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Perché questo Napoli può vincere lo scudetto nonostante tutto

Il Napoli insegue la bellezza.. Vince la settima partita in stagione da sotto 0-1, per una volta determinata non dai titolarissimi. La Juventus ha concesso una gol nelle ultime 16 partite e non fa niente di più di quel che serve per vincere. Percorsi opposti sulla via della grandezza.
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Qualcosa è cambiato. Se perfino Sarri se la gode e si diverte, dall'alto del primo posto e della tribuna dopo l'espulsione, il Napoli può davvero sognare in grande. Perché a questo punto della stagione il principio rimane identico, ogni passo avanti è un passo in meno. Ma la Juventus, che traccia un percorso diverso per continuare sulla via della grandezza, non sta certo a guardare.

Zielinski, la stella che non ti aspetti

Qualcosa è davvero cambiato se il Napoli dei titolarissimi e degli altri ad accontentarsi di un ruolo da ballerini di fila vince con una "riserva di lusso" come Zielinski. Ci vede lungo Sarri quando lo sceglie al posto di un Hamsik poco mobile e troppo facilmente aggredito dal centrocampo della Lazio che nel primo tempo ingabbia Jorginho con la marcatura alta di Milinkovic-Savic. Un Napoli che scende in campo con tre quarti della difesa dell'Empoli di Sarri edizione 2014-2015, perché non sono mai tutte descritte le grandi destinazioni. Trova spazio anche Tonelli, che in campionato non aveva ancora mai giocato, si limita a un compito diligente anche se salta il dialogo con Koulibaly sul gol di De Vrij, ma chiedergli di più sarebbe stato un azzardo.

Zielinski è uno spettacolo, la Lazio non lo prende praticamente mai, entra in tutte le azioni, e la fortuita deviazione sul tiro di Mario Rui certifica la continuità di un progetto e di un percorso che partono da lontano.

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La grandezza è negli attimi di felicità

E’ prerogativa della grandezza, scriveva Nietzsche, recare grande felicità con piccoli doni. I piccoli regali del Napoli sono nascosti alla fine dell'arcobaleno, scritti nei 144 passaggi di Jorginho sugli 861 complessivi di squadra, nei sette tiri, nel ritmo che la Lazio alla distanza non riesce a tenere, nell'intuizione di Callejon che in quasi cinque anni a Napoli ha saltato solo due partite. Compie 31 anni oggi lo spagnolo, che si regala e regala l'inizio della rimonta, il cambio di paradigma di una partita tutta gambe e cuore. In una serata non troppo brillante per Mertens e Insigne, Callejon prenota un posto nei 23 del ct Lopetegui per i Mondiali di Russia ma prima c'è da raggiungere l'obiettivo che tutta la squadra e tutta la città hanno in testa dall'anno scorso, dal patto per riprovarci dopo una stagione in cui la quantità, record di gol segnati e vittorie nella storia del club, non era bastata per uscire dalla prigionia del sogno.

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Sette rimonte, così il Napoli può vincere

Il terzo posto di un'estate fa resta il prodotto di una squadra che per vincere aveva bisogno di dominare e di scintillare, capace di firmare una sola vittoria nelle dieci occasioni in cui era passata in svantaggio. Quest'anno, invece, è un Napoli consapevole, che sette volte ribalta uno 0-1, due volte con la Lazio, sempre 4-1 finale dopo il vantaggio di De Vrij, eterno ritorno dell'uguale, e in mezzo con Atalanta (3-1 finale), Spal (3-2 in trasferta), Genoa (3-2 a Marassi), Sampdoria (3-2) e Bologna (3-1). Solo la Juve ha retto dopo aver firmato il primo gol contro gli azzurri. Non è un caso.

Juventus, regina delle punizioni

Non è un caso che la Juventus è la squadra che in Italia ha segnato più gol su punizione, sei come solo PSG e Lione sono riuscite a fare nei cinque principali campionati d'Europa. Perché farla passare sopra quel filo ideale teso sopra la barriera è un arte, e chi su quei fili in mezzo al cielo ha imparato a camminare, l'artista funambolo francese Philippe Petit, insegna che l'essenzialità è nella semplicità. Che in fondo è la semplicità del pallone, anche se giocare un calcio semplice è quanto di più difficile si possa provare a fare.

Semplice, però, non vuol dire facile. E' qualcosa che puoi mandare a memoria, che puoi imparare e conservare, ripetere e applicare ancora e ancora, con identico spirito e interpreti nuovi. E' quello che permette a Max Allegri di fidarsi del rock and roll di Bernardeschi che suona, nella settimana del Festival di Sanremo e della modica quantità di autoplagio dei vincitori, una musica dolce e lontana come il primo addio alla Viola e il ritorno con gol dell'ex. Il progetto di campione chitarrista costruisce il colpo di scena del thriller di una sfida che timbra la differenza fra chi ci prova e chi ci crede. E conferma come la lezione di Adriano Panatta, ultimo tennista italiano a vincere gli Internazionali d'Italia, unico a vincere uno Slam, resti validissima anche al variare dello scenario: giocar bene e vincere sono due sport diversi. Convergenze parallele che possono anche incontrarsi ma più come un accidente della storia che come una condizione necessaria.

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La forza della difesa

Al Sarri dostoevskiano per cui la bellezza salverà il mondo, anche del calcio, Allegri ha sempre risposto col più juventino dei mantra, che sopravvive al peso della storia. "Volete lo spettacolo? Per quello c’è il circo. Qui invece bisogna vincere. Sicuramente noi daremo meno nell’occhio di altre squadre, ma l'importante è arrivare primi in fondo al campionato" diceva l'anno scorso. Giocar bene, come il talento, è espressione multiforme, facile da afferrare quanto complessa da definire. La bellezza sta anche nella naturalezza con cui la Juve cambia moduli e faccia nel corso della stessa partita, con cui si modella, si adatta, si plasma per esaltare le differenti caratteristiche dei singoli senza che questo induca, alla distanza, alla disarmonia.

Una Juve che concede un solo gol in 16 partite (11 di campionato, 3 di Coppa Italia e 2 di Champions), che in una serata non così banale alla Fiorentina lascia solo due occasioni (il palo di Dias e l'uscita super di Buffon su Théréau), ha orizzonti evidentemente più ampi della sola Serie A. La preparazione mirata per arrivare a volare a carnevale non è uno scherzo e certo non maschera l'ambizione d'Europa, quel sogno sfumato nel calor dell'intervallo un'estate fa. All'estetica, al ghirigoro, al piccolo di regalo per la felicità, la Juventus preferisce l'ottimo paretiano. Non fa niente di più, non spreca una goccia d'energia di più di quelle che servono per vincere. Anche fare sempre la cosa giusta senza inseguire un'idea preconcetta di perfezione, è una forma di talento. Una delle più preziose.

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