Germania, addio rigore: è la vittoria del disordine
A un tempo dal fallimento, la Mannschaft rinnova un adagio antico. I tedeschi non saranno gli impassibili, solidi, equilibrati protagonisti di storielle e barzellette ma quando c'è da tirar fuori l'orgoglio non son secondi a nessuno. Al Mondiale non vincevano in rimonta da vent'anni, da Francia '98, dal 2-1 al Messico. Dal Messico al Messico, in vent'anni c'è la storia della rivoluzione multiculturale, c'è un nuovo modello di calcio, c'è il germe della nazionale campione del mondo. La parabola della Germania che salva l'onore ma non risolve i problemi si decide nell'intervallo. Sotto di un gol, con lo stesso squilibrio dell'esordio, Low chiama in campo Gomez. Werner, decisivo a sinistra, e Reus che pareggia ringraziano. La Mannschaft, in dieci, estrae quel che ancora si nasconde sotto le maglie con l'effigie che tutti vorrebbero. E lascia Olsen, autore di una parata manifesto su Gomez, in lacrime per una punizione che Kroos pennella dove nessuno è in grado di immaginare e anticipare. Segna al minuto 94'42", è un record per i Mondiali, supplementari esclusi. L'ordine svedese si sgretola così contro una Mannschaft che abbandona il rigore per una discontinua entropia creativa.
La Svezia sfonda al centro
Bucare al centro i tedeschi è troppo facile per gli svedesi, che pure hanno davanti non due scattisti come Berg, capocannoniere svedese nelle qualificazioni che però non ha segnato nelle amichevoli pre-mondiali, e Toivonen, mai in gol al Tolosa quest'anno. La Svezia, che ha affrontato la Mannschaft 38 volte con questa (è la sfida più frequente fra quelle previste nel girone di primo turno) non vince dall'aprile 1978. Per gli scandinavi il calcio è ancora qualcosa che si gioca undici contro undici e alla fine vincono i tedeschi, sette volte almeno nelle ultime 12 sfide. Ma Berg si infila al quarto d'ora inseguito da Boateng. Neuer, che ha cambiato il ruolo del portiere moderno per come ha iniziato a usare i piedi da difensore aggiunto, abbozza l'uscita ma resta in piedi. Una spinta leggera e non vista sbilancia Berg. Gli basta una sola occasione per segnare, dicono di lui i giornalisti svedesi a Sochi. Stavolta l'occasione c'è fino a un certo punto. Tutta la Svezia, panchina compresa, chiede invano il VAR e con molte buone ragioni.
Germania lenta e senza equilibrio
Dopo gli squilibri visti contro il Messico e il suo contributo non proprio grintoso sullo scatto di Lozano nel gol vittoria dei messicani, Low decide di sacrificare Ozil. Dal suo debutto in nazionale, aveva sempre giocato dal primo minuto nelle successive 26 partite tra Europei e Mondiali. Una scelta che sa di prima bocciatura per il trequartista che non si è fatto troppo amare per la foto con Erdogan prima della partenza per la Russia.
La Mannschaft fa girar palla ma senza costrutto e senza il movimento dei centrocampisti offensivi che servirebbe per aprire una difesa come quella svedese. Gli scandinavi non alterano certo lo spartito visto nello spareggio contro gli azzurri, epifania di un sistema calcio bisognoso di una riforma radicale ben al di là delle colpe di Ventura e di un gruppo di giocatori incapaci di diventare squadra. Gioca un calcio asciutto, essenziale, quel calcio modulare e replicabile che ti aspetteresti da chi ha fatto del modello Ikea un successo globale e un orgoglio nazionale.
L'insostenibile leggerezza di Kroos
La Germania che vive di rigore e solidità, in campo muore di leggerezza. La lezione dell'esordio non è passata. La supponenza fa perdere un pallone pericoloso a Kroos, ancora troppo lontano dagli ultimi venti metri e occasionalmente arretrato a terzino sinistro come fa a Madrid per coprire le sovrapposizioni di Marcelo. Le coperture preventive restano un concetto estraneo a questa insolita Mannschaft slegata e disunita in componenti non integrate, e la festa è tutta per Toivonen che ha aspettato un anno per segnare il più importante della sua stagione. La leggera deviazione di un disperato Rudiger, mentre Kroos invano tenta di rimediare all'errore, è l'ultimo pezzo che manca alla costruzione del 14mo gol in nazionale di Toivonen. Dalla marea gialla, che nulla ha che fare con la curva infuocata e appassionata del Borussia Dortmund, sale un solo coro: "Sverige! Sverige!", "Svezia! Svezia!".
