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Juve, bilancio da scudetto

Dal crollo di Calciopoli al tesoro della Champions League, una semifinale da 70 milioni che permette di non vendere Pogba.
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L’eterno dilemma tra il bello e l’utile. Dal 2000, e con evidenza ancora maggiore nel periodo post-Calciopoli, una costante si impone: quando i risultati migliorano, i conti peggiorano. Dalla retrocessione imposta per via giudiziaria nel 2006, la gestione Blanc-Cobolli Gigli ha puntato sull’utile di bilancio: ha chiuso tre esercizi su quattro con il conto in attivo (in rosso solo nel 2008), ma ha penalizzato la gestione sportiva. Nessun trofeo, un secondo, un terzo ed un settimo posto in campionato, ottavi di finale ed una eliminazione ai gironi in Champions League. Nel 2011, la prima stagione completa da presidente di Andrea Agnelli, il decadimento tecnico scava un collasso nei conti, un debito da 92,155 milioni. È il peggior bilancio nella storia bianconera, che registra un fatturato di soli 172 milioni, perfino inferiore alla stagione della serie B. Inizia da qui il piano quinquennale di rinascita che passa per la presenza in Champions League e lo Juventus Stadium.

Impatto della retrocessione – In un solo anno, tra il 2006 e il 2007, i ricavi calano del 25%, da 251 a 186,6 milioni. Diminuiscono i ricavi da gare (7,744 milioni), anche per i 12.716 abbonamenti sottoscritti e la capienza ridotta dello Stadio Olimpico (25.442 spettatori, contro i 67.229 del Delle Alpi). La campagna acquisti frutta 38,5 milioni nel rapporto plus/minusvalenze e fa abbassare il monte stipendi, con una riduzione del capitale investito di 32,3 milioni. Nonostante la retrocessione, Sky continua a riconoscere alla Juve 80,2 milioni, solo 14 in meno di quanto pattuito per la serie A. L’impatto più pesante, comunque, arriva sul fronte commerciale. Tamoil, che aveva sottoscritto nel 2005 un contratto quinquennale da 102 milioni con un’opzione per rinnovare l’accordo fino al 2015 per altri 130 milioni, esercita la clausola di rescissione prevista in caso di retrocessione. Dal 1 luglio 2007, il Gruppo Fiat diventa official sponsor della Juve con un accordo da 33 milioni per tre anni: i bianconeri, dunque, passano da 24 a 11 milioni a stagione. Nike, invece, sponsor tecnico dei bianconeri dal 2003, ha scelto di restare ma di rinegoziare le condizioni al ribasso, con una riduzione concordata di circa 4,5 milioni per la stagione 2006-07 e di ulteriori 4,5 milioni spalmati nei successivi otto anni di contratto. Ragioni, queste, che convincono la società a convocare un’assemblea straordinaria nella primavera 2007 per approvare un aumento di capitale di 104,8 milioni.

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Il piano quinquennale – Il nuovo corso rilancia il brand e i risultati: arrivano tre scudetti, per il quarto manca solo la matematica certificazione dell’ovvio, due Supercoppe Italiane e la semifinale di Champions League. Rispetto al 2011, in tre anni il fatturato è quasi raddoppiato (315,8 milioni al 30 giugno 2014), così come i proventi dei diritti tv, nonostante il passaggio dalla contrattazione individuale alla cessione collettiva, con l’impennata dai 90 milioni del 2012 ai 163 del 2013, effetto della nuova asta per la serie A che ha fruttato 100 milioni, e della partecipazione alla Champions League, che garantisce alla Juve 50 milioni, nonostante l’uscita ai gironi, soprattutto grazie al market pool, il secondo più alto dietro il Paris Saint-Germain. E per il 2015, saranno quasi certamente superati i 170 milioni (70 solo grazie alla semifinale di Champions tra premi e market pool). Anche lo Juventus Stadium ha contribuito a dare una scossa al fatturato: dai 31 milioni di ricavi da gare del 2012 si è passati ai 41 del 2014, l’anno delle 19 vittorie su 19 in casa in campionato e dei 28 mila abbonamenti, con una stima di crescita ulteriore prevista per il 2015. I ricavi da sponsorizzazioni, rimasti sostanzialmente invariati nella gestione Blanc-Cobolli Gigli (dai 41,173 milioni del 2008 ai 43,271 del 2011), raggiungono i 57,2 milioni nel bilancio 2014 e sono destinati ad aumentare ancora nei prossimi esercizi. Da un lato, infatti, Fiat ha rinnovato fino al 2021 il contratto per la sponsorizzazione delle maglie, con un aumento da 13 a 17 milioni a stagione. E dal 2015, la Juventus lascerà Nike per passare, come sponsor tecnico, all’Adidas che porterà nelle casse della società 139,5 milioni in sei anni più bonus.

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Indebitamento – Tuttavia, il patrimonio netto della società si è ridotto di un terzo in tre anni, passando tra il 2012 e il 2014, dai 64,6 ai 42,6 milioni. Inoltre continua a salire, ed è questo un elemento da tenere sotto osservazione, l’indebitamento finanziario netto, che nel 2014 ha superato i 200 milioni (206, +45,7 rispetto al 2013, la metà dei quali verso le banche), determinato dalle spese per la campagna acquisti e dagli anticipi al comune e ai fornitori per il progetto di riqualificazione dell’area della Continassa in cui la Juve ha investito direttamente 50 milioni. Progetto che ripartirà, dopo la rottura con Beni Stabili, con un nuovo partner, la SGR Accademia, collegata alla Banca del Sempione di Lugano.

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Gli investimenti – La crescita del fatturato è lo specchio e la causa del miglioramento dei risultati sportivi. Ma tre scudetti consecutivi non si vincono senza spendere. Già alla vigilia del primo anno dell’era Conte, Agnelli individuava nel ritorno ad alto livello in Italia e in Europa il primo obiettivo del piano, richiedeva un secondo aumento di capitale da 120 milioni e prometteva “attraverso investimenti e disinvestimenti, in particolare destinati a completare il rinnovamento della prima squadra che, al netto delle dismissioni ipotizzate, ammontano complessivamente a circa Euro 145 milioni”. Una stima superata nei fatti già nel primo triennio. Tra il 2011 e il 2014, infatti, la Juve ha investito, in termini di impegno finanziario (acquisti al netto delle cessioni) più di tutti sul mercato: 84,5 milioni nel 2011-12, 45,6 nel 2012-13, 35,7 nel 2013-14. Parallelamente, cresce il monte ingaggi: le spese per il personale tesserato passano dai 137,1 milioni del 2012 ai 149 del 2013 ai 167,9 del 2014.

Deficit e Borsa – Milioni evidentemente ben spesi. Perché portano risultati di breve periodo sul campo, che producono effetti sui conti di medio-lungo periodo. Dai 95,4 milioni di deficit del 2011, in tre anni il club ha quasi azzerato le perdite: -48,7 milioni nel 2012, -15,9 nel 2013, -6,7 nell’ultimo bilancio approvato. La solidità economica della società, e la prima semifinale nell’Europa che conta dopo 12 anni, hanno spinto in alto anche il titolo in Borsa: +51,26% negli ultimi sei mesi, +35,95% solo nell’ultimo mese. E non può essere un caso se il valore massimo del titolo nel 2014 (0,3491 euro ad azione) si sia registrato alla vigilia della sfida con il Monaco per “sedersi con 10 euro al ristorante da 100”. Una vittoria che vale un tesoro. O almeno un tesoretto che basta per dimostrare che si può cambiare la storia, che si può unire l'utile al dilettevole. Anche senza vendere Pogba.

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