Riciclaggio, infiltrazioni, combine: mafia e calcio, il rapporto della Commissione
Il romanzo criminale del pallone. Il calcio come terreno di conquista, come opportunità di consenso e guadagni. Un mondo infiltrato da ambienti criminali, nelle curve e nelle proprietà delle società. Un mondo che per troppo tempo non ha visto o non ha voluto vedere. È il ritratto nero che emerge dalle 97 pagine della relazione “Mafia e calcio” della Commissione parlamentare antimafia. Tra attività di bagarinaggio consentite per mantenere la pax in curva e squadre con le finestre aperte sulle strade e gli occhi chiusi sulla gente, soprattutto sui propri tifosi, con la spada di Damocle della responsabilità oggettiva. Tra controllori senza poteri di indagine sui proprietari e proprietà infiltrate, tifosi-boss amici dei calciatori e giri di scommesse illecite.
Le mafie negli stadi: soldi e consenso
La Commissione tratteggia un quadro per certi versi sconfortante degli stadi italiani. Ambienti in cui la criminalità organizzata di tipo mafioso vede un'opportunità per allargare il giro dei traffici illeciti, moltiplicare i canali del riciclaggio di denaro, insinuarsi pervasivamente nel tessuto sociale. Lo stadio, dunque, come vetrina per “accreditarsi come componente sociale”, ricercare consenso e sviluppare relazioni, vero capitale strategico. Lo stadio come teatro di una guerriglia urbana settimanale che, al 31 marzo, ha impegnato 165 mila poliziotti. Un lusso, ha detto il capo della Polizia Franco Gabrielli, che l'Italia non può più permettersi.
L'obiettivo della “riappropriazione” del “territorio-stadio” da parte delle istituzioni e delle società, sostiene la relazione, passa per una maggiore interazione fra i tre soggetti coinvolti: le forze dell'ordine, i gruppi organizzati e le società. La Commissione si augura un rafforzamento delle norme restrittive, soprattutto del Daspo e l'affiancamento a questa misura dell'obbligo di firma.
La proposta: inasprire il Daspo
Il divieto di accedere alle manifestazioni sportive, una misura che gli ultras hanno spesso lamentato come incostituzionale perché si può emettere anche sulla base di una segnalazione, è una misura di prevezione, scrive la Corte costituzionale, e dunque può essere inflitta anche indipendentemente dalla commissione di un reato. È una misura che funziona laddove è possibile individuare con precisione i soggetti da punire, e può diventare più efficace per spezzare attività illegali gestite dai capi ultras fuori dagli stadi, che come deterrente per gli incidenti in curva, dove i tifosi rispettano la geografia e la gerarchia dei gruppi, non l'indicazione del posto sul biglietto.
Per la sicurezza negli stadi servirebbe una maggiore responsabilizzazione delle società anche sul fronte della sicurezza, della formazione degli steward, come fanno Juventus e Napoli.
Napoli, la geografia criminale del San Paolo
Proprio da Juventus e Napoli parte l'analisi della Commissione. A Napoli, dove Pierpaolo Marino denunciava nel 2007 una pratica ventennale di bagarinaggio che scaturiva da intimidazioni dei tifosi, emerge un quadro di infiltrazione cui la società risponde con una ostentata chiusura. Due gli episodi centrali, ricostruiti anche attraverso le audizioni dei magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia: la presenza di Antonio Lo Russo, del clan dei “capitoni” di Miano, a bordo campo in diverse partite del 2010 (celebre Napoli-Parma del 10 aprile, meno di un mese prima dell'inizio della sua latitanza) e Gennaro De Tommaso, “Genny ‘a carogna” all'Olimpico per la finale di Coppa Italia 2014.
Lo Russo scambiava telefonate con Lavezzi, che gli chiede di far esporre striscioni di sostegno (“Lavezzi non si tocca” e simili) su entrambe le curve e gli promette di non andare a giocare alla Juventus o all'Inter ma solo all'estero (come poi accadrà). De Tommaso e Lo Russo rappresentano la suddivisione territoriale al San Paolo: il clan di Lo Russo ha influenza in curva B, De Tommaso, che prima della finale parla con Marek Hamsik, in curva A, dove è forte il radicamento nel quartiere Sanità.
