2001, la favola europea dell’Alaves
Ci sono tredicimila tifosi spagnoli sugli spalti del Westphalenstadion di Dortmund. È il 16 maggio 2001, hanno montato anche un tendone per accoglierli tutti. È la sera della finale di Coppa Uefa. La favola Alaves, alla prima e finora unica partecipazione in Europa, è a 90 minuti da un sogno senza precedenti. Ultimo ostacolo il Liverpool di Gerard Houllier, alla prima finale dalla notte dell'Heysel, e il peso della storia. Per una sera, l'Europa tifa per Davide contro Golia. Per una sera, contro la squadra di una città più piccola di un quartiere di Roma, i Reds camminano un po' più soli del solito.
La miglior stagione – Tornato in Primera Division per la prima volta dopo 42 anni, l'Alaves è la squadra di Vitoria, capitale amministrativa della regione basca, e prende il nome dagli abitanti della provincia di Alava. Al primo anno in Liga, subiscono 63 gol, la seconda peggior difesa della lega, e evitano i playout solo per un punto. Il tecnico, però, il baffuto Manè, arrivato nel 1997 con un pedigree di due campionati vinti in terza divisione e altrettanti in seconda, ha fiuto per mercati poco battuti. In porta arriva Martin Herrera, dal Ferrocarril, serie B argentina, che a fine stagione sarà il portiere meno battuto della Liga. In difesa arrivano il norvegese Dan Eggen, che nel 1995 al Brondby segnò il gol che eliminò il Liverpool dalla Coppa Uefa, e Oscar Tellez. A centrocampo Ivan Tomic, scartato dalla Roma, e il rumeno Cosmin Contra sulla destra. A parametro zero si aggiungono Jordi Cruyff, figlio d'arte passato senza lasciare traccia al Manchester United, il terzino Delfi Geli e l'attaccante uruguagio Ivan Alonso, che va a far coppia con Javi Moreno. Ventisei anni, Moreno ha mancato la prima grande chance della carriera, qualche anno prima al Barcellona. È esploso a 24 anni, quando con 18 gol in 30 partite ha spinto il Numancia alla promozione in Liga. Alla seconda stagione all'Alaves, di reti ne segna 22, solo Raul e Rivaldo fanno meglio. I baschi chiudono sesti, il loro miglior risultato di sempre. E vuol dire Europa, vuol dire Coppa Uefa. Lo spettacolo deve ancora cominciare.
Camping di allenamento – Si allenano al campo sportivo Ibaya, che Lapo Novellini sul'Unità definisce “un camping , stile costa adriatica ma senza il mare. Un campo da calcio in terra-sabbia”. Qui nasce un fenomeno che in Europa per un anno fa miracoli. E' una squadra con “mentalità tedesca, nelle metodologie di lavoro, e tecnica ed estro latini” dice Tomic. Una squadra che gioca tutta la Coppa Uefa con una maglia alternativa alla divisa classica bianca e blu, una maglia rosa per sponsorizzare i vini della Rioja Alavesa.
Ko anche l'Inter – L'inizio in Europa non è proprio memorabile: 0-0 in casa contro i turchi del Gaziantepspor. Ma il 4-3 al ritorno è un segno premonitore: i baschi segnano tanto, e costruiscono il percorso verso la gloria fuori casa. La scena si ripete contro il Lillestrom: 3-1 in Norvegia, decisivo un ragazzo della squadra B, Epitié, e 2-2 a Vitoria. E ancora contro il Rosenborg. Al Glorioso, Javi Moreno salva l'1-1. Al Lerkendal un autorete e i centri di Moreno e Jurica Vucko, panchinaro in campionato ma autore di 4 gol in Uefa, portano i baschi ai quarti di finale. Al Mendizorroza arriva l'Inter, che ritrova Recoba dopo il caos passaporti. Il Chino stampa la doppietta dopo il vantaggio di Javi Moreno, poi Vieri torna a segnare in Europa per la prima volta dall'ultima finale nella storia della Coppa delle Coppe di un anno e mezzo prima. L'uno-due di Tellez e Alonso in 120 secondi vale il 3-3. E a San Siro va anche peggio. L'Inter vive una delle serate peggiori della sua storia e firma la sua condanna in dieci minuti. Quelli che vanno dal rimbalzo che tradisce Recoba al 74′ al gol del 2-0 di Tomic all'84'. In mezzo la rete annullata a Moreno e il tiro di Cruyff baciato dalla fortuna e dalla deviazione di Cirillo. Poi è solo rabbia. In campo vola di tutto, dagli accendini, alle monete, ai seggiolini divelti. L'arbitro prima sospende per cinque minuti e poi ha precipitosamente fischiato la fine.