Gundogan, entrato per Rudy che ha preso un colpo al naso, prova a salvare quel che c'è dell'orgoglio tedesco. Ne ottiene solo il rimpianto per la gran parata di Olsen che si ripete poi su Muller. Low è sempre più un uomo solo senza nemmeno più il comando. Lo salva solo un capolavoro di Neuer sulla torsione di testa di Berg. Se la Germania non all'intervallo sotto 2-0 è solo merito di quel portiere che voleva giocare con i piedi, di un bambino che sembrava troppo mingherlino per avere un futuro, di un campione che ha stravolto i canoni del ruolo e si è fatto amare più in nazionale che dalle parti di Gelsenkirchen, dove ancora non gli perdonano del tutto il passaggio al Bayern.
Reus salva la Mannschaft
La trincea svedese cade dopo meno di 3′ dall'inizio della ripresa. Gli scandinavi per tutto il primo tempo han lasciato che il possesso tedesco sfilasse verso le fasce. Low si gioca perciò il secondo cambio: dentro Gomez, che tiene i centrali in apprensione e li sfida sul piano dei centimetri. Sullo scatto di Werner, che in due anni ha messo le ali al Red Bull Lipsia, è il suo movimento che manda fuori posizione Granqvist e genera lo spazio in cui Reus si infila per aprire un nuovo orizzonte come un taglio su una tela di Fontana.
Segna il suo primo al Mondiale alla prima da titolare in Coppa del Mondo, Reus. La Germania, che si sblocca al 34mo tiro di Russia 2018, inizia a crederci. L'attacco asimmetrico della Mannschaft preme dal lato di Werner. Lustig si estenua, Granqvist continua ad affannarsi nel tentativo di non perdere di vista Gomez ma lascia scoperto più campo nel corridoio centrale perché Gundogan o Reus si inseriscano da dietro. Più uomini porti in attacco, più sacrifichi la stabilità difensiva, sottolineava con facile esegesi da profeta del giorno dopo Hummels. Lo sbilanciamento a sinistra fa addensare anche la Svezia da quella parte e libera l'intelligenza spaziale e la velocità di pensiero esecutivo di Kimmich che di campo a destra ne ha anche di più.
Rosso a Boateng e assalto finale
La Mansschaft cerca cross bassi per attaccare la difesa scandinava. Solo una bandierina che si alza per un fuorigioco probabilmente errato rende perdonabile l'errore di Gomez a non più di sette metri dalla porta. Alla Svezia mancano via via energie per ripartire, ma non la chiarezza di idee su come difendere. Andersson richiama Claesson, che fa molta fatica a tenere in fase di non possesso e lascia in affanno alle sue spalle Lustig, per Durmaz. Così si ritorna da Kimmich, in una confusione alimentata da orgoglio represso e impotente energia.
Fa un passo avanti e due indietro la Germania. Due come i gialli per Boateng, che entra da dietro e al minuto 83 trova solo la gamba di Berg. Il rosso Marciniak non lo vede ma presumibilmente lo sente, arriva un'indicazione dalla VAR Room e soddisfa le legittime proteste scandinave. Con un uomo in meno e i calcoli per la sopravvivenza ad affossare l'orizzonte, una delle parate stilisticamente meno memorabili di Neuer diventa ancora di salvezza, alimento per l'ultimo assalto. Non c'è trucco, non c'è inganno, la Germania è in dieci ma non si vede. Non lo vede Olsen che estrae un capolavoro a una mano sola sul colpo di testa da paradigma di Gomez. La Mannschaft non è sopra tutti come quattro anni fa. Non ancora. Ma la punizione di Kroos, l'uomo dell'ultimo passaggio e dell'ultimo tentativo, cambia la storia. Che poi è la stessa di sempre. La Germania non muore mai.