Destini Mondiali: Ronaldo, la paura di Parigi e il sorriso di Yokohama

Probabilmente non tutti lo sanno ma Ronaldo divenne campione del mondo a 17 anni. Ebbene sì, quello che successivamente sarebbe diventato il Fenomeno faceva parte della rosa che ha battuto l’Italia a Pasadena nel 1994 ma non è mai sceso in campo. Iniziò così la relazione tra Luis Nazario da Lima e la Coppa del Mondo, un rapporto bello ma complicato in alcune parti, che ha trovato il lieto fine a Yokohama dopo la buia notte di Parigi. Al Saint Denis erano tante le voci che si rincorrevano sulle dodici ore precedenti alla finale del numero 9 del momento, l’uomo simbolo di quella competizione: non vi erano certezze, conferme, e se nella prima distinta non compariva il suo nome ecco che quando le squadre scendono in campo Ronaldo c’è. I brasiliani si tenevano per mano al loro ingresso e il Fenomeno entrò in campo come un bimbo che non vuole fare ciò che dice il genitore: mano al compagno davanti e testa bassa. Sembrava avere gli occhi spenti e il passo meno armonico del solito quella notte.
Si è detto di tutto e di più su quella pre e post gara ma l’immagine più brutta, quella che ha fatto bloccare tutti davanti alle tv è sicuramente quella di Ronaldo che scende dall’aereo di ritorno dalla Francia: un ragazzo di 22 anni che stenta a scendere le scalette e si aiuta con il passamano per evitare brutte figure. A pensarci bene è esattamente l’antitesi di quella di Yokohama, quando Ronaldo è di fronte a Rivaldo e alza la coppa con una gioia che avrebbe potuto contagiare chiunque anche a distanza di km.

Nello sguardo di Ronnie quella sera c’era la convinzione di non poter sbagliare l’appuntamento con la storia: la vittima prescelta fu la Germania ma poteva esserci chiunque perché quello era il suo momento, nonostante i due errori piuttosto banali per uno come lui a tu per tu con Kahn nel primo tempo. A metà ripresa andò a sradicare il pallone dai piedi di Haman, lo appoggiò a Rivaldo che calcio forte verso la porta e il resto è storia nota: goffo intervento del portiere tedesco e Ronaldo che insacca comodamente da due passi.
La seconda rete chiude il cerchio ma è pura formalità: la giocata è di Rivaldo, in questo caso, ma lui dopo aver stoppato sa già dove vuole mettere la palla e la segue con la sguardo. Quando vede la rete gonfiarsi corre verso la sua panchina per ricevere quell’abbraccio che forse aspettava da quattro lunghissimi anni: si è ripreso quel trono che gli spettava ma gli era sfuggito per situazioni che, probabilmente, non verranno mai chiarite. L’ultima apparizione al Mondiale arrivò in Germania, nel 2006, quando è riuscito a diventare il miglior marcatore delle fasi finali del torneo: in tre edizioni dei Mondiali ha realizzato 15 reti (4 nel 1998, 8 nel 2002 e 3 nel 2006) ma il suo record è stato battuto da Miroslav Klose nel 2014 (quota 16). Descrivere ciò che è stato Ronaldo, dentro e fuori la Coppa del Mondo, è impresa ardua ma chi c’è riuscito in maniera quasi perfetta è Jorge Valdano, grandissimo calciatore e penna finissima:
La prima volta che vidi giocare Ronaldo, passai tutta la partita a criticarlo invano. Si stringeva nelle spalle per decollare e si lanciava nell'avventura solitaria di fronteggiare i difensori. Ogni volta che toccava il pallone lo allontanava parecchio, troppo, dai suoi piedi, e io, che come ogni spettatore giocavo la mia partita per interposta persona, puntualmente mi lamentavo: «Porca miseria, se l'è allungata troppo». Sembrava che finisse fuori, e invece la raggiungeva; sembrava che fosse in vantaggio il difensore, invece arrivava prima lui; sembrava che fosse del portiere, invece era gol. Il problema è che io misuravo la sua velocità in termini umani e Ronaldo è un portento fisico che fa saltare tutte le previsioni di tempo e distanza.
