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‘Ndrangheta, pressioni su Udinese e Juventus per far giocare Iaquinta

A scatenare un terremoto e a generare la risposta indignata del club friulano, sono state le dichiarazioni rilasciate dal pentito Salvatore Muto e rilanciate dalla dal quotidiano “Gazzetta di Reggio”.
A cura di Alberto Pucci
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Dopo i problemi degli scorsi anni, la famiglia di Vincenzo Iaquinta è stata nuovamente coinvolta in alcune accuse pesanti. A tornare a parlare dell'ex giocatore di Udinese e Juventus, sarebbe stato il nuovo pentito Salvatore Muto: muratore crotonese classe '77, condannato a 18 anni dopo il processo "Aemilia", che a gennaio 2015 portò a 117 arresti e oltre 200 indagati. Le parole del pentito, riportate dalla "Gazzetta di Reggio", rivelerebbero particolari inquietanti sui due ex club che hanno avuto a disposizione l'attaccante negli anni passati.

Il comunicato dell'Udinese

Secondo Muto, l'Ndrangheta crotonese avrebbe infatti fatto pressioni su Udinese e Juventus per far giocare o cedere il nativo di Cutro: paese in provincia di Crotone. Una dichiarazione che ha ovviamente generato la risposta del club friulano: "Le dichiarazioni apparse sulla stampa in merito alla cessione nel 2007 del giocatore Vincenzo Iaquinta sono destituite di ogni fondamento. Udinese Calcio rigetta qualsiasi affermazione apparsa sui media che rimandi a possibili pressioni ricevute in merito alla cessione di propri giocatori".

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I presunti regali di Iaquinta

Idolo incontrastato dei suoi concittadini, Iaquinta ha passato un periodo dove vedeva poco il campo. Proprio le sue numerose panchine, secondo il pentito, avrebbero indispettito i capi del clan "Grande Aracri" che, nei verbali della deposizione di Muto, sarebbero stati protagonisti di pressioni verso la Juventus e addirittura minacce verso l’Udinese: club che fu tra l'altro costretto a cedere il calciatore nel 2012. L'interessamento dell'Ndrangheta, come riferito dal collaboratore di giustizia, sarebbe stato ripagato dallo stesso Iaquinta con alcuni omaggi (scarpini, maglie e tute), in parte fatti recapitare anche dentro un carcere. Una vicenda dai contorni ancora tutti da verificare, sulla quale sta indagando la Direzione distrettuale antimafia di Bologna.

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