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Brasile 2014, verso il Mondiale: Gerrard, il capitano ansioso di un’Inghilterra insicura

Steven Gerrard non è mai stato un generale. Ogni volta che tocca palla, Gerrard vuole che qualcosa accada: è così che nascono i suoi grandi gol, ma anche la scivolata contro il Chelsea. È il simbolo dell’Inghilterra che ai Mondiali ha una storia di grandi attese e sistematiche disillusioni.
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Steven Gerrard non è mai stato un generale. È un introverso, un insicuro, il simbolo di una squadra perseguitata dall'ansia per il suo declino. L'ansia è stata la sua compagna di viaggio. Poteva leggerla negli occhi dei tifosi della Kop che l'hanno visto debuttare, quando era ancora un 18enne gracilino, entrando nei minuti finali contro il Blackburn. I tifosi quasi lo ignorano anche qualche settimana dopo, quando esordisce dal primo minuto a White Hart Lane contro il Tottenham. Gioca all'ala destra, e deve fronteggiare David Ginola, che sarebbe stato premiato come il miglior giocatore della stagione a fine anno. È un incubo per Gerrard, che dedica due pagine nella sua autobiografia al senso di paura, di impotenza, di rabbia e di vergogna che ha provato in quei 90 minuti. Un anno dopo, segna il suo primo gol con la maglia dei Reds, contro lo Sheffield Wednesday a Anfield. È un gran gol: parte a tutta velocità da centrocampo, scambia con un paio di compagni, salta l'ultimo difensore con una finta elegante e infila con un rasoterra potente. Nella sua autobiografia, a questo episodio che illumina il suo potenziale dedica appena una riga.

Una visione antica – Gerrard non è uno di quei capitani che conquistano lo spogliatoio, che motivano i compagni. Prima della finale di Champions del 2005 a Istanbul, la sua unica preoccupazione è di non deludere i tifosi: “Guardateli, vedete quanto questa partita sia importante per loro. Non deludeteli. Non avete idea di come reagiranno se vinciamo. Diventerete degli eroi per il resto della vostra vita. Fate sì che ogni tackle, ogni scatto, ogni tiro conti. Altrimenti lo rimpiangerete per il resto della vostra vita”. Dopo il trionfo, il club traccheggia per rinnovargli il contratto, e Gerrard chiede di essere messo in lista trasferimenti per forzare i tempi. Ma la mossa si ritorce contro di lui: vede i tifosi che bruciano le repliche della sua maglia, e si chiude in camera in uno stato di angoscia che solo i farmaci possono curare. La reazione dei tifosi è insostenibile per un'anima complessa, per chi ha visto il cugino Jon-Paul Gilhooley, di 10 anni, con cui ha giocato interminabili partitelle di pallone, morire a Hillsborough (è la più giovane vittima del disastro), per chi ha una visione antica del calcio e non avrebbe mai il coraggio di lasciare la sua città e la sua squadra.

Insicurezza e ansia – La memorabile rimonta del secondo tempo è il capolavoro di Rafa Benitez, costantemente attaccato perché schierava Gerrard “fuori posizione”. In realtà, lo spagnolo è stato il primo a capire che il capitano non è un orchestratore di gioco, che in quel ruolo era più adatto qualcuno come Xabi Alonso. Perché il regista basso ha bisogno di un approccio emotivamente più variegato e complesso, mentre Gerrard ha una visione antica e romantica, vive ogni tackle, ogni scatto, ogni passaggio, ogni tiro, come la cosa più importante del mondo. L'insicurezza, l'ansia che si porta dietro da piccolo, da quando è stato scartato dalla prestigiosa accademia Lilleshall (che umilierà la prima volta che affronterà la loro squadra con la Liverpool Academy), lo porta a non avere pazienza. Ogni volta che tocca palla, Gerrard vuole che qualcosa accada. Questa battaglia con l'ansia l'ha reso il grande giocatore che è, che l'ha portato a segnare 183 gol per la sua squadra e la nazionale, più di Giggs (181), Scholes (169) o Beckham (146), che l'ha reso l'unico ad aver segnato in finale in FA Cup, Coppa di Lega, Europa League e Champions League, che l'ha portato a vincere più riconoscimenti di Giocatore dell'Anno di tutti i Fergie Fledglings, la leva calcistica della classe '92 del Manchester United, messi insieme. È la stessa battaglia, però, che l'ha portato a scivolare e regalare il pallone a Demba Ba ad Anfield, regalando la vittoria al Chelsea e togliendo ai suoi un bel pezzo di scudetto. L'ansia l'ha accompagnato anche in nazionale. Il giorno della sua prima convocazione, per poco non distruggeva la Honda che il padre gli aveva prestato per l'occasione. A Euro 2000 sentiva talmente la mancanza di casa che era quasi convinto a fare le valigie e tornare a Liverpool. In Brasile, Gerrard sarà il capitano perfetto di una nazionale che ai Mondiali ha una storia circolare, fatta di grandi attese e sistematiche disillusioni. Un percorso che Simon Kuper e Stefan Szymanski hanno descritto in Soccernomics come un processo in otto fasi.

