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Platini a gamba tesa: “I giudici della FIFA e del TAS sono dei pagliacci”

L’ex presidente dell’Uefa, non usa giri di parole per attaccare coloro che gli hanno inflitto la squalifica di 4 anni: “È stato tutto un complotto per impedirmi di diventare il presidente della FIFA”.
A cura di Alberto Pucci
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A quasi due anni dalla sentenza del Tribunale Arbitrale Sportivo di Losanna, Michel Platini torna a parlare dalle colonne della rivista francese "Mariane". Accusato di aver percepito irregolarmente due milioni di franchi svizzeri dall'allora presidente della FIFA, Joseph Blatter, l'ex numero uno dell'Uefa ha nuovamente attaccato i giudici per la squalifica di quattro anni che di fatto gli ha stroncato la carriera dirigenziale.

"Sia i giudici della FIFA che del TAS non sono giudici veri – ha attaccato PlatiniMi hanno costretto a non lavorare per 4 anni. Chi sono questi pagliacci che mi impediscono di lavorare?". Dopo aver presentato inutilmente ricorso per la squalifica fino al 2019 (con ammenda di 60 mila franchi svizzeri), l'ex stella del calcio francese ha ora deciso di appellarsi anche alla Corte di Strasburgo.

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La difesa di "Le Roi"

"Per me è una questione d'onore: voglio che mi sia restituita giustizia. Devo difendermi da questi imbroglioni – ha continuato – Se domani mi chiedessero di tornare a lavorare nel mondo del calcio, diventerei presidente di un emittente televisiva, perché avrei più potere del presidente dell'UEFA. Sono le tv che oggi decidono quando si giocano le partite, giorno e ora, e anche come arbitrare tramite il VAR".

Per Michel Platini l'incubo era iniziato poco dopo l'annuncio della sua candidatura alla Fifa, come successore di Sepp Blatter. Il Comitato Etico della Federazione internazionale lo aveva però sospeso per 90 giorni, dopo che venne a galla lo scandalo dei due milioni di franchi svizzeri ricevuti dal francese nel 2011 dallo stesso Blatter, per una consulenza svolta per la Fifa fra il 1998 e il 2002. Una condanna, quella di "Le Roi", che l'allora numero uno della Federcalcio italiana, Giancarlo Abete, definì "una punizione molto severa".

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