Classe operaia in semifinale – La prima squadra spagnola a battere l'Inter a Milano dopo 42 anni si prepara così alla più improbabile dei quarti di finale. In campo c'è la classe operaia che sogna il Paradiso: Alaves contro Rayo Vallecano, la terza squadra di Madrid, che ha iniziato il percorso in Uefa con un 16-0 complessivo Constel.lació di Andorra, la vittoria più larga di sempre per una squadra iberica in Europa, e agli ottavi ha steso il Bordeaux, allora una delle grandi di Francia: 4-1 al Teresa Rivero, 2-1 allo Chaban Delmas. Stavolta cambia l'ordine dei fattori, non la sostanza. 3-1 in casa e 1-2 a Madrid, prima quanto ininfluente sconfitta esterna della stagione in Europa. La semifinale non ha storia. A Vitoria è ko tecnico al Kaiserslautern: 5-1 in una partita con quattro rigori. Al ritorno non c'è miracolo nella città di Fritz Walter, l'eroe del miracolo di Berna, anzi. È 4-1 per gli spagnoli. La favola continua.
Con la maglia del Boca – L'Alaves è una macchina da gol, ne ha segnati 31 (media 2.58 a partita), di cui 17 fuori casa (media 2.83). Di fronte c'è una delle squadre più impermeabili di quell'edizione, il Liverpool, solo 5 reti subite in 12 partite. Per la finale, i baschi cambiano maglia. Niente più rosa, ma una casacca azzurra con fascia orizzontale dorata, che ricorda molto da vicino quella del Boca Juniors. Una scelta che piace al portiere Herrera, che ha iniziato nelle giovanili xeneizes, ma non certo a Hermes Desio, il 31enne faro del centrocampo con un passato all'Independiente. È a lui che Manè affida le chiavi della squadra insieme al capitano Antonio Karmona, che da bambino faceva il tifo per il grande Liverpool degli anni Settanta.
La finale – La finale, per la prima squadra basca a giocarsi un trofeo continentale dopo l'Atletico Bilbao fermato dalla Juventus 24 anni prima, sembra già chiusa all'intervallo. Primo tiro, ed è già gol. Punizione di McAllister, Babbel di testa arriva prima di Astudillo ed è 1-0 Liverpool dopo 182 secondi. Minuto 16: Owen lancia Gerrard, destro chirurgico e 2-0. Mané pesca il jolly dalla panchina: fuori Eggen, un difensore, dentro una punta, Ivan Alonso, che in 4′ salta sopra Babbel e accorcia. I Reds, che non avevano mai preso gol nelle prime 9 partite di Coppa Uefa, soffre. Westerveld un po' sfarfalla in uscita, Moreno gli tira addosso al 36′ e il pericolo sveglia il Liverpool. Al 41′ Herrera stende Owen, gli 11 metri non spaventano McAllister, che su rigore ha deciso la semifinale contro il Barcellona: al riposo è 3-1. “Ci sono momenti, e partite, nella carriera di un calciatore, in cui ci si sente invincibili” racconta lo scozzese. “Ogni pallone toccato si trasforma in oro, credo sia fondamentalmente una questione di fiducia. Quella per me fu una di quelle serate magiche e volevo godermela secondo dopo secondo. C'era elettricità nell'aria, ero convinto che avremmo vinto 3-0 o 4-0, ma avevo fatto male i miei conti”.
Golden own goal – Come contro l'Inter, infatti, l'Alaves torna in partita in tre minuti. Doppietta di Javi Moreno, prima di testa poi su una velenosa punizione rasoterra che passa sotto i piedi di Emile Heskey. Manè lo richiama in panchina, e stavolta è Houllier che estrae le carte vincenti, Smicer e Fowler, che sfrutta gli spazi aperti per il 4-3. Ma non è ancora finita. I reds non fanno i conti con l'orgoglio di Jordi Cruyff, che porta il peso di un cognome ingombrante e vuole alzare una coppa 28 anni dopo il padre. Si va ai supplementari. L'Alaves chiude in nove, espulsi prima l'attaccante brasiliano Magno poi capitan Karmona a quattro dalla fine per un fallo su Smicer. Punizione Liverpool. In barriera va anche Delfi Geli, che ha iniziato da attaccante, non ha realizzato il sogno di giocare nel Barcellona, la squadra del padre, è passato terzino all'Albacete ed è diventato il primo giocatore convocato in nazionale nella storia del club. È lui a deviare il pallone e chiudere l'unica finale nella storia delle coppe europee risolta al golden gol, un golden own goal. Un sogno così non tornerà mai più.