Napoli, 8 punti persi con le piccole: Sarri è la soluzione o il problema?
Il farmaco e il veleno. Il problema e la soluzione. Il bianco e il nero. Nel blu dipinto di azzurro del campionato del Napoli, Sarri è insieme l'uomo della svolta, che ha incarnato la visione di De Laurentiis e fatto sognare i tifosi. Ma è allo stesso tempo l'uomo dalle ruvidità verbali fin troppo rustiche fino a sconfinare nell'inopportuno, l'uomo della tuta, delle sigarette, delle parolacce in conferenza stampa, l'uomo dalle posizioni forti e dalle impostazioni rigide, per qualcuno anche troppo.
Pescara, Sassuolo, Palermo: persi 8 punti
Il pareggio con il Sassuolo che allontana un po' di più il secondo posto della Roma racconta e riassume pregi e difetti di una squadra al bivio fra provincialismo e sogni di grandezza. Un passaggio di tempo e di crescita che da troppi anni aspettano anche i tifosi giallorossi: due squadre, due ambienti simili, con un senso di inferiorità rispetto alla Juve da imputare solo a se stessi. Nel 2-2 in rimonta contro gli emiliani c'è lo spirito di una squadra capace di ribaltare lo svantaggio e la gioia per aver ritrovato un bomber come Milik. Ma ogni luce nasconde le ombre.
In controluce, il risultato di Reggio certifica anche gli errori in successione, sempre diversi e sempre uguali, di una squadra che non ha saputo del tutto sublimare le proprie fragilità. I campionati, è storia nota, non si vincono infatti negli scontri diretti ma nella continuità di risultati contro le avversarie che non lottano per un posto in Europa. È qui che il Napoli ha perso il treno quantomeno per diventare la più accreditata rivale dei bianconeri. Troppi gli otto i punti persi contro Pescara, Sassuolo e Palermo.
Oltre 90 milioni in panchina
Troppe le incertezze difensive, una certa sufficienza abbandonata solo quando la situazione di punteggio non concede più alternative. Troppa la rigidità del pensiero sarriano, che ha aspettato troppo prima di inserire Milik che a questo punto ritorna centrale nelle gerarchie partenopee e fa scivolare indietro Pavoletti. Senza più altri obiettivi se non il campionato, Sarri si ritrova con un tesoretto da oltre 90 milioni in panchina. Una cifra a cui si arriva sommando i milioni 26 spesi per Maksimovic, i 9 per Tonelli, i 13,5 per Rog e i 15 investiti a gennaio per l'attaccante del Genoa dopo la cessione di Gabbiadini.
Un patrimonio da gestire per il tecnico, così come Milik che potrebbe convincere Sarri perfino ad abiurare al credo del 4-3-3 e provare a passaee al 4-2-3-1, “per non sprecare nulla del potenziale offensivo di cui dispone” scrive la Gazzetta dello Sport. “Anche perché Milik è un capitale della società e in qualche modo va salvaguardato: per averlo, nella passata estate, De Laurentiis ha dovuto versare 32 milioni di euro all’Ajax e tenerlo in panchina anche il prossimo anno potrebbe essere un lusso”.
L'Equipe: Sarri tra i migliori d'Europa
Sarri, però, è fra i migliori 40 allenatori in attività in Europa per l'Equipe. Ha reso il Napoli il miglior attacco della serie A e l'unica squadra in Europa con tre giocatori in doppia cifra (Mertens capocannoniere con 22 gol, Insigne 14, Callejon 10). Il Napoli dovrebbe giocare in modo diverso, si potrebbe obiettare. Anche se Insigne, che ha rinnovato il contratto fino al 2022 per una scelta di cuore, non è Mandzukic e Albiol non è Chiellini. Gli errori, di cui certamente Sarri ha responsabilità, diventano però la dimostrazione, la misura della dimensione attuale del Napoli. Cosa vuole diventare da grande?
