Il Monaco e quel sogno chiamato Champions League
“Bravo, Didier. Hai una squadra che arriverà in finale”. Forse nemmeno Guus Hiddink, battuto 2-1 in quella prima giornata di Champions League 2003-2004, credeva fino in fondo alla sua profezia. E di certo non ci credeva Deschamps. Tra vincere una partita e arrivare in finale ci sono parecchie sfumature di differenza. E poi solo pochi mesi prima il Monaco ha rischiato di fallire, è stato retrocesso d’ufficio in Ligue 2 per debiti tra i 50 e gli 80 milioni di euro, e salvato solo grazie all’intervento dell’MFI (il Monaco Football Investissement), un gruppo di potenti investitori locali. Un colpo di fortuna per Deschamps, dopo il suo primo successo da allenatore, la Coppa di Lega 2003 (4-1 in finale al Sochaux). Un regalo doppio, perché con l’MFI arriva anche un nuovo presidente, Pierre Svara, che rimpiazza Campora, con cui “La Desch” non è mai andato troppo d’accordo, proprietario del club del Principato dal 1975.
Gli eroi – È in quegli anni che decolla il 4-4-2 di Deschamps. Nell’estate del 2003 è partito Marcelo Gallardo, che pure aveva un contratto fino al 2007 (e DD ha scoperto del rinnovo solo dalla stampa), e il centrocampo è diventato il regno di un altro argentino, Bernardi, affiancato dal più difensivo Zikos. Dietro Givet e Evra, che ha respinto le offerte di Manchester United e Juventus (le squadre del suo destino futuro) spingono sulle fasce. Al centro, a proteggere Flavio Roma, si giocano due posti Squillaci, Rodriguez e Hugo Ibarra, arrivato in prestito dal Porto, con un bagaglio pesante di tre Coppe Libertadores e un’Intercontinentale vinte con il Boca Juniors. Rothen e Giuly creano spazi e presupposti offensivi per il punto di riferimento centrale, Dado Prso. Accanto a lui, nelle prime partite della stagione, ruota Shabani Nonda, che però si infortuna gravemente il 24 agosto nel 4-2 al Paris Saint-Germain. Deschamps chiede allora Giovane Elber, ma la società non vuole acquistare nessun altro giocatore. Si tenta allora un’altra strada, il prestito di un anno di Fernando Morientes, che sembra vicino allo Schalke 04. Il Real Madrid, che ha trovato la sua stella polare in attacco nel Fenomeno Ronaldo, accetta di pagare i due terzi del suo ingaggio da 380 mila euro al mese, e l’attaccante è ben contento di lasciare una squadra dove, dicono, “ogni giorno mi ricordano che non sono un Galactico”.
Come tutto è iniziato – Dopo il 2-1 al PSV e il 4-0 all’AEK Atene, il Monaco si fa sorprendere 1-0 a La Coruna, dal Deportivo che agli ottavi ne farà 4 al Milan (ma questa è un’altra storia). Al ritorno, racconta Rothen a So Foot, “hanno visto gli spagnoli fare shopping a Montecarlo la mattina prima della partita, come se affrontarci fosse solo una formalità”. Risultato: Pršo ne segna 4 da solo, nel giorno del suo 29mo compleanno, il Monaco vince 8-3 e la partita entra nella storia come il match con più reti nella storia della Champions (battuto il 7-2 del PSG al Rosenborg dell’ottobre 2000). Il messaggio è chiaro: meglio non sottovalutarli. Ma non tutti lo colgono, non subito almeno. Sull’onda della goleada, il Monaco si qualifica per gli ottavi, che da quell’edizione sono tornati a eliminazione diretta, contro la Lokomotiv Mosca.
Il fattore C – Senza un po’ di fortuna, le grandi storie non si scrivono. E la storia del Monaco non fa eccezione. A Mosca, in un’ora la Lokomotiv è avanti 2-0, e più volte ha mancato il terzo gol. Ma al 69’ segna Morientes e tiene la qualificazione ancora in gioco. Al ritorno Pršo sbaglia un rigore, ma al 22’, con fin troppa severità, l’arbitro espelle Loskov, il migliore dei russi. Il centravanti croato si fa perdonare e al 60’ manda i monegaschi ai quarti, al Bernabeu. La scalata di Didier Deschamps verso la nazionale comincia qui.
