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Mezzo secolo fa finiva l’era della Grande Ungheria

L’Ungheria si è qualificata a sorpresa per l’Europeo. Per il Calcio fa bene alle Ossa vi raccontiamo la storia della Squadra d’Oro, che per un lustro ha illuminato il mondo. Fino al 22 novembre 1956, quando l’Honved perde a Bilbao: Kocsis, Czibor e Puskas disertano per evitare l’arresto.
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C'è una luce diversa a Signa il pomeriggio del 23 gennaio 1958. La piccola squadra toscana di dilettanti sta per scendere in campo contro gli Allievi dell'Empoli. E ha un jolly non da poco, Ferenc Puskas. Sta per andare al Real Madrid, ma il presidente del Signa, che ha cercato di trattare il suo trasferimento alla Fiorentina, che nel 1956 vinceva il suo primo scudetto, ha strappato almeno questo regalo. Finirà con i complimenti di Puskas a Luciano Cortinoni, il portiere che riesce a non farlo segnare. È passato un anno e mezzo dal 22 novembre 1956, dalla sconfitta a Bilbao, in Coppa dei Campioni, dell'Honved, il serbatoio della Grande Ungheria. Mentre la nazione si sfalda sotto i carri armati sovietici, si sfalda il sogno dell'Aranycsapat, la Squadra d'Oro che in poco più di un lustro ha cambiato la storia del calcio.

Il calcio socialista – Guzstav Sebes, per i suoi giocatori “Guszhi Bacsi” (“Zio Guszhi”), da viceministro dello sport ha rivoluzionato il calcio in Ungheria dopo il trionfo alle elezioni di Mátyás Rákosi, che ama proclamarsi “miglior discepolo” di Stalin. Lo sport, la Fitzcult, la cultura fisica, è lo strumento per la costruzione dell'identità nazionale. Così l’MTK Budapest, probabilmente la miglior squadra ungherese del periodo, diventa Vores Lobogo (Bandiera Rossa) e passa sotto il controllo della polizia politica. Il Ferencvaros, squadra prestigiosa con una tifoseria nazionalista, diventa la squadra del sindacato dei lavoratori alimentari. L'esercito sceglie il Kispest, dove giocano Puskas e Bozsik, che diventa Honved, la squadra dei “difensori della patria” (come il CSKA). Nel 1949 Sebes, che è stato anche delegato sindacale in Francia, viene scelto come allenatore della nazionale. È un marxista puro, il calcio per lui è scienza, applicazione, disciplina. Eppure, con almeno vent'anni di anticipo, applica quello che conosceremo come calcio totale. È il suo “calcio socialista”: si attacca tutti, si difende tutti. La sua principale invenzione tattica, però, è soprattutto il risultato del contesto politico, già frammentato, e delle divisioni nella squadra.

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Gli assenti – Già si vedono le fratture che porteranno al tentativo di rivolta degli studenti nel '56 e alla violentissima repressione dell'Armata Rossa, preludio a uno dei più drammatici congressi del PCUS e all'avvio della destalinizzazione. In Nazionale c'è qualche fedelissimo del Partito, su tutti il portiere Gyula Grosics, e una maggioranza silenziosa che non la condivide in pieno ma si limita a mantenere un'accettazione esteriore (come Puskas e Kocsis). Non mancano i dissidenti, e molti vengono a giocare in Italia, come Istvan Nyers, ala dell'Inter da 133 gol in 182 partite in Serie A. Le convinzioni politiche, però, tolgono alla Squadra d'Oro soprattutto due centravanti straordinari: Ferenc “Bamba” Deak, 29 reti in 20 partite in Nazionale, prima dell'addio nel 1948, stella non allineata in grado di stampare 57 gol in una sola stagione al Ferencvaros, e Laszlo Kubala, considerato anche migliore di Puskas. A Sebes resta un unico centrattacco, Peter Palotas, il primo ad aver segnato una tripletta in Coppa dei Campioni, che però non vale certo Deak. E ha problemi di abbondanza per il ruolo di mezzala destra: non è facile scegliere fra Kocsis e Hidegkuti. Meglio non scegliere e schierare una mezzala in avanti. Hidegkuti si prende la maglia numero 9: è nato il “falso nove”, mezzo secolo prima che diventasse di moda con Guardiola e i suoi eredi.

