Milan, e ora non chiamatelo più “povero Diavolo”
Che Milan troverà Bee Taechaubol, “Mister Bee”? Il thailandese che rileverà il 49% della società ha di fronte un Milan con un rosso da 90 milioni, che nonostante i soldi spesi non è più stato capace di aprire un ciclo vincente dal 2007, l’anno della rivincita di Atene contro il Liverpool. Proprio la vittoria dell’ultima Champions League rossonera si può considerare come l’inizio della fine. Una società che negli ultimi 10 anni, dal 2005 al 2014, ha accumulato perdite nette complessive per 361 milioni e chiuso solo un bilancio in utile, nel 2006, e per soli 2,48 milioni.
L’ultima Champions – La rosa del 2007, che “pesava” in bilancio 300 milioni, avrebbe potuto essere in parte smantellata per ricostruire un team più giovane introducendo in rosa elementi più giovani e dagli ingaggi meno importanti. Dopo quel successo, invece, i contratti dei big sono stati rinnovati con generosissimi e infiniti accordi pluriennali. E il Milan, che grazie a una deroga della Federcalcio chiude il bilancio al 31 dicembre e non al 30 giugno, ha registrato una perdita netta di 31,7 milioni nel 2007, grazie anche al contributo di Fininvest: 25 milioni per la ricapitalizzazione (10,8 a gennaio e 14,1 a settembre) e ai 18,35 per i vantaggi fiscali. In società, all’epoca, figuravano 196 dipendenti, di cui 50 calciatori, con costi aumentati da 137,8 a 166 milioni, che rappresentano il 63,9% sul valore della produzione.
Più rosso che nero – La partecipazione alla Champions è vitale per il prestigio, e soprattutto per le casse del Milan, che un anno dopo registra un passivo doppio rispetto al 2007 (66,8 milioni) e ricavi scesi da 44,8 a 7,4 milioni. Colpa, sottolineava Galliani, della mancata qualificazione in Europa. “Il gol di Osvaldo c'è costato 37 milioni di euro – diceva allora, in riferimento alla rete del giocatore della Fiorentina sul Torino che ha dato ai viola il quarto posto ai danni dei rossoneri-. Se l'avessi saputo avrei acquistato direttamente il giocatore”.
Spendere per vincere – Anche la storia rossonera, come già visto per la Juventus, conferma che per vincere l’imperativo in serie A è spendere. Il primo scudetto di Allegri, che ha festeggiato sabato il secondo tricolore personale e il quarto consecutivo dei bianconeri, coincide con il record storico per il costo del personale. Una voce che nel 2011 raggiunge i 206,5 milioni di euro, la cifra più alta nella storia del Milan e la seconda nella storia della serie A, subito dietro i 234 milioni dell’Inter del “triplete” e davanti ai 205 milioni della prima Inter di Mourinho. Costi che incidono sul valore della produzione per il 77,4% (una percentuale che sfiorerebbe l’80% senza la capitalizzazione dei costi del vivaio). Anche perché il Milan rimane la squadra italiana che più si avvicina al modello europeo in termini di differenziazione delle fonti di ricavo. Nella stagione dell’ultimo scudetto, i ricavi commerciali ammontano a 45,6 milioni (+30,9% rispetto al 2010), con un’incidenza sul valore della produzione del 17,1%, grazie soprattutto ai pacchetti promo-pubblicitari multi-prodotto con vari partner, come AWS, Beiersdorf, Dolce & Gabbana, Intesa San Paolo, M.S.C. Crociere, Sony Italia e Volkswagen. Le sponsorizzazioni fruttano 35,5 milioni, con un incremento dell’11,8%, grazie agli accordi con i due principali partner: Emirates (€14.450.000) e Adidas (€ 17.495.000). Paga, dunque, la politica di razionalizzare il numero dei partner commerciali per aumentarne il valore. Restano, però, perdite consolidate per 67,3 milioni, che portano il totale del triennio 2009-2011 a 146,9 milioni, cifra nettamente superiore alla soglia più elevata del “break even” del Financial Fair Play.
L’era dell’austerità – È un punto di non ritorno, che segna una svolta nelle politiche gestionali della società. Un nuovo corso segnato dalle cessioni di Thiago Silva e Ibrahimovic al Paris Saint-Germain (le plusvalenze totali raggiungono i 53,4 milioni). In un anno di crisi economica, comunque, il Milan aumenta i ricavi da botteghino e diritti tv (rispettivamente a 34 e 140 milioni, mentre gli introiti commerciali, pubblicitari e da sponsorizzazioni sono rimasti stabili a circa 80 milioni), e chiude con un fatturato record di 329 milioni, un margine operativo lordo positivo per 62 milioni e un deficit ridotto a 6,9 milioni. “Il gap con i grandi tornei continentali” commentava Galliani, “si sta allargando anche perché scontiamo ritardi normativi, come la legge sugli stadi, e carichi tributari altrove sconosciuti. Abbiamo dovuto pagare l'Irap, un'imposta che vige solo in Italia, per oltre 7 milioni di euro, anche sulle plusvalenze”. L’opera di risanamento, che ha fatto scendere il monte ingaggi da 199 a 176 milioni nel 2012, è continuata negli ultimi due anni. Ma la crisi di risultati ha riportato i conti in rosso.
L’ultimo bilancio – Dal 2013, il Milan cammina con le sue gambe e non può godere del vantaggio fiscale derivante dalla controllante Fininvest: ed è questo evento non ricorrente a spingere le perdite nel bilancio consolidato al 31 gennaio 2014 a 91,3 milioni. Con i criteri degli anni scorsi, infatti, il passivo sarebbe stato di 46,4 milioni di euro, in linea con una stagione priva di qualificazione in Champions League. Il costo del personale tocca i 154,7 milioni (140,8 per i soli tesserati). Nemmeno la cessione di Mario Balotelli al Liverpool per 20 milioni, è servita: l’operazione, infatti, ha portato una plusvalenza di soli 4,33 milioni, più bassa di quella inscritta in bilancio per la vendita di Brian Cristante al Benfica (4,84 milioni).
Perché la cessione è inevitabile – Il gruppo Milan, al 31 dicembre 2014, ha un patrimonio netto negativo per 94,2 milioni, quindi avrebbe bisogno di una ricapitalizzazione di almeno 100 milioni per proseguire l’attività senza portare i libri in tribunale. Dal punto di vista formale, gli organi di controllo della Figc però considerano solo il bilancio della capogruppo, Ac Milan Spa, che presenta un deficit ridotto a 20,95 milioni. Restano, però, debiti complessivi per 334,5 milioni, quasi il triplo dei crediti, 114,8 milioni. Con alle porte la seconda stagione consecutiva fuori dall’Europa, nonostante l’approvazione del progetto per lo stadio di proprietà al Portello, la ricerca di nuovi soci e nuovi capitali è diventata praticamente inevitabile. Perché è vero che il brand Milan vale ancora, secondo Forbes 856 milioni (è l’unico marchio sportivo italiano insieme alla Ferrari in classifica), ma dal 2010 al 2013 la forbice tra entrate e uscite è negativa per oltre 400 milioni: 843 gli incassi, 1273 i costi totali, nonostante 125 milioni di plusvalenze. E senza la Champions League, senza i 157 milioni di ricavi Uefa, il Milan avrebbe “bruciato” più di 400 milioni in quattro anni. È questa fragilità nel medio-lungo periodo dei conti rossoneri che ha convinto Berlusconi a cercare l’alleanza con Mister Bee. Un uomo venuto da molto lontano per riportare in alto la più globale delle squadre italiane.