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Calciopoli dieci anni dopo: cosa resta dello scandalo?

Lo scandalo iniziò dieci anni fa con l’immagine della “cupola”. La prescrizione di Moggi in Cassazione ha definito il quadro di un’inchiesta abbattutasi come un ciclone sulla Juventus ma lasciando molti lati oscuri su un pezzo di storia del calcio italiano.
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Cosa è rimasto di Calciopoli dieci anni dopo? È rimasto il più grande scandalo del nostro sport, esploso il 2 maggio di 10 anni fa con la pubblicazione delle prime intercettazioni, legate tutte alla stagione 2004-05, con dirigenti che che si sceglievano gli arbitri e andavano a cena con i designatori. Resta l'immagine infangata di un calcio governato a lungo, scrive la Cassazione, da "un'associazione a delinquere finalizzata a condizionare i risultati delle partite, le designazioni arbitrali, le carriere dei direttori di gara, e l’elezione dei vertici della Lega calcio".

Restano le ombre di un'inchiesta naufragata perché l'apparato della giustizia si muove più lento della decorrenza dei termini. Resta una “cupola” che per la giustizia ordinaria si traduce in un solo condannato, l'arbitro De Santis e solo cinque dei 36 imputati iniziali prescritti e non assolti (Moggi, Giraudo, Mazzini, Pairetto e Racalbuto). Dietro la retrocessione della Juventus, esposta come il mostro in prima pagina in un processo sportivo con troppe ombre e la prova regina che sparisce, si mantiene la percezione che il processo ha appena scalfito, di illiceità diffusa, un "così fan tutti" che mortifica e non assolve. Resta, al di là delle sentenze, il fango del dio pallone che ad ogni fuorigioco dubbio, ad ogni rigore non dato, nutre il disamore di alcuni, le rivendicazioni di altri.

Luciano Moggi, ex dirigente della Juventus coinvolto nello scandalo Calciopoli
Luciano Moggi, ex dirigente della Juventus coinvolto nello scandalo Calciopoli

La prescrizione – Dopo nove anni, la Cassazione ha chiuso il processo con un verdetto che archivia senza soddisfare: il reato associativo è confermato, ma cancellato dal trascorrere del tempo. Ma allora la “cupola” è esistita o no? La suprema corte ne ha ulteriormente ridotto perimetro e dimensioni: bastano Moggi e Giraudo, il designatore Pairetto, Mazzini, e gli arbitri De Santis e Racalbuto a costituirla? “La reiterazione delle telefonate; i rapporti di consolidata conoscenza fra gli interlocutori; l'affidamento insorto in questi ultimi sulle informazioni attese o ricevute; la reciprocità delle informazioni richieste; la assoluta inverosimiglianza o contraddittorietà delle giustificazioni fornite dai soggetti esaminati nel corso delle indagini; rappresentano tutti elementi gravi, precisi e concordanti, in ordine alla illiceità di molte delle condotte in esame e che consentono di escludere una qualsivoglia verosimile ricostruzione alternativa dei fatti oggetto di indagine” scriveva il procuratore federale Stefano Palazzi nelle 72 pagine di motivazione del provvedimento su "Calciopoli bis" nel 2011.

La Juventus – Non di “cupola” o di “sistema” bisogna parlare, per la CAF guidata da Cesare Ruperto, ma di “una rete consolidata di rapporti, di natura non regolamentare, diretti ad alterare i principi di terzietà, imparzialità e indipendenza del settore arbitrale… attraverso varie condotte, che intervenivano in momenti e livelli differenti”. Rapporti stretti, soprattutto quelli con il designatore degli arbitri, Paolo Bergamo, che hanno creato “un’atmosfera inquinata, una insana temperie avvolgente il campionato di serie A”. Questo tipo di atti, si legge nella sentenza della CAF, costituiscono “di per sé” comportamenti contrari a principi di lealtà indicati nell'articolo 1 del Codice di Giustizia Sportiva. Ma l'articolo 1 non prevede la retrocessione, sanzione cui invece si può ricorrere nei casi di illecito sportivo ai sensi dell'articolo 6 dello stesso codice. E l'illecito è un reato di pericolo, non di danno, e prescinde dalla finalità (che ci si accordi per lucrare sulle scommesse o perché un certo risultato è vantaggioso per tutti fa lo stesso): perché si possa essere sanzionati, basta il tentativo.

Vantaggio in classifica – L'articolo 6 prevede tre ipotesi di illecito, che si verificano rispettivamente: nel compimento di atti diretti ad alterare lo svolgimento di una gara; nel compimento di atti diretti ad alterare il risultato di una gara; nel compimento di atti diretti ad assicurare un vantaggio in classifica. La Procura federale non individua casi di alterazione di singole partite della Juventus, ma ritiene comunque che l'insieme dei comportamenti messi in atto dalla dirigenza abbiano procurato un vantaggio in classifica attraverso il “condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza tipici della funzione arbitrale”.

