Gli album dei Mondiali: Argentina, la banda dei cuori solitari
Ogni nazionale un disco celeberrimo. Cinque canzoni per raccontare cinque storie. Iniziamo dall'Argentina, che agli inglesi deve l'amore per il calcio, poi sviluppato per reazione negli spazi stretti come un tango. La storia albiceleste è una musica appassionata, con le note di un classico dei Beatles: Sgt. Pepper's Lonely Hearts Band Club.
La banda dei cuori solitari
Aquí la tiene el ‘Burrito’ para Pineda, Pineda, Pineda, el loco y hace el gol, el loco y hace el gol. ¡Goooool!, ¡Gooooool, Arrr-gen-ti-no!.
Marcelo Araujo accompagna lo stop di petto, la palla che rimbalza, il sinistro sull'uscita del portiere. Il gol della vittoria, in una partita che vale solo il primo posto, a qualificazione già ottenuta, dell'Argentina che batte 1-0 la Croazia a Bordeaux. È il 26 giugno 1998. Vent'anni, e un giorno fa, oggi, un'altra voce risuonava per l'Argentina. È la voce di Victor Hugo Morales, che definire “relator”, radiocronista, è fin troppo riduttivo. È il poeta della parola. Ci sono tutti ad ascoltarlo, anche le guardie dell'ECMA, e i desaparecidos che stanno per finire su un altro volo della morte.
Il Flaco Menotti assume il volto migliore da triste don Chisciotte e si accende l'ultima sigaretta dopo la caduta dell'ultimo ostacolo.
È il loro sergente Pepper, e loro, quei giocatori che stanno per alzare la nike alata, sono la sua banda di cuori solitari. A quella banda, ha insegnato a giocare. Sono andati a tempo e fuori tempo, ma hanno garantito un sorriso. Sono la banda dei cuori solitari che la coppa, come chiedeva il Flaco, l'hanno vinta non per quei figli di puttana, per alleviare il dolore del popolo. C'è sangue sulla maglia di Alberto Tarantini. Non è il sangue dei tre amici desaparecidos, ma è il sangue della coscienza di chi ha visto e non ha guardato. Ma è lì, per assistere alla recita che li ha resi famosi, la banda dei cuori solitari del sergente Pepper detto el Flaco.
Vanno a dare la coppa a Passarella. La stanno baciando tutti. Dalle un bacio per me Pato. E ora alzala. ‘Argentinaaaa!!!’
Con un po' di aiuto dai miei amici
“Che diresti se cantassi fuori tono, ti allontaneresti da me?”. Si allontana Burruchaga, mi avvicino. Prendete e bevetene tutti, dico ai brasiliani. Fa un caldo fuori dal comune quel 24 giugno 1990 a Torino. "Prestami le orecchie e ti canterò una canzone". Una canzone che fa: bevi, fa caldo. Il nemico la ascolta. Sono il Pibe de Oro, è normale. Branco beve, tutto d'un fiato. E inizia a giocare fuori fase, un campione che stona, non ride e cade sul suo ultimo metro. Bilardo, l'allenatore, ci ha storditi in allenamento, prima e dopo ogni sessione, con le cassette di samba.
Nel calcio, dice, vale tutto. Io “me la cavo, con un piccolo aiuto dai miei amici. Vado su di giri, con un piccolo aiuto dei miei amici. Devo provarci, con un piccolo aiuto dai miei amici”. Solo anni dopo Bilardo confesserà a Branco, in Guatemala, che in quelle borracce abbiamo sciolto il rohypnol. “Come mi sento alla fine della giornata” vogliono sapere tutti. “Sei triste perché sei solo?”. “Me la cavo, almeno ci provo, con un piccolo aiuto dai miei amici”.
Sta andando meglio, Lio
Devo ammetterlo, “sta andando meglio, sempre meglio, ogni volta”. Ho provato, ho fallito, ho provato meglio, ho fallito meglio. Non sono mai stato un giovane arrabbiato. “Nascondevo la testa nella sabbia”, magari solo un po', o almeno così a qualcuno sarà sembrato. In Sudafrica, Maradona diceva che io gioco a calcio come lui mangia una mela, che con me il calcio è bello, è facile. Ma aspetto ancora chi mi dica che “sto facendo il meglio che posso”. Non in nazionale. Non a un Mondiale. Non quattro anni fa. Ho segnato un capolavoro alla Bosnia, uno all'Iran e due gol alla Nigeria. Mi hanno eletto miglior giocatore ma tutti parlano solo del minuto 123, della punizione sballata in finale, di una partita sballata. E parleranno delle quattro giornate di squalifica nelle qualificazioni e dei tre allenatori.
