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Destini Mondiali: Diego Armando Maradona, dal sogno all’inferno… andata e ritorno

Dall’intervento assassino su Batista fino a Pasadena passando per la gioia di Città del Messico: Diego ha trattato i Mondiali come le montagne russe, provando qualsiasi tipo di sensazione o emozione. Maradona nella stessa edizione della Coppa del Mondo ha realizzato il goal più discusso della storia e il più bello: in una parola, D10s.
A cura di Vito Lamorte
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Giocò, vinse, pisciò, fu sconfitto.
(Splendori e miserie del gioco del calcio, Eduardo Galeano)

Non è facile parlare di Diego Armando Maradona, non lo è mai. Il Pibe de Oro è stato uno dei più grandi interpreti del calcio, se non il più grande, ma ha trattato i Mondiali come le montagne russe infastidiscono lo stomaco dei passeggeri, provando qualsiasi tipo di sensazione o emozione. Quelle immagini di Pasadena, con l’infermiera che lo porta via dal terreno di gioco, sono qualcosa che a livello comunicativo faceva passare solo il marcio, il malvagio e toglieva di mezzo tutti gli sforzi che l’uomo aveva fatto per essere presente a USA ’94 come uomo immagine della sua Argentina. Siamo partiti dalla fine del percorso di Diego nella Coppa del Mondo che è stato caratterizzato dalla solita tempesta che ha attraversato un po’ tutta la vita del Pibe de Oro. A Italia ’90 provò a portarsi Napoli dalla sua parte nella semifinale contro gli azzurri, in parte ci riuscì, ma dovette arrendersi in finale proprio contro la Germania che aveva fatto piangere quattro anni prima a Città del Messico, dove il re incontrastato era lui.

In Messico Maradona fece tutto quello che un calciatore, mediamente bravo, non può mai neanche immaginare di fare, ovvero il goal più discusso della storia del calcio e il goal più bello della Coppa del Mondo (e non solo). Diego è così, tutto o niente. L’Argentina era sulle sue spalle e ne era cosciente, infatti segnò 5 reti e realizzò 5 assist nelle 7 partite giocate nel torneo. Quando si dice: uomo decisivo. Il “relato” di Victor Hugo Morales con il suo “genio, genio….tàtàtà” ha al suo interno una storia che questo ragazzo si è portato dietro dai campetti impolverati di Villa Fiorito e dalla celebre intervista in cui lui rivelava di voler “salir campeon”.

In quella Coppa del Mondo non c’era nulla che non potesse fare: dal bellissimo goal a Galli, unico pareggio di quel torneo dell’Albiceleste, all’assist per Burruchaga in finale contro la Germania Ovest. Non ce n’era per nessuno. Sempre un passo avanti agli avversari che non riuscivano a prenderlo mai. Era quasi impossibile rivedere quello che successe nel 1982 con Gentile all’Estadio de Sarriá. Era un altro Diego e la consapevolezza dei suoi mezzi era ben diversa. Il nostro passaggio a ritroso nella storia Mundial di Maradona culmina proprio in Spagna, nel derby per eccellenza del calcio dell’America Latina contro il Brasile. Con l’Albiceleste sotto per 3-0 contro la Seleçao, Maradona si sente impotente e a 5 minuti dalla fine compie un’entrataccia su Joao Batista chiamandosi il cartellino rosso di Rubio Vazquez.

Cominciò così la storia di Diego Armando Maradona al Mondiale ma, probabilmente, era solo il passo dal diventare quell’uomo che, parafrasando una sua dichiarazione, doveva sentire che gli altri avessero bisogno di lui. Sempre l’immenso Galeano di Diego scrisse: “Nel calcio frigido di fine secolo, che esige di vincere e proibisce di godere, quest’uomo è uno dei pochi a dimostrare che la fantasia può anche essere efficace”.

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