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Calcio, serie A: i numeri della crisi e il confronto con l’Europa

La serie A è il campionato più vecchio d’Europa e dipende per il 59% dai diritti televisivi. Gli stadi sono vecchi e pieni solo per metà. Cosa possono insegnare la Premier League e la Bundesliga, le più ricche e le uniche a chiudere in attivo nel Big Five.
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Il calcio europeo ha una regina incontrastata, la Premier League. Ma solo la Bundesliga della favola Ingolstadt, che ha gli stadi più pieni d’Europa, riesce a combinare successo sportivo e profitto economico. E la serie A? E' indebitata per il 95%, che tradotto vuol dire: in Italia i soldi col calcio praticamente non si possono fare. Il nostro campionato paga ancora due antichi problemi mai risolti, l’eccessiva sperequazione nella distribuzione delle risorse e la dipendenza dai diritti tv, che rendono il campionato più scontato e svuotano gli stadi, come dimostrano i quasi 8 milioni di biglietti invenduti nonostante un costo medio di 21,6 euro, quasi la metà rispetto a Germania e Spagna. È questa la sintesi che si può trarre dalla Annual Review of Football Finance, il rapporto annuale dell’agenzia Deloitte sui cinque principali campionati europei. Partendo da questi dati, e seguendo i soldi, si può tracciare una mappa e capire dove sta andando il football nel Vecchio Continente.

Premier League – Il segreto, che poi tanto segreto non è, della Premier League è il meccanismo di ripartizione dei diritti tv: 50% diviso in parti uguali tra i venti club, il 25% in base alla posizione in classifica del solo ultimo campionato, il restante 25% in base ai passaggi televisivi delle squadre. Così, il divario tra la prima e l’ultima squadra si mantiene su un rapporto di 1,53:1, il più equo d’Europa. Nel 2013-14, solo dai diritti tv, le squadre della Premier League hanno incassato 171 milioni in più degli introiti totali dei club della Liga e 405 milioni in più delle 20 squadre di serie A. Il Chelsea ha ricavato la fetta più grossa dei 2,27 miliardi di euro; 140 milioni, quasi 20 in più del Liverpool, il club che aveva guadagnato di più l’anno precedente. Grazie all’ultimo accordo sui diritti tv, la Premier ha chiuso con ricavi per 3,9 miliardi di euro, e un utile, prima delle tasse, di 260 milioni, il primo negli ultimi 15 anni. Non a caso, la Premier presenta ben 11 società con proprietari stranieri, segno che il sistema complessivo attrae capitali e consente di rientrare degli investimenti e generare profitti. Una possibilità che nella serie A italiana è ancora lontana quasi per tutti.

Bundesliga – La Bundesliga ha generato ricavi per 2,45 miliardi di euro ed è l’unica tra le altre principali leghe europee a riportare un profitto operativo (250 milioni), con 13 squadre su 18 che presentano un bilancio in attivo alla fine della stagione 2013-14. I proventi da diritti tv restano i più bassi nel Big Five (716,8 milioni), ma la Bundesliga riesce a mantenere un rapporto tra costi e fatturato al 36,8%, nuovo record per il campionato, e tra stipendi e ricavi al 49%. Il valore aggiunto, in Germania, restano gli stadi, con 43.539 spettatori medi a partita, 129 sold out registrati e una percentuale di presenze complessive del 97,57% della capienza complessiva degli impianti. Ma c’è un aspetto che stupisce più di tutti: dietro al Bayern Monaco, le squadre con la maggior percentuale di tifosi nel 2013-14 risultano il Borussia Dortmund in crisi (99,75%) e il Friburgo retrocesso (99,38%).

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Liga – Non ingannino i quasi due miliardi di euro di fatturato della Liga (1,9), in crescita del 3%: l’aumento è merito quasi esclusivo di Real e Atletico Madrid, che grazie alla finale di Champions League hanno fatto salire del 4% anche i ricavi dei diritti tv. Gli stadi restano vuoti, 25.320 presenze medie e un calo degli introiti da botteghino del 3%. Aumentano anche le spese per gli ingaggi (1,16 miliardi, 60% del fatturato). Qualcosa potrebbe cambiare dal 2016, con il passaggio alla contrattazione collettiva dei diritti tv, che porterà il divario tra minimo e massimo guadagno dall’attuale 7,5:1 a un rapporto 4,5:1.