Chissà se ricorderanno se il 75% dei punti nelle qualificazioni li han fatti con me in campo, della tripletta decisiva all'Ecuador o dell'ultimo discorso prima di entrare in campo a Quito. “Dobbiamo portare Messi, il miglior giocatore del mondo, in Russia” ha detto il ct Sampaoli. E io so cosa fare, so cosa dire, se usciremo dalla prigionia del sogno. Ammetterei che sì, “sto meglio, va tutto molto meglio, da quando sei mia” guardando i riflessi di luce su quei due atleti in ottone placcato oro che sorreggono il mondo.
Con te, senza di te
“Stavamo parlando, dello spazio fra di noi, e della gente che si nasconde dietro un muro di illusioni”. Due tifosi qualunque, in un posto non meglio precisato, se lo ricordano quella sera buia, se la ricordano la voce di Julio Grondona, il presidente della federazione argentina. “La partita in questione è Argentina-Nigeria” scandisce.
Il giocatore è Diego Armando Maradona. Nelle sue urine sono state trovate tracce di efedrina contenuta in un decongestionante nasale usato da Diego per il raffreddore. Si tratta del Nastizol.
L'amore “lo possiamo condividere, quando lo troviamo”, “con quell'amore possiamo salvare il mondo”. Ma non servirà a salvare il più grande di tutti. L'efedrina, dirà, non serviva per correre. La colpa era di un prodotto per ridurre lo stimolo della fame. Prendeva il Ripped Fast, consentito dalla FIFA, negli Usa però non lo avevano, c'era solo il Ripped Fuel, che conteneva efedrina e altre quattro sostanze trovate nelle urine. Già, “è tutto dentro di te, nessun altro può farti cambiare” hanno pensato i tifosi di ogni angolo del globo. “Cerca di capire che sei solo molto piccolo, che la vita scorre dentro di te e senza di te”. Parlano del loro amore per il Pibe che diventa più freddo. “Ci sono persone che conquistano il mondo e perdono l'anima” si dicono e si guardano negli occhi: “Non sei come loro, vero?”.
Un giorno nella vita
“Ho visto un film oggi, l'esercito inglese aveva appena vinto la guerra”. Quattro anni son passati, ma quella guerra, alle Falklands o Malvinas, non l'ha dimenticata nessuno. “Quando le compagnie inglesi per prime hanno portato il calcio da noi, gli argentini non potevano giocare con loro” ha scritto Roberto Perfumo, capitano della nazionale per sette anni, in Playing football. “Loro hanno sempre quella superiorità inglese, anche se sanno che devono lottare tanto se vogliono batterci. Vincere contro l’Inghilterra è come per gli allievi sconfiggere i maestri”.
È una partita da non sbagliare, in Messico. Bilardo chiede a Maradona di consolare Pasculli, che ha segnato il gol decisivo contro l'Uruguay ma va in panchina, gioca Enrique, che non aveva nemmeno uno sponsor per gli scarpini. Non vogliono giocare con la seconda divisa fornita, è scura, pesa troppo e fa caldissimo. Mandano Moschella, il magazziniere, a scegliere un modello alternativo, incollano i numeri con la piastra la notte prima. Sembra un film.
“Un sacco di gente è andata via ma io sono proprio dovuto rimanere a guardare, avendo letto il libro”. Il libro, quello delle marcature, salta. L'Inghilterra ha una tensione speciale, ma la partita è corretta. Maradona gioca più libero, l'Argentina, come in tutto quel Mondiale cresce in partita, più che in allenamento. La partita non gli piace, e in spogliatoio all'intervallo non lo nasconde. Nasconde il pugno, mentre salta come una rana su Shilton e aspetta i compagni per festeggiare. “L'hai segnato con la tua mano o con la mano de Dios?” gli chiederà Gary Lineker anni dopo per la Bbc. “Con la mia. Ma non voglio con questo mancare di rispetto ai tifosi inglesi”. Segnare quel gol, ha scritto in La mano di Dio, “fu come rubare a un ladro”.
Un ladro fin troppo corretto, allora e dopo, durante il dipanarsi di un'opera d'arte, perché né Reid né Fenwick cercano di colpirlo. Butcher sì, ma non lo ferma. Il resto è musica. “Genio! Genio! Sì sì sì sì sì sì, Goool! Mi viene da piangere dio santo! Viva il calcio! Golazo! Diegooo Maradooonaaaa…. aquilone cosmico, da che pianerta sei venuto? A lasciare per strada tutti quegli inglesi per unire il nostro paese come un pugno chiuso, a urlare per l'Argentina”. Sì, “sarei felice di farvi sballare”.