Italia fuori dai Mondiali: “La rivoluzione del calcio verso i giovani? Sì, ma in peggio”
Ha giocato sui campi della periferia del calcio, in Provincia dove non ci sono le luci della ribalta, né i titoli dei giornali, tanto meno televisioni o momenti di gloria e fama imperituri. Ma dove chi scende in campo lo fa unicamente per giocare a calcio, per semplice passione e la voglia di coltivare un sogno di bambino, condiviso da altri centinaia di migliaia di ragazzi come te. Quello stesso sogno che sfiori con un dito allorchè ti dicono che la Juventus ti sta seguendo, gli piaci perché sei bravo e che a vent'anni acquista il tuo cartellino.
Quello stesso sogno che tieni stretto, lavorando e giocando con serietà e professionalità in attesa che arrivi il giorno in cui ci sarà la svolta, perché sei giovane, perché sei bravo, perché semplicemente giochi a calcio e puoi farcela. Alla fine di tutto, però ti ritrovi lontano da casa, non su un campo di provincia o in una serie minore ma a migliaia di chilometri di distanza, in Portogallo, in Ligapro, per continuare a sognare. Perché in Italia a 23 anni ti hanno detto che sei troppo vecchio, troppo italiano, di troppo. Ma a quel sogno non ci rinunci, malgrado tutto e tutti.
Il sogno e il grande icubo
E' la storia di Joyce Francesco Anacoura, di anni 23, di professione portiere emigrato in Portogallo per poter giocare a calcio in una Italia incapace di trovare spazio ai giovani. E che finisce fuori dal Mondiale, eliminata dalla modesta Svezia aprendo il dibattito proprio su quanto il nostro movimento faccia o abbia fatto per preservare il proprio patrimonio giovanile. E la risposta appare sempre la stessa: il nulla o quasi. Una eliminazione che brucia ancor più nel momento in cui le tematiche che ne scaturiscono ti toccano direttamente, tanto che non esiti a scaricare i pensieri attraverso un social, trovando nel virtuale quella catarsi che la realtà ti ha negato.
L'Odissea di Joyce
Le regole per i giovani, a tutela dei club
Quando io sono uscito dalla primavera, precisamente 5 anni fa, le regole in Lega Pro riguardo ai giovani, comprendevano l’età media: cioè più una squadra aveva l’età media bassa più contributi riceveva dalla lega, ma ciò lasciava la totale libertà ad una società di scegliere quanti giovani e quanti giocatori più esperti tenere! Quindi per un ragazzo che usciva dalla primavera andare in una Lega Pro e giocare non era così scontato, mentre adesso, negli ultimi due anni hanno imposto alle società un numero massimo di “over”, ovvero (per quel che riguarda quest’anno) giocatori nati prima del 1º gennaio 1995
L'espediente per aggirare le norme
La conseguenza di questa imposizione è che le società per quanto riguarda il mio ruolo (ma non solo) decidono di prendere un “under” anche se con poca o addirittura nessuna esperienza nel calcio professionistico per poter piazzare i cosiddetti “over” in altre parti del campo. In più io essendo '94 mi sono trovato in un limbo, cioè non più “under” ma neanche con l’esperienza adatta secondo gli addetti ai lavori, perché nel qual caso una squadra avesse deciso di prendere un portiere esperto, lo prendeva di 30 anni!
Il mercato con le carte d'identità
Quindi sinceramente quando mi è stata sottoposta la possibilità di venire in Portogallo non ci ho pensato su due volte, visto che in Italia si stava facendo il calciomercato – soprattutto nelle categorie inferiori – guardando la carta d’identità e non le qualità dei ragazzi. E questo sistema è nocivo per i giovani stessi, che per qualche anno si trovano a giocare titolari in Lega Pro e quindi giustamente ad avere grandi ambizioni, ma se nella fascia d’età in cui si è considerati “under” non si riesce a fare il salto di categoria, come è capitato ad alcuni miei amici e colleghi, si passa da giocare titolari a rimanere addirittura senza squadra
L'esempio del Portogallo
Per cambiare questa situazione le soluzioni ci sarebbero e sono molteplici. Qui in Portogallo per esempio adottano il sistema delle “squadre B” ovvero le grandi squadre come Porto, Benfica, Sporting Lisbona e altre hanno una squadra B che milita nella serie inferiore portoghese dove consentono ai loro giovani di affacciarsi nel calcio “dei grandi” ma sempre nell’orbita del club in cui sono cresciuti, e la trovo una cosa geniale!
Il sogno Juve, la realtà di giocare senza stipendio
Personalmente io ero sotto contratto con la Juventus che in questo momento è il miglior club italiano e uno dei migliori d’Europa ma mi son trovato a dover andare in prestito in alcune realtà al limite della decenza e sinceramente quando un ragazzo di 20 anni viene spedito in una città a 6 ore da casa sua, dove non percepisce lo stipendio, viene sfrattato da casa e altre miliardi di piccole mancanze che nel complesso fanno una grande differenza, penso sia normale che anche un minimo incida sul suo rendimento, piuttosto che lavorare in un ambiente come può essere quello della Juventus dove ti mettono completamente in condizione di pensare e preoccuparti solo del campo e di lavorare per migliorare!
La soluzione reale
Dedicare una percentuale ai vivai
Eppure la via breve ci sarebbe: quella di non scimmiottare semplicemente le regole che l'Uefa impone sul fronte internazionale – visto che per il mercato libero non può dare limiti di nazionalità – auto regolamentando le norme federali. Basterebbe un'imposizione ad ogni club di versare una minima parte delle entrate sui vivai, di obbligare i club a schierare (in campo, non nelle distinte) almeno il 50% di giocatori italiani, magari con un paio di Under21. Oggi la presenza degli stranieri nella sola Serie A è eccessiva superando abbondantemente il 60%.
La parola d'ordine: incentivare
Secondo molti, non si può fare molto anche per la presenza della Legge Bosman che vieta di fatto limitazioni legate alla nazionalità dei singoli giocatori. Essendo comuni lavoratori dell'Europa Unita nessuno può vietarne la libera circolazione (e il libero ingaggio). Vero, ma la Figc ha una via di fuga: non deve limitare alcunché, ma deve incentivare. Incentivare a investire sui giovani italiani; incentivare ad avere dei vivai sempre prolifici; incentivare iniziative e tornei che permettano ai giovani italiani di poter dimostrare il proprio valore; incentivare, infine, anche i club che militano nelle massime divisioni a trovare motivi validi per crescere i propri ragazzi. Per poi darli alla Nazionale ed evitare di finire fuori dai Mondiali.