Fase 1: vinceremo – Nel 1966 Alf Ramsey, l'unico allenatore a portare l'Inghilterra al titolo mondiale, aveva predetto la vittoria. Ma non ha particolari doti divinatorie. Praticamente in ogni edizione dei Mondiali, prima dell'inizio il ct dei Tre Leoni dichiara che l'Inghilterra vincerà. “Tutti pensano che l'Inghilterra abbia il diritto divino di vincere i Mondiali” diceva Haynes nel 1958. Ancora oggi, sono in tanti che la pensano come lui, convinti che gli inventori del calcio dovrebbero essere i migliori.

Fase 2: i nemici di guerra – In cinque degli ultimi otto mondiali (1982, 1986, 1990, 1998, 2010) l'Inghilterra è stata eliminata dalla Germania o dall'Argentina, che ha riscattato con Maradona, tra la grande bellezza e la grande truffa, la sconfitta alle Falkland. Anche il primo shock, contro gli Usa (altro nemico di guerra, in ogni caso) nel 1950, matura per mano di un haitiano di origine tedesca, Joe Gatjens, che al 37′ arriva di testa in tuffo sul cross di Bahr e anticipa il portiere Bert Williams, pronto a un facile intervento. Gaetjens, spesso identificato erroneamente come belga, era il bisnipote dell'inviato del re di Prussia ad Haiti. Il nonno, Joe, ha sposato Leonie Dejoie, figlia di un generale che aveva avuto un ruolo nell'autodeterminazione dell'isola. Gaetjens, uno degli ultimi aggregati alla nazionale, aveva vinto due campionati a Haiti con L'Etoile Haitienne nel 1942 e nel 1944, ma il calcio non pagava le bollette, per cui si trasferisce negli Usa per studiare economia alla Columbia. L'Inghilterra, che si era rifiutata di partecipare alle prime edizioni, paga ancora la sua superbia: Stanley Matthews, considerato all'epoca uno dei migliori giocatori del mondo, viene tenuto in panchina, e i giornali inglesi escono il giorno dopo con titoli trionfalistici, “l'Inghilterra ha vinto 10-0”, convinti che nel lancio della Reuters il risultato fosse sbagliato. Gaetjens, che nelle elezioni del 1957 ha sostenuto Louis Dejoje contro Francois Duvalier, viene arrestato e fucilato il 10 luglio 1964, tre giorni dopo che “Papa Doc” si era proclamato presidente a vita.

Fase 3: un caso isolato di sfortuna – “La palla è rimbalzata sulla testa di Gaetjens e ha sorpreso il portiere” scrisse il capitano inglese Billy Wright. Vent'anni dopo, nel 1970, la sfortuna colpisce il portiere Gordon Banks, che passa la mattina della partita con la Germania in bagno con forti problemi allo stomaco: il suo sostituto, Peter Bonetti, lascia passare tre tiri non proprio irresistibili. Tre anni dopo, la sfortuna assume le sembianze di Jan Tomaszewski, il portiere polacco che Brian Clough, fresco di scudetto, semifinale di Coppa Campioni con la Juve, e dimissioni polemiche dal Derby County, lo definisce su ITV “un clown che usa i pugni quando potrebbe bloccare i palloni”. Dopo pochi minuti, Clarke gli procura microfratture alla mano sinistra, ma “il clown” para l'impossibile a Wembley e l'Inghilterra manca la qualificazione ai Mondiali di Germania, dove la Polonia arriverà terza. "Ha sbatacchiato le sue braccia,le sue ginocchia e compagnia cantante per tutta l’area di rigore come una flaccida marionetta a fili,il tutto quasi con canzonatura,con un sorrisetto di stupore da far pensare che fosse la sua prima partita” scriverà Frank Keating sul Guardian. I rigori condannano gli inglesi a Italia '90 e Francia '98, l'errore di Seaman sulla punizione di Ronaldinho costa l'eliminazione in Giappone e Corea, e chissà che sarebbe successo se Cristiano Ronaldo non fosse intervenuto a protestare dopo la pedata di Rooney a Ricardo Carvalho nel quarto contro il Portogallo del 2006.

