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L’addio di Gerrard a Liverpool: come è nata una leggenda

Steven Gerrard dirà addio al Liverpool e partirà per New York. Per “Il calcio fa bene alle ossa” riscopriamo le origini del capitano amletico dei Reds, dell’idolo della Kop, di una delle ultime bandiere del calcio moderno.
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Se ne andrà lontano, ma non camminerà mai solo. Simbolo di Liverpool come e più dei Beatles, Steven Gerrard saluterà la Kop per l’ultima volta, contro il Crystal Palace. L’amleto Red, il capitano che ha legato la sua storia a Anfield, se ne andrà in America, a New York.

Icona – I tifosi della storica curva che ha cambiato il modo di vivere il calcio quando ha trasformato un successo degli anni Sessanta, You’ll never walk alone, in un manifesto di passione e identità, diranno addio all’icona moderna della città dei Beatles, al più grande giocatore nella storia dei Reds con Kenny Dalglish. È un passaggio di tempo che marca un’epoca, tra il moderno in cui ancora c’è spazio, purché marginale, per i calciatori-bandiera, e il futuro che è già presente degli sponsor e delle agenzie di intermediazione.

Il debutto – La Kop l’ha ignorato un solo giorno, il 29 novembre 1998. è ancora un diciottenne dall’aspetto quasi gracile, che entra a partita praticamente già vinta contro il Blackburn Rovers per Vegard Heggem. È una stagione opaca, i Reds hanno appena perso in casa dal Derby County e sono stati eliminati in Coppa di Lega dal Tottenham. I giorni degli Spice Boys, di David James, Jason McAteer, Jamie Redknapp and Steve McManaman sono praticamente finiti. Ma sta iniziando una nuova era. Stanno arrivando due ragazzi della Liverpool School of Excellence, Gerrard e Michael Owen, votato Personaggio under 18 dell’anno dalla BBC. “Sapevamo da quando avevano 14 anni che ce l’avrebbero fatta” ha raccontato Heighway. “A quell’età li abbiamo portati in Spagna per un tour di amichevoli con la squadra under 18, e non l’avevamo mai fatto prima. E i loro genitori sapevano che io sapevo che i figli erano speciali. A volte, conviene non dirlo ai padri e alle madri per non influenzare il loro comportamento. Ma non c’erano rischi con loro due”.

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Capitano insicuro – È un campione insicuro e pensieroso, Gerrard, l'unico ad aver segnato in finale in FA Cup, Coppa di Lega, Europa League e Champions League. Una carriera che si muove dal senso di insicurezza e di rivalsa del bambino Steven. Una carriera che avrebbe potuto non iniziare, perché a otto anni si è infilzato l’alluce in un forcone arrugginito: la prima diagnosi parlava di amputazione, ma il dito è sopravvissuto. È il primo momento Sliding Doors della sua vita. Sono anni in cui gioca infinite partite nel complesso noto come “Huyton’s Bluebell Estate”, a est di Liverpool, con il cugino Jon-Paul Gilhooley: lui gioca con la maglia dei Reds, Steve con la replica di quella dell’Inghilterra di Paul Gascoigne. C’è anche Jon-Paul a Sheffield, il 15 aprile 1989, per la semifinale di Coppa di Lega a Sheffield. Non tornerà più a casa: è la più giovane delle 96 vittime della tragedia di Hillsborough.

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Senso di rivalsa – A 14 anni, viene scartato dall’accademia Lilleshall della Football Association, dove invece entra Jamie Carragher, suo grande amico e compagno di squadra decisamente più estroverso di Gerrard. È una catarsi per il futuro capitano del Liverpool. Sette mesi dopo, una formazione della Lilleshall affronta la squadra della Liverpool Academy. E Gerrard, dirà, fa letteralmente a pezzi il loro centrocampo. “In ogni tackle c’era la frustrazione per essere stato ignorato”. L’incertezza per quel rifiuto se la porta dietro sempre. La prima convocazione in nazionale lo rende così nervoso che quasi distrugge la Honda che gli ha prestato il padre. E prima della finale di Champions League del 2005, in cui giocherà una delle migliori partite della sua esperienza in Red, è lui a tenere il discorso motivazionale.

Non è il discorso del condottiero che trascina, non è il gladiatore che si rialza le maniche come Valentino Mazzola al Filadelfia, non chiede di scatenare l’inferno al suo segnale, non è Obdulio Varela che invita gli uruguagi a non guardare il Maracana perché la “finale” del Mondiale 1950 si decide solo sul campo. È un capitano che pensa sì ai suoi tifosi, e ha una sola preoccupazione, non vuole deluderli. “Guardateli, vedete quanto questa partita sia importante per loro. Non deludeteli. Non avete idea di come reagiranno se vinciamo. Diventerete degli eroi per il resto della vostra vita. Fate sì che ogni tackle, ogni scatto, ogni tiro conti. Altrimenti lo rimpiangerete per il resto della vostra vita”.

"Non voglio che te ne vai" – Eppure, quei tifosi hanno temuto di vederlo andare via l’estate prima, al termine di una stagione fallimentare con il Liverpool finito a 30 punti dall’Arsenal degli Invincibili. Si fanno sempre più insistenti le voci di un suo passaggio al Chelsea del neo-presidente Roman Abramovich. E certo non aiutano l’emissario speciale del Manchester United che bussano alla sua porta nel ritiro della nazionale per gli Europei a Lisbona. “Vieni con noi all’Old Trafford” gli chiede Gary Neville. Ma Gerrard, che a 20 anni ha segnato un gol splendido e fondamentale che ha permesso al Liverpool di battere due volte su due i Red Devils nella stessa stagione per la prima volta in 22 anni, traccheggia e alla fine rifiuta. Ha sempre negato, però, che papà Paul avesse ricevuto minacce di morte.

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Di sicuro, è Paul a convincerlo. “Non vai da nessuna parte” gli dice, “non voglio che tu vada”. Hanno temuto di vederlo andar via anche dopo la trionfale rimonta sul Milan, in quello che probabilmente rimane la più grande impresa di Rafa Benitez. La società inizia a giocare al gatto col topo nelle trattative per il rinnovo del contratto, Gerrard tenta di forzare la mano e presenta richiesta di trasferimento, ma ancora una volta è lui che soffre per quella decisione. Vede in tv un gruppo di tifosi che brucia le repliche della sua maglia e cade in uno stato di angoscia, di malessere fisico talmente forte da convincerlo a restare.

Addio – Ora lo vedranno andar via davvero. Ma il bambino che a 9 anni era sulla Kop per applaudire il giro d’onore degli eroi che hanno conquistato il titolo, diventato simbolo e icona di una squadra che è un modo di essere, non li ha traditi. Non giocherà per nessun altro in Inghilterra. E non camminerà mai solo.

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