La questione investe tutti i livelli della gestione del club. Richiede un approccio tecnico e anche mediatico più europeo. Richiede una politica societaria che dia valore ai campioni che creano valore. Crogiolarsi nella serie di otto stagioni di fila col bilancio in attivo permette di sicuro di soddisfare un impegno e certificare uno status di società solida ma non basta. Nessun tifoso ringrazierà mai il suo presidente per aver chiuso i conti col segno più. Sono i risultati quelli che restano nel ricordo, nella passione collettiva, nella memoria. Napoli è ancora prigioniera del sogno come la Roma di Viola, prigioniera di una memoria fatta di ricordi abbacinanti del Pibe de Oro, il santino laico per generazioni di tifosi.
Il difficile rinnovo di Mertens
Ma se allora un'icona fuori dalle umane categorie bastava per nobilitare una squadra comunque di livello e a mettere Napoli al centro della geografia italiana ed europea, oggi non basterebbe più. Oggi i grandi successi si ottengono facendo sì crescere e lievitare giovani di prospettiva, ma per colmare il gap con la Juventus servono uomini che abbiano già vinto, che conoscano il come si fa e siano in grado di trasmettere il know how. Non è un caso che, perso Pogba, i bianconeri abbiano cambiato pelle anche in Champions con gli arrivi di Khedira e Dani Alves, che più di Higuain e Dybala l'architrave della svolta, seppur meno appariscente, sia Mandzukic.
Da questo punto di vista, non va certo in questa direzione il tira e molla per il rinnovo del contratto di Mertens. Un triangolo in cui si inserisce anche la moglie del belga, che ha lasciato Napoli e starebbe provando a convincerlo a cambiare luna e quartiere, a cambiare casa, umore e orizzonti. Ragioni del cuore, che la ragione disconosce.
Cannavaro "core ‘ngrato"
Le stesse ragioni che hanno spinto perfino a definire "core ‘ngrato" Paolo Cannavaro, che del Napoli è e resta tifoso e non lo nasconde pur nell'altissima professionalità che il capitano del Sassuolo porta in campo. "Io ieri secondo alcuni ragionamenti contorti di alcuni tifosi dovevo scansarmi, dovevo dire all'arbitro che avevo preso la palla con la mano nonostante l'avessi presa con la testa" dice in un video su Instagram. “Mi dovevo scansare ieri perché sono napoletano. Questo significa che in 8 anni di Napoli non avete capito Cannavaro che professionalità ha”. Anche questo è un indizio chiaro. È difficile costruire una mentalità vincente quando ci si lamenta delle avversarie che si scansano contro la Juventus ma si vorrebbe che facessero lo stesso contro la propria squadra del cuore.
È una dimostrazione ulteriore di quella cultura degli alibi che accomuna più di qualche tifoseria, che lega Napoli e Roma. In tanti faticano ad accettare che “la realtà è quello che è, non come voglio che io sia”. E ancor di più a convincersi che non possono e non devono esistere giustificazioni per il non riuscire in qualcosa che esulino dalla propria responsabilità.
La cultura degli alibi
È difficile costruire una mentalità vincente quando l'obiettivo è la perfezione. Perché, come diceva Julio Velasco che proprio dalla cancellazione della cultura degli alibi ha creato la generazione di fenomeni, la perfezione è un'idea da perdenti. Sembra una tautologia, ma è una rivoluzione. L'errore fa parte del gioco, la differenza la fa chi riesce a non farsene influenzare, a vincere nonostante l'errore, a giocare immerso nel presente, senza condizionamenti.
Questo, allora, può essere l'unico limite davvero imputabile a Sarri. Questa ricerca così affinata e raffinata, fra studi analitici e droni, di una perfezione nella logica e nella teoria che sia capace di prevedere ogni imprevisto, di disegnare ogni possibile situazione di gioco. Una strada che non sempre paga quando l'esperienza empirica deraglia dall'impostazione. La vera mentalità vincente consiste nel prendere atto che delle volte si perde perché gli altri sono stati più bravi di noi. Ma dopo le sconfitte, sono abituali più che altro le lamentele, le giustificazioni, le mani avanti. E matura, nella riflessione di un attimo, un'immagine, una prospettiva certamente paradossale: e se Sarri facesse solo il tattico, l'analista, con un altro allenatore in panchina?