Fase 4: tutti barano – Non solo Cristiano Ronaldo avrebbe anche esagerato dopo essere stato spinto da Rooney, a quel punto espulso dall'arbitro Elizondo, ma tutti gli avversari e gli arbitri ce l'hanno con l'Inghilterra. Il primo della lista è il tunisino Ali Bin Nasser, che non ha visto la “mano di Dio”. È lo stesso che, quattro anni dopo, arbitrerà il controverso spareggio Algeria-Egitto che vale un posto a Italia '90. L'Egitto vincerà 1-0, ma gli algerini, convinti che il gol fosse in fuorigioco, restano convinti di essere stati truffati (avevano anche chiesto che Bin Nasser fosse sostituito). A fine partita scoppiano violenti scontri, e una bottiglia di vetro rotta ferisce a un occhio uno dei medici egiziani. Del gesto verrà accusato Lakhdar Belloumi, Pallone d’Oro africano nel 1981, all’epoca la stella principale del calcio algerino insieme al «Tacco di Dio» Rabat Madjer. Su di lui, fino al 2009 peserà un mandato di arresto internazionale. Non solo gli arbitri, comunque, sono contro l'Inghilterra. Qualcuno ha addirittura sostenuto che Banks, nel 1970, sarebbe stato drogato dalla CIA. E qualche anno fa, il Guardian ha parlato anche di tre giocatori tedeschi sotto l'effetto di droghe nella finale del 1966.

Fase 5: mai più vicini alla coppa – Tra il 1950 e il 1970, l'Inghilterra vince solo 5 partite su 18 ai Mondiali. Da allora, la Svezia, la Bulgaria, la Polonia sono arrivate vicine a mettere le mani sulla coppa tanto quanto gli inglesi, mai arrivate nemmeno in finale dopo il trionfo in casa.

Fase 6: la vita riprende – Le sconfitte della nazionale spesso diventano piccole o grandi leggende (Tomaszewski ne è un ottimo esempio), entrano nelle canzoni e nella cultura pop. Ma la “vita vera” riprende, senza che il calcio abbia una grande influenza. Il 1970, quando l'eliminazione ai Mondiali è diventata uno dei fattori della sorprendente sconfitta elettorale dei laburisti di quattro giorni dopo, è un'eccezione, per quanto significativa.

Fase 7: il capro espiatorio – “Sono due le reazioni tradizionali al fallimento sportivo in Inghilterra: proclamare una gloriosa sconfitta e punire senza pietà i responsabili” spiega lo scrittore Dave Hill. Le figure possono essere diverse: dal capitano Wright nel 1950 al selezionatore Joe Mears nel 1958, dai successivi ct (Steve McLaren, Eriksson) a David Beckham, “colpevole” di essere stato espulso contro l'Argentina nel 1998. I portieri sono facili bersagli. Dopo il 1970, Bonetti ha continuato a sopportare i cori dei tifosi che gli gridavano “ci hai fatto perdere i Mondiali” e a fine carriera si è ritirato in esilio quasi volontario come postino su una remota isola scozzese.

Fase 8: vinceremo la prossima – “Trent'anni di dolori / non mi hanno fatto smettere di sognare” recita “Three Lions”, l'inno non ufficiale dell'Inghilterra calcistica, una terra di eroi sfortunati che non governano più il mondo, anche se dovrebbero.

Le scelte di Hodgson – Roy Hodgson, che ha promesso un'Inghilterra coraggiosa per il match d'esordio contro l'Italia, ha le idee chiare su chi convocare. “La nazionale non si decide nell'ultimo mese” ha dichiarato. Di sicuro non avrà gli infortunati Townsend e Walcott, mentre è praticamente fatta la coppia di centrocampo, con il capitano Gerrard e il vicecapitano Lampard. In attacco non potrà facilmente ignorare la stagione-show di Sterling, mentre in difesa, pur avendo speso belle parole per lui, dovrà decidere se affidarsi ancora a Ashley Cole, messo ai margini da Mourinho al Chelsea.

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