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Europeo 2016 in Francia

Valcareggi, l’uomo della staffetta. E dell’unico alloro europeo azzurro

L’ex tecnico triestino viene menzionato per la staffetta tra Rivera e Mazzola ai Mondiali del 1970 ma nessuno parla della vittoria dell’Europeo del 1968, l’unico della Nazionale azzurra, e dello storico successo a Wembley contro l’Inghilterra. A 97 anni dalla sua nascita è ancora vivo il ricordo di un grande conoscitore di calcio che ha vinto il trofeo Seminatore d’oro per due volte.
A cura di Vito Lamorte
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"Italia-Germania 4-3? Ho visto di meglio…". Sono queste le parole di Ferruccio Valcareggi in un'intervista rilasciata a Massimo Del Moro de Il Tirreno nel 2002. L'allenatore triestino era fatto così, con la sua saggezza e la sua eleganza riuscì a smontare, con una risposta, quella che viene considerata la partita più bella della storia del calcio. Era lui il selezionatore di quella Nazionale che fece sognare tutti gli italiani e che ha come unica colpa quella di aver trovato sulla sua strada il Brasile più forte di sempre. Valcareggi fa parte di quel gruppo di uomini che il Friuli Venezia Giulia ha donato al calcio italiano, insieme a Nereo Rocco, Dino Zoff, Fabio Capello e tanti altri, ma di cui si parla pochissimo. Classe 1919, è colui che, da commissario tecnico della Nazionale, portò gli Azzurri alla vittoria dell'unico titolo europeo nel 1968 ma viene ricordato sempre, e soltanto, per la staffetta tra Mazzola e Rivera al Mondiale messicano del 1970.

‘Uccio' arrivò sulla panchina della Nazionale dopo la disfatta del Mondiale d'Inghilterra e rimise insieme i cocci della squadra diretta da Edmondo Fabbri, di cui era vice. Per le prime due partite venne affiancato da Helenio Herrera, mago della Grande Inter, ma successivamente rimase solo al timone della squadra. Sandro Mazzola, grande protagonista di quegli anni, del suo commissario tecnico disse che "venne chiamato al vertice della Nazionale in un momento difficilissimo, quando occorreva ripristinare serenità in un ambiente devastato dalle polemiche. Lui non sbagliò una mossa". Gli azzurri vinsero il loro girone e nella fase finale se la giocarono, rispettivamente in semifinale e finale, con URSS e Jugoslavia. Nella prima gara l'Italia passò grazie alla monetina mentre per decidere la contesa continentale ci vollero due match. All'epoca non esistevano i calci di rigore e in seguito al pareggio della prima finale, si replicò due giorni dopo. A quel punto Valcareggi, sotto accusa per una squadra molle nella prima partita, cambiò 5/11 mandando in campo Riva, Salvadore, Rosato, De Sisti e Mazzola. La Nazionale dominò la rappresentativa jugoslava e si portò sul tetto d'Europa.

Se del Mondiale del 1970 in Messico si conosce tutto per la straordinaria partita di Città del Messico contro la Germania e per il secondo posto dietro il Brasile di Pelè, Rivelino, Tostao, Jairzinho e Gerson, non possiamo parlare di Valcareggi senza ricordare la prima vittoria della Nazionale Italiana a Wembley contro gli inglesi. I tabloid britannici avevano pompato parecchio la gara e l'evento era stato presentato come "settantamila inglesi contro undici camerieri". Quando il tiro di Capello finì in rete dopo la respinta di Shiton su Chinaglia (a cui era riferito il titolo sui camerieri) gli azzurri gonfiarono il petto e resistettero agli attacchi degli uomini in maglia bianca fino alla fine. La gara del tempio inglese può essere paragonata alla vittoria della semifinale del 2006 contro la Germania, quando venimmo etichettati come "i soliti parassiti".

Il sipario dell'avventura di Valcareggi con la Nazionale calò in Germania, nel 1974, quando Chinaglia lo mandò a quel paese dopo la sostituzione nella prima partita del girone contro Haiti. Nonostante fosse la prima partita si capì subito che in quel gruppo c'era qualcosa che non andava. L'alchimia tra i ‘messicani' e i nuovi dopo i due anni idilliaci senza sconfitte si era disciolta come neve al sole e dopo un pari con l'Argentina, l'Italia uscì a causa della sconfitta con la Polonia. Da favoriti risultammo una delle squadre più disastrose della competizione. Nonostante i numerosi attestati di stima, Valcareggi il 25 giugno del 1974 chiamò Artemio Franchi e decise di lasciare la Nazionale.

Dopo la parentesi azzurra Valcareggi si sedette sulle panchine di Verona, Roma e Fiorentina, per la seconda volta. Prima degli otto anni in Nazionale le squadre da lui dirette furono Piombino, Prato e Atalanta. Ferruccio vinse il trofeo Seminatore d'oro per due volte e condivide questo primato con Nils Liedholm, Tommaso Maestrelli, Arrigo Sacchi e Giovanni Trapattoni. L'allenatore triestino, però, detiene altri due record: è stato l'unico allenatore a ricevere questo trofeo allenando una squadra di Serie C (Prato, stagione 1956-1957) ed è stato il primo allenatore a riceverlo come commissario tecnico della Nazionale Italiana (stagione 1972-1973).

Prima di diventare allenatore Ferruccio Valcareggi era un centrocampista che giocò per 15 anni totalizzando 261 presenze in Serie A con 44 reti segnate. Sempre correttissimo, in tutta la sua carriera venne espulso una sola volta. Esordì con la maglia della Triestina e nella città giuliana "Uccio", come lo chiamavano tutti, era un vero e proprio idolo. In quella squadra incontrò tre azzurri: Nereo Rocco, Gino Colaussi e Piero Pasinati. Due anni dopo passò alla Fiorentina dove giocò per 5 campionati. Dopo due anni al Bologna ritornò alla Fiorentina, poi passò al Vicenza e quindi chiuse la sua carriera da giocatore nel 1955 nella Lucchese.

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Ferruccio Valcareggi è uno degli allenatori meno ricordati e chiacchierati della storia del calcio italiano nonostante sia stato un esempio di comportamento e di passione sportiva che è difficile ritrovare nel panorama odierno. Il suo carattere lo riversava interamente nelle sue squadre e, addirittura, Enzo Bearzot lo accusò di essere troppo calmo nella gestione del gruppo. Negli anni in cui l'Italia viveva il '68 e stava per trascinarsi nello stragismo di Stato, quest'uomo riuscì a far rinnamorare gli appassionati di calcio della Nazionale riuscendo a riorganizzare a tatticamente e caratterialmente l'intero movimento. Un uomo di poche parole che oggi creerebbe non pochi fastidi ad un mondo del calcio in cui si parla tanto. Forse troppo.

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