Milan, che succederà dopo il no dell’Uefa?
L'Uefa dirà no al Milan. Non si fida abbastanza del piano di voluntary agreement presentato dall'ad Fassone, che ieri aveva lasciato trapelare lo spirito della decisione ancora non ufficiale. “Ci hanno fatto il funerale, le richieste sono oggettivamente impossibili da accontentare, da parte non solo del Milan ma di qualsiasi club” ha detto. Non era facile, però, ottenere l'apertura di credito.
Cos'è il voluntary agreement
Diverso dal settlement agreement, il patteggiamento con le società sanzionate come nel caso dell'Inter e della Roma, il “voluntary agreement” è una novità introdotta dall'Uefa in materia di fair play finanziario, per le società fuori dai vincoli del FFP, dunque fuori dalle coppe europee, che hanno da poco cambiato proprietà. Il club, dunque, presenta un business plan pluriennale in cui delinea nei dettagli come intende riequilibrare la gestione economica e su questa base chiede una moratorie sulle eventuali sanzioni future.
Il Milan, la prima squadra a chiedere l'adesione al voluntary agreement, parte però da una base pesante, i 255 milioni di perdite nell'ultimo triennio. Lo stesso Fassone, al termine dell'assemblea dei soci per l’approvazione del bilancio al 30 giugno 2017, ha confermato l'aumento di capitale da 60 milioni e l'attesa di un passivo ancora pesante, tra 90 e 100 milioni, al 30 giugno 2018.
L'incertezza sul rifinanziamento
Tra le richieste dell'Uefa che il Milan non avrebbe potuto rispettare ci sarebbe il rifinanziamento del debito del fondo Elliott, che ha concesso un prestito di 180 milioni Yonghong Li, con un tasso dell'11.5% e 123 al Milan, al 7.5% che deve restituirli, insieme a quasi 50 di interessi entro ottobre 2018: altrimenti il fondo speculativo che ha in pegno le azioni e i beni del Milan, diventerà proprietario del club. e, in caso di insolvenza, diventerà proprietario della società rossonera. L’advisor BGB Weston ha individuato come partner la banca d’affari Highbridge Capital Management, che ha sede a Londra e a Hong Kong e una partnership strategica con la banca internazionale Jp Morgan. Oggi scadono le quattro settimane di due diligence, fra altre quattro scadrà l'esclusiva di 8 settimane per il piano che dovrebbe risanare sia cioè la holding lussemburghese Rossoneri Sport che fa capo a Yonghong Li, sia propriamente le casse del Milan. Il fondo Highbridge però continua a non dare il via libera al rifinanziamento.
E i dubbi su come ripagare il prestito rimangono. Il debito infatti vale una volta e mezza il fatturato (214 milioni nell'ultimo esercizio), e raddoppiarlo senza stadio di proprietà e gli introiti della Champions è missione praticamente impossibile.
I dubbi su Li
Sulla decisione pesano i dubbi sull'effettiva consistenza finanziaria del patrimonio di Yonghong Li, emersi anche dalla recente inchiesta del New York Times. Sui-Lee Wee, Ryan McMorrow e Tariq Panja hanno rivelato come “la più grande miniera di fosforo cinese”, principale asset di Li, “era a malapena conosciuta” nel settore minerario. E non sarebbe nemmeno di Li ma della Guangdong Lion Asset Management, una società che ha cambiato quattro proprietari negli ultimi due anni. Tra loro, Li Shangbing, rappresentante legale di Sino-Europe Asset Management, una delle scatole cinesi con cui Li ha acquistato il Milan.
Il brand Milan non è forte in Cina
Prima che emergessero queste incertezze, evidentemente rilevanti quando c'è da giudicare le possibilità di restituzione di un prestito, il Milan aveva già provato a ottenere l'apertura di credito dall'Uefa. A giugno, dopo il passaggio delle quote azionarie, Fassone aveva presentato un piano con oltre 200 milioni di ricavi annui dal mercato cinese nel 2021, una cifra decisamente fuori mercato, tanto da essere ridotti a 30-40 milioni nel 2018 secondo il nuovo piano. Anche questa cifra, però, appare quanto meno ottimistica.
Come ha spiegato su Ultimo Uomo Nicholas Gineprini, esperto che lavora nella cooperazione bilaterale fra Italia e Cina, il brand del Milan non è così conosciuto in Cina. “ conta solo 420mila follower su Sina Weibo, il cosiddetto Twitter cinese. Per intenderci, il Manchester United, primo in questa classifica, conta 8 milioni di fan” scrive. Non ha aperto academy o avviato partnership, come invece ha fatto l'Inter, e lo svantaggio della poca presenza del campionato italiano sulle tv cinesi (dieci volte inferiore rispetto alla Premier, cinque volte meno di Liga e Bundesliga) non aiuta.
Con la quotazione alla Borsa di Hong Kong lontana visto il forte passivo e una sola sponsorizzazione finora arrivata dalla Cina, con Alpen Water per 200 mila euro, la strada è decisamente in salita.
Che succederà?
In caso di partecipazione alle coppe l'anno prossimo, il Milan inevitabilmente subirà delle sanzioni. Per poter patteggiare come Inter e Roma dovrà garantire la continuità aziendale, in sostanza rifinanziare il prestito. Su questo punto, però, la decisione sarà presa più avanti, in primavera, e se ci saranno le garanzie il Milan potrà ottenere il settlement agreement verrà sottoscritto verso la fine della stagione. Le sanzioni possono prevedere una multa, la richiesta di equilibrare il saldo fra acquisti e cessioni, la restrizione nel numero di giocatori da inserire nella lista Uefa. Possibili anche chiusure al mercato in entrata.
Senza la qualificazione alla Champions, in ogni caso il primo obiettivo per ridurre le perdite è contenere il costo della rosa, salito del 60% rispetto ai 70 milioni del 2016. Sarebbe inevitabile almeno una cessione importante. A rischio potrebbero essere Donnarumma e Bonucci, il più pagato della rosa (quasi 14 milioni lordi), Biglia e Kalinic, gli unici che costano alla società più di cinque milioni a stagione. L'incertezza finanziaria, comunque, se prolungata nel tempo renderebbe più incerta la presenza di tutti i big.