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Italia, la rivoluzione non può aspettare: cinque cose da cui ripartire in fretta

L’assunzione di responsabilità di Insigne che va a battere il rigore è un primo passo da cui ripartire. I problemi restano. Serve una rifondazione completa, che non passa solo per il nuovo commissario tecnico. Bisogna ripensare il sistema del calcio italiano.
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La seconda esibizione di quest'Italia precaria, in mezzo al guado, rinforza l'onesta ammissione di Costacurta. Nemmeno con Mourinho o Guardiola sarebbe cambiato molto. Il ct è un interrogativo da risolvere, ma non la questione principale. I 90 minuti di Wembley non fanno che confermare la prima impressione, emersa dopo la sconfitta contro l'Argentina. Il pareggio è almeno una consolazione, ma non è certo un 1-1 strappato di rigore a 5′ dalla fine in amichevole a cambiare il giudizio, ad alterare le prospettive future della nazionale. Bisogna cambiare tutto. E in fretta. Ripartendo dalle basi, dai principi che hanno fatto la storia del nostro calcio.

Immobile, così non va: l'attacco dov'è?

Il capocannoniere della Serie A si sbiadisce nel passaggio dal biancoceleste all'azzurro. Funziona il pressing su Tarkowski, meno l'efficienza sotto porta. Una certa tensione sembra prendere Immobile quando entra in area. Manca tre occasioni nel primo quarto d'ora, Immobile, che si batte ma non finalizza, costruisce ma non realizza. E se l'attaccante migliore d'Italia ha questi problemi in un'amichevole, l'Italia di ostacoli da superare ne avrà in chiave futura.

L'Italia che in tre delle ultime quattro partite giocate ha chiuso il primo tempo senza nemmeno un tiro nello specchio, che non segnava da oltre 350 minuti prima del pareggio di Insigne, è lo specchio di un blocco tanto tecnico quanto mentale.

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Insigne si prende il pallone del pareggio

In questa nazionale precaria, Di Biagio è anche lui prigioniero di questo scenario a metà. Pensa un po' a fare bella figura, ed è comprensibile, per cui ritarda anche l'ingresso di Chiesa, di cui andava testata in queste due amichevoli la nobilitate azzurra. Insigne, elevato a totem nell'assenza contro la Svezia, rivela in presenza che la questione non è così semplice. Certo, è il terminale della migliore azione di tutta la partita, e si prende il pallone nell'occasione del rigore deciso dal VAR.

L'assunzione di responsabilità, al termine di una partita giocata comunque al di sotto delle aspettative e degli standard, è uno dei pochi aspetti da salvare. Ma è soprattutto il primo passo verso una rivoluzione che si spera ormai matura, e ineluttabile.

La rivoluzione non può aspettare

Mutatis mutandis, all'Italia ben si attagliano, con il solo cambio di gradazione cromatica tono su tono, le parole di De Laurentiis sul Napoli a RMC Sport. "O si è giovani o non si è giovani" ha detto. "Se lo si è si rischia su tutto. C'è da capire quanto i nostri compagni di viaggio amino rischiare".

Ecco, questa è un'Italia che non è vecchia ma non è giovanehttps://calcio.fanpage.it/nazionale-dei-giovani-o-il-giusto-mix-con-i-piu-esperti-da-dove-deve-ripartire-l-italia/, che alla prima difficoltà si sgonfia, che dopo venti minuti non sa più dove guardare, come giocare. Un'Italia racchiusa, come in un'epifania amara, negli occhi stralunati al cielo di Rugani mentre i compagni dormono e l'Inghilterra passa. Poi controlla, giochicchia, sempre pericolosa senza fare davvero niente di eccezionale.

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Se davvero sono questi i migliori che abbiamo, per dirla con De Andrè, le prospettive diventano ombrose. L'orizzonte si restringe, si oscura la vallata. Le idee più radicali, le posizioni di chi vorrebbe una rifondazione assoluta e totale, senza ulteriori seconde chances a chi ha mancato tanti appuntamenti, trovano diritto in una crisi di sistema come questa. Ripartire praticamente dall'Under 21 semifinalista all'Europeo l'anno scorso, con il coraggio delle rivoluzioni da completare e non da annunciare, richiede non solo un ct con il carisma e il rispetto dei giocatori. Impone soprattutto una federazione non in fase commissariale, che sia nelle condizioni di prendere una posizione forte e di difenderla nel medio periodo anche di fronte a risultati eventualmente negativi. Rischiare su tutto, appunto. Ma servono compagni di viaggio che lo vogliano.

Bisogna ripartire dalle basi

Restano nella spenta prestazione di Wembley le tante difficoltà nell'uscita bassa del pallone contro un'Inghilterra che si copre in un 3-5-2 con Lingaard mezzala e si distende in velocità sfruttando le qualità di Vardy in campo aperto. Vedere per credere l'ingenuità sulla punizione battuta rapida, che però nasce da una delle troppe ripartenze concesse a Sterling nella zona di Parolo, trasformata in un regalo inatteso per il bomber del Leicester. La difesa alta, se salta il filtro a centrocampo, apre pericoli reali e potenziali alle spalle dei centrali, Rugani e Bonucci, difensori d'anticipo e lettura delle linee di passaggio.

Non c'è da inventare, c'è da ricostruire, anche se servirà tempo. C'è da ripartire da quel che da sempre scrive la storia del calcio all'italiana, che rappresenta anche il valore aggiunto dei tecnici italiani al vertice in Europa. Urge ricominciare in campo dalla difesa, dalle radici. Il calcio moderno, non si può negare, aumenta l'importanza dell'uscita bassa del pallone, richiede la versatilità nei vari ruoli per controllare il gioco. Ma, come insegnava Cruijff, se non si hanno uomini speciali non si può giocare un calcio speciale. E in questo momento, siamo onesti, uomini e calciatori speciali in Italia non ce ne sono. Allora, snaturare lo spirito, il carattere nazionale e della nazionale non porta risultati. Meglio riscoprire la semplicità di quello che l'Italia sa far bene, che due anni fa ha portato la squadra di Conte a spezzare il tiki-taka sterile della Spagna e incartare per 120′ la Germania campione di tutto.

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Dov'è finito il piano Baggio?

Otto anni fa, Roberto Baggio aveva tracciato in 900 dettagliate pagine un piano che mirava a ridare centralità ai giocatori, a costruire un nuovo sistema di scouting sul territorio e a ridisegnare l'attività formativa dei settori giovanili. Aveva diviso l’Italia in 100 distretti, con 3 allenatori federali ciascuno, per arrivare a visionare 50mila partite l'anno e creare un enorme database multimediale. Suggeriva di costituire un centinaio di centri federali, ne son rimasti 30 usati tre giorni al mese, e di sottoporre a test misti, fisici e tecnici, i ragazzi che dovevano abituarsi al rapporto con la palla. Così, sosteneva, si può individuare e far crescere il talento. Si è dovuto dimettere, il piano è rimasto nei cassetti delle buone intenzioni. Ma può ancora diventare la traccia da seguire per rifondare tutto il calcio italiano. Perché è questo che serve, non solo nominare un altro commissario tecnico.

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