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Siamo uomini o capitani da gagliardetto? La lezione dell’Inter ridimensiona Icardi e Wanda

Maurito e Wanda credevano di poter dettare le condizioni a loro piacimento attraverso il gioco delle parti, il club – Marotta – ha fatto capire loro che la ragion di Stato viene prima di tutto. E che loro sono nulla di fronte ad essa. Le parole di Fabio Capello a Sky Sport sono emblematiche della situazione difficile in cui si trova Icardi: “Non devi solo andare a centrocampo con il gagliardetto in mano e dare la mano all’arbitro, se poi il capitano vero ce l’hai a casa…”.
A cura di Maurizio De Santis
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La domanda è: adesso cosa succede? Come si può ricomporre lo strappo dopo il rifiuto di Icardi di rispondere alla convocazione per la sfida di Coppa? Come si esce da questa situazione di impasse ora che la rottura s'è consumata nella fase cruciale della stagione? Fare appello al buon senso o all'amore per la maglia non c'entra. Sono favolette alle quali nessuno crede più da tempo. In un mondo nel quale il business ormai la fa da padrone, non c'è da scandalizzarsi se un calciatore – nella fattispecie l'argentino – crede di dover guadagnare di più e il suo agente – poco importa sia sua moglie oppure abbia le fattezze di Mino Raiola – spinge perché la società di riferimento sganci un (bel) po' di soldi in più. Ma a tutto c'è un limite, ovvero ciò che Maurito e Wanda mai hanno avuto.

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Il bacio sullo stemma come gli applausi sotto la Curva sono folklore più che sincero atto di affetto: l'epoca dei Maldini, Baresi, Zanetti, Maradona, Scirea, Totti non esiste più da un pezzo e con essa sono finiti anche gli uomini tutti d'un pezzo. Perfino uno scapigliato come l'ex Pibe de Oro – tanto geniale in campo quanto sregolato nella vita – riusciva a farsi amare nonostante tutto. Lui era Diego e per sua stessa ammissione non poteva essere un uomo normale. Però, ci ha messo la faccia e ha pagato per sé stesso fino a rischiare la vita.

Maurito no, non dice una parola quando il dibattito s'infiamma e lascia che la sua consorte agente si misuri nell'agone mediatico tra un tacco 12 e una scollatura generosa, uno sbuffo di rimmel e un velo di rossetto. Nel lungo periodo delle esternazioni di Wanda Nara – compresa l'ultima e ben più grave che allude all'incapacità della squadra di servire palloni buoni all'attaccante – Icardi non è mai intervenuto pubblicamente a moderare il tono di certe dichiarazioni. Da capitano avrebbe dovuto farlo, se non altro per la responsabilità che attiene al suo ruolo e al riverbero sull'immagine della società.

Comprendiamo che la pace familiare viene prima di ogni cosa, ed è impossibile dire di tacere a tua moglie soprattutto se è lei a reggere i cordoni della borsa e a mediare per strappare migliori condizioni economiche. Ma credere che l'Inter potesse accettare oltremisura i capricci di consorte e ma(u)rito è veramente da sciocchi. Il segnale lanciato dalla società, adesso che c'è Marotta a tirarne le fila, è stato molto chiaro: ci sono tempi, modi e termini per discutere ogni cosa nelle sedi opportune e non sono ammessi ricatti del tipo "all'Inter, se vuole, Mauro può cacciare o portare persone alzando solo un dito" (una delle frasi che hanno scandito il progressivo logoramento dei rapporti tra club, giocatore e agente). Ci sono delle regole, valgono per tutti. A cominciare dal capitano che dovrebbe dare il buon esempio.

Non devi solo andare a centrocampo con il gagliardetto in mano e dare la mano all'arbitro, se poi il capitano vero ce l'hai a casa…

Fabio Capello non usa giri di parole a Sky Sport per descrivere la situazione a imbuto nella quale s'è andato a ficcare Icardi. Ha perso la fascia di capitano, s'è rifiutato di rispondere alla convocazione per la gara di Europa League con il Rapid Vienna, ad Appiano s'è fatto terra bruciata intorno e per buona parte dei tifosi è un mercenario attaccato solo ai soldi. Non c'è bisogno certo di potenti facoltà divinatorie per capire che da qui fino al termine della stagione può vivere da separato in casa oppure mettere la testa a posto dimostrando sul campo la sua forza (non nel salotto di Tiki Taka) o, ancora, salvare la propria dignità di atleta e di uomo. Ma per lui e sua moglie, a Milano, comunque vada è finita.

Chi prenderebbe mai un calciatore bizzoso che sul braccio porta la fascia di capitano ma permette alla sua dolce metà di fare il bello e cattivo tempo sui social e in tv? Chi pagherebbe tanti soldi per finanziare un investimento del genere col rischio di alimentare frizioni all'interno del gruppo? Maurito e Wanda hanno raggiunto il punto di non ritorno: credevano di porte dettare le condizioni a loro piacimento, il club – Marotta – ha fatto capire loro che la ragion di Stato viene prima di tutto. E che loro sono nulla di fronte ad essa.

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