La ‘ndrangheta nelle curve della Juventus
Il rapporto ricostruisce anche le infiltrazioni di esponenti locali della ‘ndrangheta fra i gruppi organizzati della Juventus, i cui primi segnali risalgono al 2012, che si dichiara colpevole di aver violato le norme sul bagarinaggio “al dichiarato fine di mantenere l’ordine pubblico nei settori delle stadio occupati dagli ultras ed i buoni rapporti con la tifoseria”. Un'esigenza diventata più forte, come abbiamo già raccontato, al momento del passaggio allo Juventus Stadium, quando sono stati accorpati in un curva gruppi che prima ne occupavano due. Il trait d'union fra tifosi e società è Rocco Dominello che riceve una cospicua quota di biglietti.
Dominello, grazie al ruolo del padre Saverio, diventa il “referente della ndrangheta dal lato della gestione dei rapporti con i gruppi del tifo organizzato juventino”. Non c'è estorsione contro la Juve, spiega Paolo Toso, procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino, che è un reato contro il patrimonio. C'è il controllo dei gruppi e dei benefici del bagarinaggio che frutta, per un solo gruppo e nemmeno il maggiore, 30 mila euro a partita. La Commissione, però, esclude, che i vertici societari conoscessero il pedigree criminale di Dominello. Un'impreparazione di fronte a un'infiltrazione massiccia che non può non allarmare, anche per quello che potrebbe succedere in realtà più piccole.
Realtà come Catania, dove nel 2016 i leader degli Irriducibili Stefano Africano e Rosario Piacenti, della famiglia dei Picanello, tentano di estorcere 5 mila euro a Biagianti per “spese processuali”. Il giocatore nega, ma suo suocero lo smentirà.
Supporter Liaison Officer, questo sconosciuto
La Commissione ricostruisce anche la telefonata di Sculli, nipote del capo della cosca Morabito di Africo, a Massimo Leopizzi, leader della Brigata Speloncia con una lunga fedina penale, durante Genoa-Siena 2004. E spiega come i gruppi organizzati della Lazio, come gli Irriducibili in cui è forte la presenze di soggetti con precedenti penali, legati all'estrema destra e anche a Massimo Carminati, abbiano contestato Lotito soprattutto perché ha deciso di non finanziare più le coreografie (25 mila euro) e gestire diversamente il marketing, mettendo a rischio la sopravvivenza degli esercizi commerciali Original Fans, gestiti dai gruppi organizzati
Il presidente della Lazio si avvale da due anni del Supporter Liaison Officer, obbligatorio per tutte le squadre professionistiche in Italia dal 2015. Ma non tutte le società hanno mostrato la stessa attenzione verso l'istituzione di questa figura. Finché l'esigenza di riequilibrare dei rapporti con i gruppi organizzati non sarà percepito come una priorità dalle società, il virtuoso dialogo a tre con le forze dell'ordine resterà missione quasi impossibile.
La mafia e la proprietà delle squadre
Il calcio ha generato, nel 2015, “un giro di affari che in Italia ha raggiunto 3,7 miliardi di euro, cifra pari quasi a 5,7 punti del PIL nazionale”. Con prospettivi di benefici alti, e rischi contenuti per gli insufficienti poteri di controllo, l'occasione per le mafie è troppo ghiotta.
COVISOC e COVISOD, pochi poteri
I controlli sulle società sono affidati alla COVISOC, organismo costituito all'interno della FIGC che verifica i documenti e i requisiti per l'ammissione al campionato. Requisiti che non comprendono una verifica specifica sugli assetti proprietari.
Ancora meno poteri ha la COVISOD, l'organismo di controllo delle squadre dilettantistiche perché, hanno spiegato i rappresentanti della Lega Dilettanti e della stessa COVISOD, le ASD e le SSD non hanno scopo di lucro e perché i casi di infiltrazione sono troppo pochi rispetto alla dimensione del fenomeno. Ma i cinque casi negli ultimi 12 mesi fanno riflettere, e la facilità di subentro, l'adesione di un nuovo soggetto, rende possibile operazioni opache da controllare con più attenzione.
