Dalle pulizie al calcio, chi è Claudio Lotito
Il vaso di Pandora. La telefonata al direttore generale dell’Ischia per cui la Digos ha perquisito gli uffici della Federcalcio e la Procura di Napoli ha indagato Claudio Lotito per tentata estorsione, racconta solo la punta di una ragnatela di potere che muove e condiziona tutto il calcio italiano. È la celebre telefonata del “se Carpi e Frosinone arrivano in serie A siamo rovinati”, forma detestabile che però mette in evidenza un problema reale: il calcio italiano economicamente regge solo nelle piccole realtà che poco costano e poco ricavano. Lotito chiama Iodice per un’azione di lobbying, perché sostiene la riconferma di Macalli alla presidenza della Lega Pro. “Ho un programma: in sei mesi incrementerò i ricavi, porterò uno sponsor al campionato e i soldi dello streaming. Ho parlato con quello che ha portato 1,2 miliardi alla Lega di A e 14 milioni in più di Rcs alla Figc”. “Quello che ha portato” i soldi è Infront, che ha un rapporto diretto e pubblico con la Lazio e con Lotito il quale, attraverso il sostegno del colosso ora cinese al Bari rappresentato da Paparesta, ha messo un piede anche nella Lega di B. Lotito, tessitore di trame interne da Prima Repubblica, arriva anche a lasciare che Bollini, tecnico della Primavera biancoceleste molto vicino alla “sua” Salernitana che ha riportato in serie B, andasse ad allenare i rivali del Lecce, società rimasta comunque, prima e dopo, all’opposizione di Macalli.
Le origini – È durata un quarto di secolo la scalata di Claudio Lotito alle stanze del potere pallonaro. Di lui si sa poco fino al novembre 1992, quando viene arrestato e portato a Regina Coeli per turbativa d’asta e violazione di segreti d’ufficio. Con lui finisce in cella il funzionario della Regione che gli avrebbe rivelato i coefficienti di massimo ribasso per vincere la gara d’appalto da 27 miliardi per le pulizie nel triennio 1992-95, che peraltro Lotito perde. “Bella presenza, trentacinque anni, telefonino, è fidanzato con una delle figlie del costruttore Gianni Mezzaroma”, Cristina, che poi sposerà: così si legge nella didascalia della foto pubblicata sul Messaggero. Figlio di un dirigente di polizia di origine umbre e di una signora di San Lorenzo di Amatrice, maturità classica e laurea in pedagogia in tasca, diventa imprenditore nel 1987, quando fonda la Snam Sud, un’impresa di pulizie. Poi entra nel mercato delle mense, con la Bona Dea, e già si vede la passione mai sopita per il latino, e la Roma Union Security: sulle divise dei vigilantes spicca un’aquila dorata. Eppure Lotito, che ha idee di destra e simpatie per la Lazio, completa gli affari migliori con la giunta di sinistra di Piero Badaloni (1995-2000) e con il “romanistissimo” Francesco Storace. Difeso, dopo l’arresto del 1992, da Franco Coppi, l’avvocato che ha fatto assolvere Berlusconi nel processo-Ruby, Lotito vince appalti importanti con la Provincia di Roma, la Regione Lazio, l’Azienda ospedaliera Spallanzani, il Policlinico Tor Vergata, il reparto Scico della Guardia di Finanza, l’Archivio di Stato, l’Acea, la Corte dei Conti. In quel periodo si avvicina, anche se solo per vicinanza familiare, al calcio. Perché nel 1993 Giulio Andreotti toglie la Roma a Giuseppe Ciarrapico, cui praticamente l’aveva data due anni prima, per affidarla a Franco Sensi e Pietro Mezzaroma, zio di Cristina. Per un breve periodo, in società lavorano anche Massimo Mezzaroma e il cugino Marco, cognato di Lotito e marito di Mara Carfagna.
La Lazio – Sono anni d’oro, quelli a cavallo del terzo millennio, per le sue aziende e per le squadre romane. Con Cragnotti, la Lazio vola, in campo e in Borsa, almeno fino al crac Cirio. Cragnotti si dimette, Capitalia converte il credito in azioni ma la squadra rischia di fallire come la Fiorentina di Cecchi Gori. Si scatenano i nomi sui possibili nuovi proprietari: il più gettonato è l’imprenditore farmaceutico Ernesto Bertarelli, che ha portato Luna Rossa all’America’s Cup di vela ed è tifosissimo della Lazio. Ma non compra. Geronzi porta nel capitale della squadra Stefano Ricucci e Paolo Ligresti, figlio di Salvatore. Alla fine, l’ultimo giorno utile, con le azioni del club scese a due euro, Lotito firma un assegno da 21 milioni ed entra nel club con il 27% delle quote attraverso la sua Ss Lazio Events. È la sua prima vittoria politica: sostenuto dall’allora governatore del Lazio, Storace, ha sconfitto Piero Tulli, che poi avrebbe creato senza troppo successo la Cisco Roma, sponsorizzato dal sindaco Veltroni. Lotito sa che superando il 30% scatterebbe l’obbligo di avviare l’offerta pubblica di acquisto e il prezzo salirebbe. Così, il 30 giugno 2005 lo zio Roberto Mezzaroma, nonostante la fede giallorossa, acquista un pacchetto del 14% delle azioni della Lazio. È lo stesso Lotito che gli fornisce i quasi 4 milioni necessari all’operazione e che poi le riacquista il 31 ottobre 2006 ritardando “il lancio dell’OPA totalitaria sul resto delle azioni al prezzo fissato dalla Consob”. Per questa operazione, nel marzo 2009 la seconda sezione del Tribunale di Milano condanna Lotito a due anni e Mezzaroma a venti mesi di reclusione per aggiotaggio e omessa alienazione di partecipazioni. Dopo la riduzione della pena in appello (18 mesi), la Cassazione, nel gennaio 2014, indica ormai prescritto il reato di aggiotaggio e affida alla corte di appello il compito di rideterminare la pena per l’altro reato.