Il Real Madrid – “Ve lo dico, avrete delle occasioni oggi, delle carte da giocarvi. E giocatevele fino in fondo” spiega ai suoi giocatori. “E in tutti i duelli, in tutti i contrasti, fatevi sentire, fategli capire che ci siete”. Il Monaco va anche in vantaggio, ma 90 minuti al Bernabeu possono essere lunghissimi, chiedere per credere al Granada che ne ha presi 9, cinque solo da Cristiano Ronaldo, una settimana fa: segnano Pavon, Zidane, Figo e Ronaldo, all’81’ è 4-1 Real. Due minuti e il destino comincia a seminare un futuro diverso. Casillas si inchina a un colpo di testa. Di chi? Ma di Fernando Morientes, chi altro? Non è tanto il gol dell’ex più avvelenato della storia recente delle merengues a stupire a Madrid. È la presa di coscienza che nessuno, al momento di autorizzare il suo prestito nel Principato, abbia pensato di inserire una clausola per impedirgli di giocare contro il Real. “Non sono certo la persona adatta per commentare questa decisione” spiega Casillas a fine partita, “ma sono sicuro che nessuno pensava che avremmo affrontato il Monaco quest’anno”. Al ritorno, Beckham è squalificato, e il centrocampo del Real senza Makelele non è più lo stesso: i blancos chiuderanno la stagione con la 12ma difesa della Liga. Deschamps lo sa.
“Edu” Cissé mostra un po’ meno convinzione. “Se ci fanno un gol” dice, “per noi è finita”. È proprio da questa rassegnazione strisciante che “la Desch” parte nel suo discorso alla squadra prima della partita. È uno di quei discorsi da condottiero, da motivatore nato, di quei discorsi alla “dobbiamo essere disposti a vivere e morire per conquistare quel centimetro di campo”. “Probabilmente un gol lo faranno” inizia Deschamps, “ma non pensiamo che sia finita. Non è finito niente. Anche nello scenario peggiore, se dovessero segnare subito, niente è perduto. Dobbiamo fare gol, e li faremo. E se dovremo segnare l’ultimo gol al 90’, lo segneremo al 90’. Perché, ve lo dico, loro sono venuti qui convinti di essere già qualificati, non sono pronti alla battaglia. Noi sì”. Lo scenario non è quello peggiore, ma quasi. Il Real va in vantaggio al 36’. Quando inizia il recupero del primo tempo, i telecronisti della tv spagnola cominciano a ipotizzare quale potrà essere l’avversaria del Real in semifinale. Ma al 46’ Giuly pareggia: all’intervallo è 1-1. Per passare il turno, i monegaschi devono comunque farne altri due. Proprio Giuly, negli spogliatoi, vede Zidane e gli si avvicina. “Dai, fateci fare almeno un gol” gli dice, “giusto 2-1”. “Ma Ludo” gli risponde Zizou, almeno così rivela Giuly in un documentario realizzato da Canal+ sulla loro avventura in Champions League, “stasera noi siamo persi”. Nella ripresa, il Monaco vola. Morientes segna ancora, sempre di testa, sarà il capocannoniere di quella Champions con 9 reti. Giuly chiude gioco, partita, incontro, con il gol della doppietta e della qualificazione in semifinale, contro il Chelsea, l’unica big rimasta. E stavolta, il ritorno sarà in trasferta.
Finale di partita – Prima del match d’andata, Deschamps torna a ipnotizzare i suoi. “Stasera, dobbiamo vincere, dobbiamo prendere un vantaggio, meglio un grande vantaggio. Ci tenevo a dirvelo, ragazzi: siete forti, molto forti. Sta a voi giocarvela”. E se la giocano come meglio non potrebbero. In 10 contro 11 per l’espulsione di Zikos al 51’, quando il punteggio era sull’1-1, Morientes e Nonda, rientrato intanto dall’infortunio, scrivono un 3-1 che fa storia. A Londra, il Chelsea ribalta tutto, i Blues si portano avanti 2-0 al 44’, ma non è mai finita. Minuto 47: testa di Morientes, prolunga Ibarra, all’intervallo è 2-1. Al 60’ Bernardi scambia con “Nando” che buca la difesa, firma il suo ultimo centro in quell’edizione di Champions, e porta il Monaco in finale. È la prima squadra francese a giocarsi il titolo nel più prestigioso trofeo continentale dalla sentenza Bosman. Ma come era già capitato ai monegaschi, guidati allora da Wenger, nel 1992, come al Saint-Etienne nel 1976 o all’Olympique Marsiglia nel 1991, in finale vince la paura. Il trionfo è tutto per il Porto, l’ultima squadra che non gioca in uno dei 5 grandi campionati d’Europa a riuscirci, e di Jose Mourinho, che diventa lo Special One. Eppure, solo un anno prima, Mou voleva lasciare il Porto, dopo la conquista dell’Europa League. E in questa storia di destini e fortune, è un altro allenatore olandese, il suo padre spirituale Louis Van Gaal, a indicargli la strada, a profetizzargli il futuro. “Resta ancora un altro anno al Porto”, gli dice. E cambia la storia.