La prova sparita – C'è anche una prova che dimostrerebbe l'accordo fra Moggi e i designatori per ottenere arbitri favorevoli alla Juventus. È il video girato a Coverciano dal maresciallo Ziino il 13 maggio 2005 e mostrato, in parte, da La7 il 15 dicembre 2009: Pairetto estrae la pallina con la partita, poi un giornalista nominato dall’Ussi estrae il bussolotto col nome dell’arbitro e lo passa a Bergamo. Il video, però, secondo gli accusatori del pm Narducci, viene ritirato dal fascicolo dibattimentale nel luglio 2009 senza che le difese ne sappiano nulla, e sostituito da foto con un ordine cronologico dei fatti invertito, da cui sembrerebbe che sia prima il giornalista a estrarre l'arbitro e poi Bergamo a sorteggiare la partita.

Mal comune, niente gaudio – E' sacrosanto, scrive Stefano Agresti, “che Moggi e Giraudo siano stati cancellati – almeno ufficialmente – dal calcio. Però non è sacrosanto, ad esempio, che il Milan (coinvolto pure lui nello scandalo) sia stato tenuto dentro i preliminari di Champions, a causa di una penalizzazione pesata a puntino”, un caso che ha convinto l'UEFA ha cambiare il regolamento dal 2007 e a impedire la partecipazione alle coppe europee a squadre condannate per illecito. Le sanzioni alleggerite per Lazio e Fiorentina, considerate “vittime” del cosiddetto sistema Moggi, lasciano intravedere più che altro una inter-relazione di sistemi, di contatti e di rapporti in cui ogni squadra cerca di ricavare vantaggio nelle zone grigie del regolamento.

È la dazione ambientale applicata al pallone. E c'è chi si affanna a presentare statistiche secondo cui la Juventus avrebbe ottenuto medie punti inferiori rispetto alle altre squadre coinvolte nello scandalo nelle partite dirette dagli arbitri indagati. Ma il mal comune non è mezzo gaudio. La rete c'era, la Juve è stata colpita in quanto quei comportamenti provati violavano le regole. Discutibile, questo sì, è solo la sanzione: la Juve appare più colpevole degli altri, anche se a dieci anni di distanza si può dire che forse non lo era. Ma la compresenza di soggetti che mettevano in atto comportamenti simili non rende la certo, nemmeno a posteriori, la dirigenza bianconera meno colpevole dal punto di vista sportivo.

Il caso Inter – Quella di Calciopoli, diceva Enzo Biagi al Tirreno, “è una sentenza pazzesca, e non perché il calcio sia un ambiente pulito. Una sentenza pazzesca perchè costruita sul nulla, su intercettazioni difficilmente interpretabili e non proponibili in un procedimento degno di tal nome, una sentenza pazzesca perché punisce chi era colpevole solo di vivere in un certo ambiente. E mi chiedo: cui prodest? A chi giova il tutto? Perchè tutto è uscito fuori in un determinato momento? Vuoi vedere che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche hanno individuato in Luciano Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino?”.

Non è solo questione di partigianeria. Perché, anche se in ritardo, sono emersi poi i comportamenti border line anche della dirigenza dell'Inter. “La Juventus”, spiegherà il capo dei pm di Calciopoli, Giandomenico Lepore, a TeleLombardia, “fu la prima della quale accertammo delle responsabilità, ma gli imbrogli non erano solo della Juventus. E c'era anche un importante giro di soldi”. Tra problemi ai server delle intercettazione, elementi a disposizione ma considerati di poca consistenza legale e sparite dall'indagine, i buchi ci sono e si vedono. “Noi facevamo i baffetti: dopo ogni telefonata usavamo il verde se le conversazioni erano ininfluenti, l’arancione se c'era qualche cosettina. Col rosso parlavano di calcio (nel senso, cose che potevano interessare all’inchiesta, ndr)” racconta un investigatore di Calciopoli, che vuole rimanere anonimo, al Corriere dello Sport.

“Poi facevamo un rapido riassunto, un brogliaccio. Ogni telefonata aveva il suo brogliaccio, nome cognome e di cosa parlavano, se era interessante. C'era una cartellina con il nome. Poi c'erano Auricchio (il tenente colonnello del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, ndr) e Di Laroni (maresciallo capo dei Carabinieri) che decidevano cosa mettere o non mettere nell'informativa”.

Cultura sportiva – Le intercettazioni, però, finiranno sul Libro Nero del calcio, pubblicato dall'Espresso. Con quella fuga di notizie, conclude Lepore, “ la nostra inchiesta fu bruciata. La fuga di notizie avviene da persone estranee che hanno, però, interesse a bloccare le indagini. E se non potemmo portare avanti altri aspetti di quell’inchiesta è perché dopo quella pubblicazione i telefoni cominciarono a tacere”. E i dubbi continuarono a crescere, intorno a un'indagine con troppe ombre che ancora a dieci anni di distanza inquieta e polarizza, come ogni discorso sospeso in un Paese che gioca le partite di calcio come una guerra. Un Paese in cui, per dirla con Arrigo Sacchi, “c'è stato un ambiente con connivenze e collusioni, una cultura sportiva che non ci ha permesso di saper perdere”.

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