Serie A, il tifo ai tempi dell’austerity: così rinasce il Bar Sport
Scandali e crisi economica riducono la passione dei tifosi italiani, che vanno meno allo stadio e si abbonano meno alle pay-tv. È questo il profilo che emerge dalla ricerca demoscopica che la Lega ha affidato a Doxa, Repucom e Datamedia per definire i bacini d’utenza in base ai quali si distribuisce il 25% dei proventi dei diritti tv della serie A.
La mappa del tifo – La Juventus, che quest'anno ha vissuto il peggior inizio di campionato della sua storia recente, resta la squadra più tifata d’Italia, con il 26,9% di sostenitori. Al secondo posto l’Inter (16,3) che sorpassa il Milan (16,2), seguite da Napoli (9,4%) e Roma (6,9). Le “cinque sorelle”, dunque, coprono i tre quarti del tifo in Italia. Alle altre, restano le briciole. Il tifo resta praticamente l’unica forma di appartenenza rimasta, come dimostra un’altra ricerca demoscopica, realizzata da Demos-Coop per Repubblica. Dal punto di vista geografico, la Juve si conferma la squadra con il tifo meno localizzato: è la più amata nel Nord-Ovest, al Centro e al Sud. L'Inter è più radicata nel Centro-Nord, le altre hanno una fan-base territorialmente più ristretta. Lo studio conferma da una parte che oggi meno italiani si dichiarano tifosi rispetto a cinque anni fa (4 su 10, nel 2010 erano il 52%). Ma cresce di quattro punti percentuali nello stesso periodo la fascia di chi si dichiara “militante” (47%), nonostante più della metà dei tifosi consideri il campionato più condizionato dalle scommesse. E la militanza è in stretta relazioni con le posizioni politiche delle curve.
% di tifosi per squadra, Serie A 2014-15 – Fonte: Doxa, Repucom, Datamedia per Lega Calcio
La domanda di calcio – Il rapporto “Calcio in Italia”, realizzato sempre da Repucom, evidenzia che nel 2015 il calcio coinvolge 26,3 milioni di italiani, circa il 75% della popolazione compresa tra i 16 e i 59 anni. I due terzi, il 67%, seguono la serie A: ma come cambia il comportamento da squadra a squadra, da città a città? L’analisi completata per la Lega Calcio evidenzia come solo il 30% degli appassionati facciano seguire all’interesse l’acquisto di un biglietto o di un abbonamento. Nella stagione 2014-15, è infatti il Cesena la squadra con la maggiore incidenza di tifosi che almeno una volta si sono recati allo stadio: il 39,1%. Fra le grandi i più affezionati sono i sostenitori del Napoli, 35,1%, che spicca rispetto al 20,4% degli interisti o al 21% degli juventini almeno una volta a San Siro o allo Stadium l’anno scorso. Diverse ricerche, comunque, come gli studi di Marco Di Domizio per la Rivista di Diritto ed Economia dello Sport, che guardano alla domanda di calcio in Italia in una prospettiva di ampio respiro, le congiunture economiche hanno un peso specifico rilevante nell’evoluzione della presenza negli stadi. Ma il calo di interesse, di partecipazione, ha origini lontane. Il picco più alto risale al 1984, con 38 mila spettatori medi, e da allora la tendenza ha iniziato a scendere in maniera graduale e costante. Ma il calo strutturale sarebbe da ricercare più indietro, nel 1980, l’anno del Totonero. E sarebbe questa una delle principali variabili che più determinano l’evoluzione del comportamento dei tifosi, la credibilità del calcio, mascherata in quei primi anni dopo lo scandalo della Finanza dentro gli stadi, dall’onda lunga del Mundial di Spagna e magari dall’avvento della Roma di Liedholm come rivale della Juventus per il titolo. Non a caso, il dato più basso coincide con il 2006, la stagione di Calciopoli.
