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L’Inter Campione del Mondo si ritrova una squadra da Serie B: lo dicono i numeri

In un campionato dove non c’è un padrone, c’è già una certezza: l’Inter dovrà affrontare una stagione lottando per limitare i danni sia in Serie A che in Champions, in una situazione compromessa da un inizio pessimo e che non trova soluzioni adeguate.
A cura di Alessio Pediglieri
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inter-crollo

Che ci sia un problema Inter è evidente ed è inutile sottolinearlo. Forse, è più utile provare a capire il perchè di un crollo così verticale, di una reale mancanza di soluzioni e un ambiente che appare già rassegnato a fine ottobre nel dover sopportare una stagione che sarà un infinito calvario tra Europa e campionato dove non si sarà mai protagonisti. Il tutto condito da un "sospetto" che qualcosa stia girando contro i colori nerazzurri e che ritorna ciclicamente ad ogni errore arbitrale. Eppure, proprio nel cercare i sintomi della malattia all'esterno potrebbe creare più di un comodo alibi ad un gruppo (inteso come giocatori e società) che ha colpe ben precise.

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I numeri impietosi, non mentono

I numeri sono impietosi e i numeri difficilmente mentono, andando oltre ipotesi di complotto, facili scusanti del momento, soluzioni e spiegazioni di giornata. Mai negli ultimi trent'anni l'Inter si è ritrovata così in basso ad inizio di una stagione. Mai lo ha fatto da quando la vittoria vale tre punti e il campionato è a 20 squadre. Oggi, dopo la sconfitta di Catania, invece è così. Spazio alle cifre. Dopo due partite interne, anche se delicate non proprio dei big-match da finale di Champions (contro Roma e Napoli) l'attacco nerazzurro non ha segnato alcun gol. Nessun'altra squadra di serie A ha fatto peggio: anche il Bologna e il Lecce – che vantano i peggiori attacchi del campionato – hanno segnato almeno una rete. In sei turni giocati l'Inter ha subito 13 reti ed è la peggiore difesa della Serie A (contro le 12 del Novara e le 11 del Parma): l'anno passato di questi tempi (e sulla panchina c'era Benitez, non Mourinho) aveva preso solamente tre gol. L'attacco non ha un cannoniere di riferimento malgrado possa contare sui vari Pazzini, Milito, Forlan e Zarate: il ‘Principe‘ viaggia a quota tre gol (frutto soprattutto della giornata di grazia nella sconfitta di Palermo dove ha siglato una doppietta), poi c'è Cambiasso (a quota 2), dietro il vuoto: l'anno scorso, dopo sei giornate, Samuel Eto'o aveva bucato le porte avversarie già 5 volte. Solo due giocatori (Cambiasso e Zanetti) sono sempre scesi in campo mentre tutti gli altri dopo sei turni giocati non superano la soglia dei 500 minuti, figli delle scelte differenti tra Gasperini e Ranieri e degli infortuni: fatto sta che un "undici" titolare uguale due volte di seguito in campo non si è ancora visto.

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La carta d'identità dimenticata dai dirigenti nerazzurri e i giovani ‘epurati'

Sull'età non si può mentire, la carta d'identità è implacabile e quelle dei giocatori dell'Inter è altissima, con una rosa ricca di ultra trentenni e molti giocatori che sono nati tra gli anni '70 e '80. Il ricambio generazionale non c'è stato, eppure il tempo e le occasioni ci sono state. Già nel 2009-2010 si parlava di un gruppo avanti con l'età, fatto di giocatori che stavano toccando l'apice sportivo, la vetta agonistica poi avvalorata dal perfetto lavoro psico-fisico ottenuto da Josè Mourinho, uno che storicamente dove passa e se ne va lascia il deserto. Così è stato anche per l'Inter: mentre ci si godevano gli scudetti consecutivi, le Coppe Italia contro la Roma, il Triplete del 2010 c'era chi avrebbe dovuto e potuto lavorare dietro le quinte con calma per andare a caccia di talenti giovani e da coltivare senza i riflettori puntati ed invece nulla è stato. Colpa di Moratti? Sì, per non aver preteso da Branca e dal gruppo degli osservatori delle risposte a suo tempo con acquisti sì poco costosi, ma anche mirati nel tempo. E non si può nemmeno dire che l'Inter non abbia avuto le sue occasioni con i vari Santon, Balotelli, Acquafresca, Destro, Viviano tutti calciatori under30 che avrebbero potuto ‘crescere‘ all'ombra del Triplete e che invece, pian piano sono stati ‘epurati‘ o mai ‘valutati‘ ed oggi giocano e fanno le fortune di altre squadre. Qualcosa di buono si è fatto, senza dubbio, con gli arrivi di Coutinho, Ranocchia e Nagatomo ma i buoi erano già quasi tutti scappati dal recinto. E viene il sospetto che con allenatori di polso e mezzi manager (leggasi Mancini e Mourinho), il mercato avesse direttive precise mentre con chi lasciava fare e pensava semplicemente al proprio mestiere di tecnico (Benitez, Leonardo, Gasperini) si siano fatti più danni che altro.

