Roma e Napoli, società allo specchio
Vantano le due rose di maggior prestigio del campionato, dopo la Juventus. Si giocano tutto, o quasi tutto, in novanta minuti che valgono tre punti e una buona fetta dei quasi 40 milioni garantiti da un posto in Champions League. Quello che nel piccolo mondo antico del calcio vintage, Roma-Napoli, oggi è una sfida che si gioca su più fronti, tra plusvalenze, mega-prestiti e project-financing per gli stadi da ricostruire o da rifare.
Le rose – Per l’autorevole sito Transfermarkt, la rosa della Roma vale 253,70 milioni di euro, quella del Napoli appena meno, 252,75, rispettivamente al tredicesimo e quattordicesimo posto nella graduatoria europea. Se potesse idealmente scegliere i pezzi più pregiati per ruolo, Garcia potrebbe mettere in campo una formazione da 186 milioni, Benitez, che De Laurentiis vorrebbe mantenere sulla panchina azzurra, una da 174. Ma l’allenatore spagnolo ha due assi, in campo e in cassa, che la Roma non ha: Higuain e Hamsik, gli unici giocatori nelle due rose con un valore stimato sopra i 30 milioni.
Napoli, fatturato record – Fuori dal campo, nella gestione economica della società, la partita è senza dubbio di De Laurentiis che ha chiuso al 30 giugno 2014 l’ottavo esercizio consecutivo in utile, con un fatturato record di quasi 237 milioni, contro i 151 del 2013, spinto dalle mega-plusvalenze (64,3 milioni dalla cessione di Cavani), e dai quasi 110 milioni per la partecipazione alla Champions League. La società non ha debiti con banche o finanziatori, ma ha sostenuto spese complessive per 203 milioni, quasi 84 solo per gli ingaggi, che insieme agli ammortamenti (il costo dei cartellini che viene scaricato su ogni anno di contratto), fanno lievitare il peso della rosa a 142,9 milioni. Numeri che ben spiegano quanto conti per il Napoli agganciare l’ultimo treno che porta alla Champions League.
Roma, passivo ridotto – La Roma, al contrario, ha chiuso il 2014 con 38,6 milioni di perdite, in lieve miglioramento rispetto al 2013, grazie a 68,6 milioni di diritti tv e altri 56 garantiti dalle plusvalenze. Crescono però i costi del personale, che pesa complessivamente per 135,5 milioni, molto più del margine operativo. Con la qualificazione alla Champions League, tuttavia, il primo semestre dell’esercizio 2014-2015 presenta una significativa inversione di tendenza, con ricavi totali e diritti tv quasi raddoppiati e proventi da botteghino triplicati nel giro di un anno, da 11 a 30 milioni.
A gennaio vince il Napoli – In campo, però, la situazione continua a peggiorare per i giallorossi, i grandi sconfitti del mercato di gennaio. Il mea culpa di Sabatini ha sconfessato le mosse che avrebbero dovuto rinforzare la squadra, i 14,4 milioni spesi per Doumbia, i 3 investiti per Spolli, i 5,5 per il riscatto di Yanga-Mbiwa e i 15 (2,5 per il prestito oneroso più 12,5 per il diritto di riscatto) scommessi su Ibarbo non rendono. E le cessioni di Jedvai, Destro, Emanuelsson e Borriello alleggeriscono le casse di 5 milioni di ingaggi ma non cambiano la sostanza. E la sostanza rivela una verità chiara: il vero vincitore del calciomercato di riparazione è proprio il Napoli, che ha rinforzato la rosa con Strinic a parametro zero e Gabbiadini, per cui ha investito 12,5 milioni in quattro rate.
Nuovo San Paolo – C’è però un punto in comune nei bilanci delle società, che confermano il calcio italiano come un’isola non certo felice in Europa. I ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti restano una voce decisamente poco influente, con la Juventus che nonostante lo stadio di proprietà ha incassato nell’ultima stagione 41milioni, sei meno del Galatasaray, ma pur sempre il doppio del Napoli (28,9), per cui il botteghino rappresenta il 13% dei ricavi. E per la Roma è anche peggio. Eppure, secondo la relazione di Michele Uva, direttore generale della Coni Servizi, consegnata al Comune di Napoli a luglio, dal San Paolo gli azzurri potrebbero guadagnare almeno 13 milioni in più a stagione. Più di 5 si perdono perché il terzo anello è inagibile, e una quota di poco inferiore si potrebbe ricavare aggiungendo il settore “corporate hospitality”. Due dati che rendono sempre meno procrastinabile l’operazione di rinnovo dello stadio, per cui De Magistris ha promesso un investimento iniziale di 20 milioni. Il nuovo San Paolo, che il sindaco ha promesso sarà pronto a settembre, sarà utilizzato anche per concerti, fattore rilevante per far crescere i profitti. De Laurentiis, che ha vincolato i lavori all’applicazione di una legge per la sicurezza sugli stadi sul modello inglese, ha in mente un impianto da 55 mila posti e un investimento stimato sui 100 milioni, quasi certamente in project-financing, che a giudicare dalle ultime esperienze europee potrebbero non bastare. Il San Mames, per esempio, dove si è chiuso il sogno Champions degli azzurri quest’anno, è costato 173 milioni e 4 anni di lavori, e ne sono serviti 150 milioni per rimettere a nuovo il Velodrome di Marsiglia. D’altra parte l’Hamburg Arena è stato ristrutturato con 64 milioni e il Borussia Park a Moenchengladbach con 87.
Il sogno di Pallotta – A Roma, Pallotta ha progetti ancora più ambiziosi. Incassato il rifinanziamento da 175 milioni dalla Goldman sachs, per ripianare l’indebitamento pregresso e coprire le spese correnti, con la Newco (la compagnia in cui saranno convogliati diritti tv e d’archivio, sponsorizzazioni e il brand Roma) a far da garanzia, il presidente già progetta il nuovo stadio. L’operazione da da circa 300 milioni per il nuovo impianto a Tor di Valle ha ricevuto lo scorso dicembre l’ok del Comune. Pallotta sta valutando l’ipotesi di affidarsi alla finanza di progetto e sta cercando finanziatori bancari. Per Luca Parnasi, 37 anni, il costruttore che venderà alla Roma i terreni per il “Colosseo moderno” progettato da Dan Meis, dove potrebbe sorgere anche la nuova sede centralizzata di Unicredit, i tempi saranno lunghi, non inferiori ai due anni. Il sogno del presidente americano a Roma, e la visione del più americano dei presidenti italiani, son sempre più vicine E sabato sarà tutto o niente, all-in in 90 minuti.