Come si tifa – La crisi che perdura colpisce anche le pay-tv, anche se il 90% degli appassionati, sottolinea il rapporto Calcio in Italia, preferisca seguire le partite a casa: in media, evidenzia Repucom, la serie A raccoglie 141 ore di copertura domestica di media per giornata, tra dirette, repliche e programmi di approfondimento, e 1977 di coverage estera (590 le ore di copertura per Juventus-Milan del 7 febbraio, la più vista della scorsa stagione), con 7,6 milioni di spettatori complessivi. Ma, si legge nella ricerca per la Lega Calcio, solo il 41,8% ha dichiarato di pagare per vedere le partite contro il 44,5% del 2014, mentre quasi uno su due le guarda a casa di amici o parenti. E questo complica non poco lo scenario per Sky e Mediaset, che sono anche finite sotto indagine della Procura di Milano. L’inchiesta del procuratore Edmondo Bruti Liberati ruota intorno al bando 2015-2018, con cui Mediaset e Sky si sono divise la copertura della Serie A per 945 milioni a stagione. L’ipotesi sarebbe quella di un cartello tra i grandi club che dovrebbero garantirsi la fetta più grande della torta.
Calcio e media – La fotografia di Doxa e Repucom evidenzia anche come leggermente stia cambiando il rapporto degli appassionati con i media. Aumenta l’audience delle trasmissioni tv (92,8% contro 1'89,7% del 2012), si riduce, ma non è solo una questione solo legata al calcio, la fetta di pubblico che si informa attraverso la stampa (dal 62,1% del 2012 al 54,9% del 2015). La radio resiste, attira il 36,5% dei tifosi, il web raccoglie poco più del 40% degli appassionati. Ma quello che più deve far riflettere è la crescita costante dei tifosi “tiepidi”, quelli che seguono il calcio solo occasionalmente (+70%) e dei “calcolatori” (+13%), quelli che partecipano solo se conviene. Insomma, il pubblico attivo che consuma, seppur nel contesto di una debolezza endemica del nostro calcio nel settore del merchandising e delle iniziative commerciali in genere, il pubblico che fa alzare i fatturati, va riconquistato.
Le ricette – Come farlo? Alcune possibili ricette arrivano da Riccardo Silva, l’ex socio del presidente di Infront Italia Marco Bogarelli. Ora Silva, che proprio con Bogarelli ha creato Milan Channel, gestisce la commercializzazione dei diritti tv della Serie A all’estero. “Gli stadi sono un problema” ha dichiarato in una recente intervista all’Avvenire, “la vera svolta ci sarà quando riusciremo a coinvolgere investitori stranieri”. Due le misure che suggerisce: meno partite e distribuite meglio. “Durante le feste natalizie, l’audience televisiva è la più alta di tutto l’anno, perché le persone sono a casa dal lavoro e hanno più tempo per guardare la tv. Bene, in tutto il mondo, in quei 15 giorni, si vede soltanto il calcio della Premier League. Perché non viene fatto anche in Italia?”.
Ci sta provando la Serie B, e l’anno scorso l’esperimento è risultato piuttosto incoraggiante. Quest’anno sarà ripetuto, anche se con un turno solo, il 27 dicembre. Anche Silva si dichiara a favore di uno dei pilastri della riforma che il presidente della FIGC Tavecchio ha annunciato al momento della sua elezione, portare la Serie A a 18 squadre. “La Bundesliga l’ha già fatto, dovrebbero farlo anche la Premier League e la Serie A: servirebbe non poco per migliorare la qualità del calcio nei tornei di vertice”. Per approvare la riforma, però, “serve il 75% del Consiglio federale” ha spiegato in questi giorni Tavecchio a “La Politica nel Pallone” su Gr Parlamento. “Ma il vero problema e’ economico, i soldi che vanno distribuiti e le mutualità che vanno riparametrate per ridurre gli organici. Una lega che perde 2-3 società deve avere dei ritorni attraverso i cosiddetti ‘paracadute’. Quando ci sono milioni in ballo, la casa madre, la serie A, deve dire quanto è disponibile a mettere sul tappeto per ristrutturare la questione”.