I primi trionfi – Il 14 maggio 1950 si scontrano le due nazionali guida della scuola danubiana. È una bella partita, ma nessuno ne intuisce ancora la portata a suo modo storica. L'Austria di Happel, futuro ct dell'Olanda (che da allenatore sarà il primo in Europa a vincere il titolo in quattro nazioni e la Coppa dei Campioni con due squadre diverse) vince 5-3: l'Aranycsapat non perderà più fino alla finale del Mondiale 1954, fino al Miracolo di Berna. In mezzo, 28 vittorie in 31 partite. La Squadra d'Oro si rivela al mondo nella finale olimpica del 1952. Non è una partita come le altre, di fronte c'è la Jugoslavia. “Una sconfitta non sarà tollerata”, fanno sapere dal Partito: darebbe troppo lustro a Tito, il primo leader comunista che ha sfidato l'autorità di Stalin. Ma l'Ungheria domina e vince 2-0, segnano Puskas che dribbla mezza squadra e Czibor su punizione. In cinque partite, la Squadra d'Oro segna 20 gol e ne prende due. Un anno dopo, l'Italia sceglie proprio i magiari come avversari per l'amichevole che inaugura lo Stadio Olimpico di Roma. È un'altra lezione di calcio: gol di Hidegkuti e doppietta di Puskas. Poi, è il momento degli inglesi. Gli inventori del football, che hanno interrotto l'aristocratico distacco dal resto del mondo nel 1950, risvegliati dai dilettanti degli Stati Uniti, scelgono di sfidare l'Ungheria. È il capitalismo contro il socialismo, è la rivincita di Sebes, che invita i Tre Leoni a scegliere luogo e giorno della sfida. Si gioca il 25 novembre 1953, l'unico teatro possibile è Wembley.

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La sfida – Per prepararsi al match, Sebes passa mezza giornata a Wembley. Si porta a casa tre palloni e riproduce in Ungheria le esatte dimensioni e le condizioni del terreno di gioco. L'Inghilterra, che ha perso per la prima volta contro un avversario “del Continente” nel 1929, battuti dalla Spagna, conta su un difensore da leggenda come Billy Wright, “The Ironbridge Rocket”, 90 volte capitano in Nazionale, 105 partite con i Tre Leoni, 451 in Premier Division con i Wolverhampton Wanderers senza mai essere ammonito o espulso. Al centro dell'attacco c'è sempre Stan Mortensen, celebre per quello che in Italia da quell'amichevole del 1949 sarà chiamato “il gol alla Mortensen”, l'esterno destro dalla linea di fondo. E all'ala destra splende Sir Stanley Matthews, “l’uomo che ha insegnato a tutti i noi come si gioca a calcio” per dirla con Pelè. L'allenatore inglese, Peter Winterbottom, era in panchina anche al Mondiale del 1950. Aveva provato a introdurre una nuova routine, a dare precise istruzioni tattiche prima delle partite. Ma le stelle si erano ribellate: i giocatori dovevano essere lasciati liberi in campo di fare quello che pensavano sarebbe stato meglio. Così, lo stopper Harry Johnston sente di dover rimanere bloccato dietro e non mettersi a inseguire Hidegkuti. L'Ungheria ringrazia e vince 6-3, un risultato che non rispecchia la superiorità magiara, espressa certamente meglio nel 7-1 del rematch a Budapest l'anno successivo. Le due sconfitte cambiano il calcio inglese: Peter Doherty, tecnico del Doncaster, assegna ai suoi giocatori numeri che non corrispondono al ruolo per confondere gli avversari, e Don Revie, futuro allenatore del Leeds e epico rivale di Brian Clough, interpreta “alla Hidegkuti” il suo ruolo di centravanti al Manchester City e sarà eletto giocatore dell'anno nel 1954-55. Cambia soprattutto la percezione di Alf Ramsey, terzino destro inglese il giorno della disfatta di Wembley. Quando sarà chiamato alla guida della Nazionale, sceglierà una formazione non tanto diversa dallo stile della Squadra d'Oro e vincerà il Mondiale.

La fine – Il Mondiale resta invece l'unico alloro che manca alla Squadra d'Oro. In Svizzera, dopo il 4-2 ai quarti al Brasile, scoppia un caso diplomatico. Non bastano, in campo, le espulsioni di Bozsik e Djalma Santos e la caccia all'uomo contro Kocsis. Al fischio finale, scoppia una rissa, scatenata da un fotografo brasiliano: Puskas spacca una bottiglia sulla testa del difensore Pinheira e Sebes viene ferito ad una guancia. Il resto è storia. È il Miracolo di Berna, è la stretta di mano fra il fradicio Puskas e Fritz Walter, è la corsa a prendersi le colpe per quella rimonta subita in modo così incredibile: Sebes per aver schierato Puskas non al meglio, Kocsis per i gol sbagliati, Bozsik per il rinvio troppo lezioso che ha permesso a Rahn la rete decisiva. Il partito trattiene i giocatori, una volta in patria, in un edificio governativo, mentre in piazza le proteste per la delusione sportiva si trasformano in tumulti, in manifestazioni di insofferenza contro il regime. È finito un ciclo. Le altre 18 partite, senza sconfitte, non sono che un'appendice, l'orchestra che suona mentre la barca affonda. Mentre l'Honved gioca a Bilbao, nel novembre del 1956, l'Armata Rossa entra a Budapest. Viene emesso un mandato di cattura per Kocsis, Czibor e Puskas che in piena facoltà decidono di disertare. Si incamminano per le strade di Spagna e chiudono la porta su una stagione morta.

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