Come migliorare le norme anti-riciclaggio
Significativo, ma non sufficiente, il protocollo di intesa fra FIGC e Ministero dell'Interno per la verifica dei requisiti antimafia in caso di aumento di capitale o acquisizione di quote superiori al 10%. Ma a Mantova, lo scorso luglio, Antonio Palmieri ha acquisito il 9% della società, per 900 euro spiegava il suo avvocato alla Gazzetta di Mantova. Palmieri, spiegava il Corriere della Sera, è socio in affari di Anna Iovine, sorella del boss, e suo cognato Salvatore Diana. Rapporti, però, smentiti dal suo legale. Finché i controlli saranno limitati a chi rileva più del 10%, poco si potrà fare. La norma si può migliorare anche con la reintroduzione dei controlli preventivi sulla liceità della provenienza dei capitali esteri, previsti da un'emendamento alla Legge di Bilancio e poi abrogati.
Ed è più che condivisibile l'auspicio che l'intero meccanismo dei controlli sia ristrutturato e affidato al CONI, o comunque si potrebbe aggiungere, a un soggetto effettivamente terzo rispetto alle società, alle leghe, alle federazioni. E non più affidati a soggetti su cui comunque ricadono i costi materiali e immateriali di violazioni delle norme da parte di dirigenti o squadre di particolare richiamo.
La mafia e le scommesse: il match-fixing
L'altra grande minaccia alla credibilità del sistema calcio, ma sarebbe meglio dire del sistema sport, è il fenomeno del match-fixing. In altre parole, le partite “truccate”.
Last Bet: il tariffario per truccare le partite
L'inchiesta Last Bet del 2011 della Procura della Repubblica di Cremona ha scoperto una rete con base a Singapore che aveva al centro un gruppo di base nei Balcani, cosiddetto degli zingari. Comprare una partita di serie A costava 400 mila euro, una partita di serie B 120 mila euro e una partita di Lega Pro 50mila euro.
“In occasione del sequestro che ha colpito la cosca Pesce di Rosarno, è stato disposto il sequestro anche delle quote di due società calcistiche (la Sapri calcio e la Cittanova Interpiana), intestate a prestanome, che il clan utilizzava per acquisire consensi sul territorio” ricordava il senatore Vaccari nella Relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito ed illecito del 2016.
Il ripetersi degli scandali offre crescenti segnali sulla necessità di un cambio di rotta normativo. La prospettiva di ridurre il numero di partite su cui poter scommettere, eliminando per esempio i campionati giovanili o dilettantistici, o di tipologie di eventi su cui puntare su un singolo match, appaiono considerazioni utopistiche in un mondo come quello del calcio in cui i bookmakers sono diventati partner di 11 squadre di serie A, due più che in Premier League dove i Labour vorrebbero abolire i betting partner.
Una risposta concreta: consentire il sequestro dei proventi illeciti
Più utile sarebbe agire sulla leva principale dell'illecito sportivo, che è un reato di pericolo e non di danno, per cui si verifica anche con il semplice tentativo di corruzione. Ovvero, sulla leva economica. E questo richiede soprattuto il completamento del percorso di adesione alla Convenzione di Macolin del Consiglio d’Europa del 18 settembre 2014 (il disegno di legge è stato approvato alla Camera a fine novembre). In questo modo, oltre alle sanzioni amministrative e all'interdizione dall'esercizio di un'attività commerciale, si può arrivare al sequestro e alla confisca degli strumenti usati per commettere il reato e dei relativi proventi, o di proprietà del valore corrispondente.
Insieme alle iniziative di formazione, alle linee guida sui comportamenti per gli atleti, mettere a rischio i guadagni illeciti costituirebbe un deterrente importante. Così, aumentando l'efficacia dei controlli e i rischi che la combine venga scoperta, un'organizzazione avrebbe costi più alti e meno vantaggi a tentare di corrompere un giocatore. Aumentare i costi, ridurre i benefici: solo agendo su queste due leve, che richiede una revisione sistematica delle sanzioni e dei meccanismi di controllo, si potrà ottenere qualche significativo risultato.