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Il mercato che non c'è e la scelta da fare: Europa o campionato

Un mercato che, purtroppo per l'Inter, è una ferita aperta: venduto Samuel Eto'o all'Anzhi per far quadrare i bilanci, è saltata però la squadra. Dietro al camerunese, nessuno: Alvarez, Zarate, Castaignos, Forlan. In quattro non fanno nemmeno metà del campione oggi all'Anzhi e l'idea di un possibile ritorno di Eto'o all'Inter per una  manciata di mesi per riportare i nerazzurri in "zona ossigeno", non fa che accentuare la pochezza di quello che ha in mano Claudio Ranieri: giocatori fisicamente fuori fase, psicologicamente sconcertati e sconcertanti cui da oggi fa anche paura una classifica da retrocessione. Nel 1993, con l'allora presidente Pellegrini, l'Inter in grave difficoltà ebbe il coraggio e la forza di fare una scelta: rinunciare al campionato e puntare tutto sull'Europa. Era febbraio e sulla panchina arrivò ‘Pinna‘ Giampiero Marini. Alla fine della stagione, l'Inter si salvò alla penultima giornata ma vinse la Coppa Uefa contro il Salisburgo. Oggi si è a ottobre ma i problemi sono gli stessi e bisogna avere il coraggio di fare una scelta: puntare forte sulla Champions e giocarsi il campionato di domenica in domenica o scegliere la Serie A, utilizzando il palcoscenico europeo come un appuntamento da onorare e nulla più. La seconda ipotesi sarebbe la più plausibile perchè – a conti fatti – sarebbe più devastante trovarsi fuori dalla Zona Champions a fine stagione che vantarsi di aver disputato comunque un buon torneo quest'anno.

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Il complotto, ultimo alibi di Moratti

Per ultimo – appositamente – abbiamo tenuto la "sindrome di accerchiamento" che veleggia sopra Appiano Gentile e che appare forse più come alibi che come causa di una situazione critica. Massimo Moratti a più riprese ha tirato fuori il lunedi successivo ad una sconfitta nerazzurra, il dubbio di errori arbitrali figli di una strana voglia di far pagare all'Inter il periodo aureo sulla sponda di Calciopoli. In parole povere, la tesi è questa: all'Inter è stato dato uno scudetto a tavolino, all'Inter è stato permesso di vincere per sei anni senza reali avversari, condannati da Calciopoli; però, oggi, si è evinto che anche l'Inter aveva commesso gli illeciti per cui altre sono state punite e quindi – laddove non arriva la giustizia sportiva – ci pensa quella del campo. Macchiavellico, troppo. Anche per chi vorrebbe davvero male ai nerazzurri. E pensare a questo è ancora più deleterio di quanto espresso – finalmente – dallo stesso Moratti: "Vietato guardare la classifica, questo gruppo ha in sè la forza e la qualità per uscire da questa situazione". Meglio tardi che mai si potrebbe dire, ma oggi sembra essere già tardi. Adesso si teme l'effetto domino: l'Inter deve affrontare almeno altre quattro partite di Champions League (due con il Lille, e una rispettivamente contro il Trabzonspor e il CSKA). Quattro gare in cui la brutta figura è sempre dietro l'angolo, già da domani sera visto che storicamente i nerazzurri non sanno reggere psicologicamente l'urto di gare delicate nei momenti difficili. Lo è – ultima in ordine di tempo – dimostrazione la vergognosa eliminazione contro lo Schalke04 lo scorso anno, arrivata dopo l'imbarazzante trasferta a Brema. E il primo test lo si avrà fra poco più di 24 ore.

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