane comunque l'ombra della visita di Sibilia in carcere a Raffaele Cutolo. Con lui c'è anche un'inconsapevole Juary che consegna al tifoso “Don Raffae'” un pacchetto per conto del presidente: dentro c'è una medaglia e una dedica. Sibilia e Cutolo sono amici, molto amici. Di questo rapporto si occupa Luigi Necco, giornalista della Rai, che per la sua inchiesta finisce gambizzato. Per 90° minuto racconterà poi l'epopea del Napoli di Maradona.
Bidoni e campioni – E' un decennio di grandi successi nelle piccole cose, di grandi colpi in uscita, come Juary venduto a un'Inter litigiosa per cui non era pronto con una plusvalenza di un miliardo. Di salvezze con squadre costruite al risparmio e pomeriggi di gloria come il 4-0 al Milan al Partenio alla prima giornata del campionato 1983-84. Un decennio di grandi campioni stranieri che ancora potevano illuminare piazze lontane dai centri del potere pallonaro. Arrivano il “Delantero Triste” Ramon Diaz, futura gemma dell'Inter dei record del Trap, e Geronimo Barbadillo, che arriva su consiglio di Juary per un “imbroglio” del suo agente. Figlio d'arte, Barbadillo l'Italia l'aveva già incontrata, era nazionale del Perù al Mundial di Spagna. Ha vinto tanto in Messico, al Tigres, atterra a Roma e gli dicono che avrebbe firmato per una grande squadra. E invece da Fiumicino lo portano ad Avellino, con i segni del terremoto ancora evidenti e un'accoglienza calcistica non tanto migliore, una gomitata da un difensore del Torino che lo lascia stordito. I tifosi però lo amano, lo chiamano Tartufón, oppure O'Gerry. E lui ama l'Italia, a 33 anni sbarca a Udine a sostituire Zico, poi ci resta, prende casa, apre un ristorante e fa da talent scout per i friulani. Per un anno gioca anche Dirceu, che ha cambiato cinque maglie in cinque stagioni (Verona, Napoli, Ascoli, Como, Avellino) e a fine decennio si è fermato a Eboli. Certo, a volte il colpo non riesce, di Skov in Irpinia ricordano più che altro la splendida e biondissima moglie, ma i ruggenti anni '80 restano indimenticabili.
Il trofeo dimenticato – E nella stagione dell'edonismo reaganiano c'è spazio anche per il trofeo dimenticato. È il torneo estivo del 1986, organizzato dalla Lega per le squadre di serie A eliminate prima delle semifinali di Coppa Italia. I nazionali, che preparano il Mondiale del Messico, non ci sono. Le 12 squadre sono divise in gironi da 4. L'Avellino rifila un 5-1 al Napoli senza Bagni e Maradona, con tripletta di Alessio, nell'ultima partita in biancoverde di Diaz. Bertoni poi piega il bari e pareggia con l'Inter. Passato il turno, è di nuovo 5-1, stavolta all'udinese. Solo pochi intimi, 470 spettatori, assistono al 3-1 ai danni della Juve che porta i Lupi in finale. Nemmeno la finale attira pubblico, ci sono circa 1000 tifosi al Santa Colomba di Benevento. L'Avellino vince 3-2 sul Bari, poi Robotti lascerà la panchina al richiamato Vinicio. Ai Lupi resta l'unica coppa mai conquistata in massima serie. Peccato che non c'è gloria per i vincitori. Ma non è in fondo questo il destino degli eroi di provincia?