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Livorno, il saluto romano allo stadio non è reato

Il giudice di Livorno ha assolto perché il fatto non costituisce reato quattro ultrà del Verona che nel dicembre 2011, durante la partita di serie B in casa del Livorno, si resero protagonisti del saluto romano considerato esclusivamente una forma di “provocazione”
A cura di Marco Beltrami
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Il giudice del Tribunale di Livorno pochi giorni fa ha assolto 4 ultrà del Verona che si sono resi protagonisti del saluto romano durante la sfida tra Livorno e Verona valida per il campionato di Serie B. Nel dicembre 2011 allo stadio Picchi, un gruppo di supporters gialloblu venne colto dalle telecamere mentre salutava la tifoseria avversaria, con il tipico saluto utilizzato dal regime fascista italiano e dal regime nazista tedesco nella prima metà del Novecento. Secondo le motivazioni della sentenza, il tutto sarebbe riconducibile ad una forma di provocazione nei confronti dei tifosi dell'altra compagine e dunque non reato. Gli stadi dunque non sarebbero luoghi deputati alla propaganda politica, motivo per cui un gesto, non può mettere a repentaglio la democrazia e la stessa Costituzione italiana. Un "peccato veniale" dunque che non rappresenta un pericolo legato alla diffusione di idee discriminatorie e violente che possano spianare la strada alla ricostituzione del partito fascista.

Tanti i precedenti nel calcio italiano. L'ultimo è quello del bomber dell'Ascoli Leonardo Perez che dopo una rete alla Spal ha esultato sotto la curva con il tipico gesto che richiama al fascismo e che ha sollevato molte polemiche. Eclatante anche il saluto romano del greco Giorgios Katidis, centrocampista 20enne dell'Aek Atene che dopo il gol che ha regalato alla sua squadra il titolo si è reso protagonista del discusso gesto provocando la reazione durissima della Federcalcio greca che lo ha escluso a vita da ogni Nazionale. Il caso sicuramente più famoso è quello di Paolo Di Canio che sollevò non poche polemiche diverse stagioni fa, motivando così il suo saluto romano alla curva: "Ho espresso i miei sentimenti. Sono fascista, non razzista. Con il braccio teso verso la mia gente, da un camerata ai suoi camerati, non volevo incentivare alla violenza ne discriminare nessuno. Si, è vero, ho tatuato sul braccio la parola “Dux”, ma molta gente non intende bene il significato di fascismo. I suoi principi sono etici e individuali". E quando l'attaccante tornò in Inghilterra per un'esperienza sulla panchina del Sunderland, una parte della tifoseria si schierò pubblicamente contro Di Canio proprio per la sua fede politica chiedendone la rimozione dall'incarico.

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