Ligue 1 – L’effetto superstar legato al Paris Saint-Germain non traina più di tanto la Ligue 1. Certo, il PSG determina 75 dei 201 milioni di ricavi in più rispetto al 2013, ma la lega francese chiude comunque la stagione in passivo. I diritti tv, seppure in calo del 4%, restano la fonte di guadagno principale. Il sistema di distribuzione rimane sostanzialmente equo, anche se i parigini da soli si portano a casa il 9,2% dei ricavi totali (85,9 milioni), e le prime tre squadre (Olympique Marsiglia, Lione e PSG) incamerano più di un quarto della torta. Crescono, anche se di poco, i ricavi da botteghino (143,6 milioni), con una media di 21 mila spettatori anche grazie ai lavori di ammodernamento degli stadi per Euro 2016. Anche qui il PSG domina con 39 milioni di ricavi (26% del totale), anche per effetto dei prezzi dei biglietti, tra i più alti di Francia. Al secondo posto l’OM, fermo a 14 miloni. Teledipendenza e scarso equilibrio competitivo, dunque, portano in rosso i bilanci del campionato francese. Una lezione che si dovrebbe imparare meglio anche in Italia.

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L'evoluzione dei ricavi nelle cinque principali leghe europee

La serie A – Marginale l’aumento dei ricavi in serie A (22 milioni, +1%). Le squadre italiane hanno generato entrate per 1,7 miliardi, con un lieve aumento nella media spettatori (23.011) e solo 508 milioni di ricavi commerciali, il dato peggiore nel Big Five. La serie A rimane il campionato che poggia di più sui diritti televisivi (59% del totale), con un divario tra minimo e massimo guadagno del 5,3:1, e per il sesto anno consecutivo la lega con il più alto rapporto tra salari e ricavi (70%), il principale indicatore di performance finanziaria dei club. La poca differenziazione delle fonti di ricavo, la dipendenza dai diritti tv, si legge chiaramente anche nelle performance dei quattro club inseriti nella top-20 della Football Money League, rapporto curato dalla stessa agenzia. Grazie alle prestazioni in Europa, e all’87% di riempimento medio dello stadio, la Juve nel 2014 cresce del 2,5% rispetto al 2013, e la finale di quest’anno farà impennare il dato positivo e crescere il divario con le altre. L’assenza dalla Champions, invece, fa scivolare indietro Milan, che aspetta Mr.Bee e il nuovo stadio, e Inter, seconda e terza in Italia, con ricavi rispettivamente a 249,7 e 164 milioni. Preoccupa, e non potrebbe essere altrimenti, che la seconda voce di guadagni sia rappresentata dalle plusvalenze, dal calciomercato, che insieme alle tv coprono i due terzi dei ricavi complessivi. Preoccupa che gli stadi sono vuoti praticamente per metà (venduti il 53,81% dei biglietti, con un’affluenza media di 22.591 spettatori). Anche perché gli impianti sono vecchi, 61 anni di media, e in un caso su quattro senza punti vendita per attività commerciali, ma più sicuri: nell’ultima stagione, il calcio italiano ha impiegato quasi 207 mila steward, il secondo dato più alto mai rilevato, ma ha registrato feriti solo in 59 incontri. Preoccupa soprattutto, come emerge dal Rapporto Calcio della FIGC, che il patrimonio netto delle società sia sceso del 22% (198 milioni) e che il livello di indebitamento, ovvero la misura in cui si ricorre a capitali terzi per sostenere il bilancio, raggiunga il 94,5%, anche se il risultato negativo medio di una società è sceso sotto i 10 milioni per la prima volta in quattro anni (9,3 milioni). E, anche in chiave fair play finanziario, non può certo tranquillizzare che in serie A si siano registrate ricapitalizzazioni per 82,2 milioni di euro, il 37% del totale. Preoccupa, per il presente e per il futuro, che la serie A sia il campionato più vecchio d’Europa (27,3 anni di media) e con meno giocatori provenienti dalle giovanili, solo l’8,4%. Se non si interviene sui meccanismi di ripartizione dei ricavi e sulla profittabilità complessiva del sistema, non resta che rassegnarsi a molte estati scandite da fallimenti, ripescaggi e scandali, anche in serie A. Time is running out.

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