Tremonti e il salvataggio – In quell’estate del 2004, scrive Gianfrancesco Turano nel capitolo a lui dedicato in Fuorigioco (edizioni Chiarelettere), i ricavi aggregato delle società di Lotito, che non presentano un bilancio consolidato di gruppo, “si aggirano intorno ai 90 milioni di euro all'anno. I dipendenti sarebbero ottomila nel 2004, una cifra approssimata per eccesso che tiene conto di tutti gli addetti stagionali tipici del settore. I clienti sono gli aeroporti di Roma (Fiumicino e Ciampino), le stazioni delle Fs, Cinecittà, l'Aci. Poi c'è tutta una lista di ospedali romani, dal Gemelli al San Giovanni al Sant'Andrea”. In più, deve trovare un modo per salvare la Lazio, che ha 140 milioni di debiti con il fisco. Come noto, il ministro dell’economia Giulio Tremonti e il sottosegretario Maria Teresa Armosino, approvano un piano di rientro “che prevede un primo versamento da 5,23 milioni di curo, una rata di partenza da 5,67 milioni e distribuisce l'esposizione rima-nente in altre 23 rate annuali da 5,65 milioni di curo. Inclusi 2,4 milioni di addizionale regionale e comunale, il totale dà 143,2 milioni di euro” ricorda sempre Turano.
Calciopoli – Nel maggio del 2005, Lotito trema perché il nuovo presidente regionale, Piero Marrazzo, annuncia una serie di tagli alle convenzioni sanitarie e agli appalti per il sistema ospedaliero. La pressione dei committenti, su tutti la famiglia Angelucci, porterà alle dimissioni dell’assessore alla sanità, Battaglia, e Lotito vincerà una gara quinquennale per le pulizie degli uffici regionali da 7,5 milioni all'anno. Nel frattempo, nel 2006, viene condannato a 3 anni e 6 mesi dalla Commissione d’Appello Federale per il coinvolgimento in Calciopoli, sentenza poi ridotta a quattro mesi di inibizione dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato del CONI. Il 17 dicembre 2013, risulterà poi prescritto nell’ambito del processo penale relativo a quello scandalo.
Potere in FIGC – Il resto è storia nota. È la storia di un presidente che si è presentato come moralizzatore, che in una memorabile intervista a Cesare Lanza parlava di “rivoluzione poetica del mondo del pallone”, che dovrebbe interpretare Manzoni e rivalutare il fanciullino di Giovanni Pascoli che è in ognuno di noi. L’uomo che vuole decidere tutto da solo, anche il colore delle tende e le piastrelle del bagno della casa a Cortina, che non a caso ha scelto dall’inizio allenatori con una personalità non troppo debordante: il primo fu Mimmo Caso, ed era già una dichiarazione di intenti, poi via via sono arrivati Papadopulo, Rossi, Ballardini, Reja, Petkovic, Pioli. Il factotum che, dice si è fatto da solo, “ma è stata la divina provvidenza a mettermi sulla strada giusta” ha detto in un’intervista a Repubblica dopo l’acquisto del club. Il personaggio più influente del calcio italiano, che nel 2011 ha bloccato praticamente da solo la Legge sugli stadi: vuole inserire la possibilità di realizzarli anche in deroga ai vincoli archeologici e idrogeologici. La moglie, il cognato e il suocero sono proprietari della tenuta rinascimentale, residenza estiva di papa Clemente X, che Lotito ha individuato come sede del nuovo impianto di proprietà del club. Un presidente-consigliere federale, deus ex machina dell’elezione di Tavecchio, che è ovunque, come recita anche uno degli hashtag più riusciti della stagione. A giudicare da Iodice e dall’ex dirigente Galigani, anche nella proprietà del Brescia. “Ma Brescia io non so nemmeno ’ndo sta” si difende sul Corriere della Sera. Accuse infondate o machiavellica dissimulazione?